domenica, settembre 25, 2011

Francesco Negro era un antifascista, perchè fu ucciso dai suoi compagni ?







Francesco Negro, medico antifascista, ucciso per aver aborrito le esecuzioni sommarie dei partigiani comunisti nel Savonese.

Dopo il 25 aprile 1945 iniziarono in tutto il Savonese le vendette , spesso personali , seguite da ruberie ed esecuzioni sommarie a danno di presunti fascisti, effettuate da partigiani comunisti i quali con l’uso delle armi avevano creato un nuovo status quo, sanguinario e terroristico. Non tutti gli antifascisti, erano d’accordo con questo tipo di comportamenti che ben poco avevano a che fare con la Resistenza e che al contrario avevano molto del criminale. Uno di questi era un medico, di fede socialista, antifascista e molto amato dalla gente, personaggio autorevole presso il C.N.L. : Francesco Negro, quarantaseienne, nativo di Quiliano, Presidente della Croce Rossa. Negro persona per bene, onesto e corretto, in qualità di Ufficiale Sanitario presso il Comune di Savona stilava i certificati di morte delle persone decedute, per qualsiasi motivo, nel territorio di Savona.
Il Dottor Negro, si era accorto dell’impennata del numero dei morti, uccisi da arma da fuoco o per altra causa violenta, avvenuta a partire dalla data della Liberazione. La cosa l’aveva constatata di persona e molto da vicino poiché , egli come funzionario sanitario, si recava in tutti i luoghi dove venivano rinvenuti corpi crivellati di proiettili per constarne il decesso e stilarne il certificato di morte.
Il piazzale antistante il Cimitero Savonese , ogni notte ospitava decine di corpi risultato di esecuzioni sommarie, abbandonati per essere seppelliti in quel luogo, dagli squadroni rossi della morte che lavoravano a pieno ritmo. I prigionieri, per lo più civili , benestanti e abbienti, erano prelevati nei campi di prigionia di Segno e Legino, trasportati al Cimitero e passati per le armi. Per comodità, venivano “giustiziati” con un colpo alla nuca, senza perdere tempo in inutili cerimonie. Poi gli assassini passavano all’incasso nelle abitazioni dei morti e si appropriavano di tutto.
Ogni luogo , un po defilato dalla vista di scomodi testimoni, era utilizzato dalle squadre di fucilatori rossi come poligono di tiro, dove i bersagli erano inermi prigionieri, accusati a torto o a ragione di essere fascisti, i quali venivano ammazzati senza alcun tipo di processo . Anzi molti di questi assassinati erano già stati giudicati innocenti e quindi rimessi in libertà dalla C.A.S. ( la Corte di Assise Speciale), ma la macchina della morte doveva macinare le sue vittime inermi, per un crudele senso di vendetta che comunque si realizzava su persone , donne, vecchi e adulti che nulla avevano da rimproverarsi. Il Dottor Negro aveva ben presente la situazione e incominciò a fare delle riflessioni.
La cosa che impressionò molto il Dottor Negro fu la crudeltà e la ferocia che veniva usata in queste situazioni dai partigiani comunisti, egli infatti, nel corso di molte autopsie rilevò segni evidenti di sevizie e torture efferate sui corpi degli uccisi, che comunque nessun tribunale aveva condannato a morte. Inoltre molte delle salme, erano nude a testimoniare che erano state spogliate di ogni avere : abiti, monili, orologi e addirittura la fede nuziale e le scarpe.
La goccia che fece traboccare il vaso all’interno della coscienza pulita ed onesta di Francesco Negro fu l’omicidio , anch’esso abbietto e ingiustificato, di una insegnante elementare di Quiliano , sua concittadina, Dora Cosmin, la quale aveva come unica colpa quella di essere la sorella di un esponente della Repubblica Sociale Italiana.
La poveretta, fu sequestrata a Quiliano da due partigiani comunisti, pare suoi ex allievi, trascinata in un bosco poco fuori dall’abitato di Segno, da cui lei non fece più ritorno. IL suo corpo non venne mai più ritrovato. I suoi due assassini, agirono in preda a delirio di onnipotenza contando su una impunità incredibile e sfacciata e soprattutto sulla omertà della gente che li avevano visti agire alla luce del sole, essi attraversarono la piazza principale, sotto gli occhi terrorizzati dei passanti, tenendo strettamente afferrata per le braccia la povera maestra che con voce alterata dallo sgomento chiedeva ai due dove la portassero. I due assassini, uno alto e l’altro con i capelli ravviati all’indietro, fecero quello che volevano fare e poi tornarono a casa loro sereni e tranquilli.
Questi massacri continuarono a lungo, almeno sino alla fine del 1950, senza che la giustizia potesse agire in modo efficace , infatti gli autori degli omicidi e dei massacri erano noti a tutti ma agivano coperti dal silenzio impaurito della popolazione. Il Dottor Francesco Negro non era un vile, e indignato per tutto ciò, iniziò a deprecare con forza anche in pubblico queste atrocità affermando che non avevano nulla a che fare con la Resistenza. A più riprese Francesco Negro, uomo forte e dal portamento nobile che incuteva rispetto, affrontò all’interno di una Società Operaia di Quiliano, le persone che sospettava fossero responsabili di questi delitti, il suo invito a tornare nella legalità era perentorio e fu oggetto di odio da chi sotto il paravento della Resistenza continuava a rubare ed a uccidere. Con il suo comportamento coraggioso e sincero senza peli sulla lingua, si mise al centro del mirino. I due personaggi che avevano assassinato la Maestra Dora Cosmin e che temevano di essere additati dal Negro all’opinione pubblica per quello che erano e cioè per dei volgari assassini, decisero di chiudere la bocca al medico, cosa che accadde inesorabilmente.
Il dottor Francesco Negro, la sera del 10 novembre 1945, si recò ad una vista domicilare presso l’abitazione di un imprenditore savonese residente in Corso Ricci, una lunga strada che corre parallela al torrente Letimbro. Non sapeva che andava incontro alla morte. Negro intorno alle 21,30 uscì dalla casa del suo mutuato, era in sella ad un bicicletta e prima di salire sul sellino, si rimboccò il fondo dei pantaloni con una pinza , la bici era scura con i freni a bacchetta, imboccò Corso Agostino Ricci in direzione di Savona per tornare a casa sua.
Quello che accadde dopo lo raccontò lo stesso Negro prima di morire: all’altezza del ponte delle ferrovie che valica la strada, due uomini uscirono dall’ombra e lo fermarono. Chiesero se egli era il dottor Negro, e alla sua risposta positiva , gli ordinarono di scendere con loro sul greto del torrente Letimbro , perché volevano discutere di alcune cose con lui. Negro rifiutò ovviamente e da subito ebbe un atteggiamento coraggioso rifutandosi di obbedire, scambiando i due pere rapinatori , offrì loro il suo portafogli ma loro rifiutarono affermando che avevano altri conti da regolare con lui. Compreso il pericolo, il medico cercò di allontanarsi in bicicletta ma uno dei due gli esplose contro tre colpi di pistola, quindi i due criminali fuggirono.
Negro colpito ad un braccio e all’addome, riuscì a raggiungere una casa vicina e a chiedere aiuto. L’arma usata era una pistola automatica , una beretta cal. 7.65, una famigerata arma munita di silenziatore, la stessa che uccise dodici persone a Savona, senza essere mai ritrovata.
Trasportato all’Ospedale morì alla mattina successiva, per le gravi ferite riportate senza perdere conoscenza ma senza poter dare utili indicazioni sulla identità degli assassini. Nessuno vide nulla e i criminali, anche in questo caso, la passarono liscia anche se tutti intuivano chi aveva sparato e perchè, ma nessuno apriva bocca per indicarli, per paura di fare la stessa fine di Negro e di tantissimi altri. I banditi rossi spadroneggiavano a Savona con la violenza e con l’uso delle armi.
Essendo Negro un antifascista militante, il 13 novembre 1945, ebbe dei funerali imponenti a Savona, con la partecipazione di tutti gli appartenenti alle formazioni partigiane che sfilarono per la via centrale, le autorità dell’epoca presenziarono al funerale, vi furono discorsi di suffragio che comunque erano un campionario di ipocrisia e di falsità, molto probabilmente, fra la folla presente c’erano anche i suoi assassini che non vennero mai disturbati. I discorsi delle autorità, primo fra tutti il cosidetto “Prefetto della Liberazione”, tutte facenti parte dalle truppe partigiane, non toccarono la vera essenza del delitto Negro come di tanti altri delitti , anzi evitarono accuratamente di avvicinarsi al problema e cioè che: una banda o più gruppi di partigiani comunisti, agivano a Savona, rubando ed uccidendo, tollerati anzi protetti dai vertici politici comunisti che tutto sapevano.
Le uniche indagini su questo delitto, le condusse un coraggioso commissario di polizia, Amilcare Salemi arrivato apposta da Como per indagare sul clima incandescente di Savona. Egli giunse molto vicino ad arrestare i colpevoli ma qualcuno, con i soliti metodi terroristici, lo uccise mentre cenava e qualcun altro in questura faceva sparire le carte delle indagini sull’omicidio Negro. L’arma era la stessa usata per liquidare Negro.
Savona dal 1945 al 1950, era tutta una serie cronologica di omicidi, legati e connessi strettamente fra di loro, come una serie lunghissima di scatole cinesi: si uccideva per coprire gli autori di un altro omicidio e così via, sino all’infinito.
Il Dottor Negro fu un Eroe, prima contro il regime fascista e poi contro i suoi stessi compagni di lotta che avevano perso la via della giustizia per diventare uguali a quelli che avevano combattuto prima della Liberazione, fu la Resistenza tradita.

Roberto Nicolick

lunedì, settembre 05, 2011

LE BOMBE DI TOSSE...



Il terribile bombardamento di Tosse

11,15 del 12 agosto 1944 l’apocalisse

Dal giugno del 1940 al marzo del 1945, migliaia di incursioni aeree alleate furono effettuate sull’Italia allo scopo di piegare la volontà della popolazione, già abbastanza colpita dalle restrizioni economiche dovute alla guerra. L’onere maggiore dei raid viene assunto dalla R.A.F. ( Royal Air Force ) l’aviazione militare britannica che usando i bombardieri Stirling, Wellington e Halifax e in seguito anche le fortezze volanti di fabbricazione americana, martella giornalmente il territorio nemico.

Era una calda e tranquilla mattinata estiva, circa le ore 11 e 15 minuti primi, quando uno stormo di bombardieri alleati, molto probabilmente B - 17 stava tornando da una incursione, una delle tante sulle industrie pesanti di Torino, sulla strada del ritorno si trova Tosse un piccolo centro della provincia di Savona, immediatamente a monte di Spotorno da cui dipende a livello amministrativo. Non è dato di sapere se Tosse fosse considerato un obiettivo da colpire o se , come spesso accadeva, i bombardieri per viaggiare più veloci, lasciarono cadere il carico residuo di bombe alla cieca. Fatto sta che in quel giorno , diverse bombe caddero su questo pugno di case, dove abitava meno di un migliaio di abitanti.

A Tosse, nel frattempo , alcune decine di abitanti si erano riuniti per consumare un frugale pasto attorno al desco famigliare in un casolare posto in località “Cà di Badin”, una piccola contrada agricola posta proprio sotto la Chiesa Parrocchiale . Non tutti erano nativi di Tosse, anzi solo cinque vi erano nati e cresciuti, gli altri erano sfollati da Spotorno, Finale e Cairo Montenotte, nella illusione che i bombardamenti alleati risparmiassero le campagne e i piccoli paesi dell’entroterra perchè privi di attività e di insediamenti militari ed industriali.

In realtà, ovunque ci fossero dei concentramenti e dei movimenti di persone, essi venivano immediatamente segnalati da osservatori sul territorio oppure da velivoli ricognitori e registrati come possibili obiettivi da bombardare appena possibile. Gli aerei arrivarono veloci ed inattesi ad alta quota, nessuno li vide arrivare, le bombe, non tante, caddero nei terreni attorno al paesino senza fare grossi danni, molto probabilmente una bomba di 600 kg. scese centrando il casolare a un piano dove erano riunite le famiglie e non lasciò loro alcuna possibilità di scampo. L’esplosione fu terribile e devastante ,la casa sparì letteralmente e il terreno dove sorgeva lo stabile e i campi praticamente arati da un vomere gigantesco la geografia fu radicalmente modificata tanto da apparire sfigurata , la costruzione in muratura venne spazzata via, decine di tonnellate di terreno rivoltate dalla forza spaventosa dell’esplosione.

Le persone presenti nell’edificio di Tosse al momento del bombardamento appartenevano a diversi nuclei famigliari, i cognomi sono indicativi della provenienza locale : Basadonne, Somà, Peluffo, Delponte, Mamelo, Ottonelli, Cireddu.

Le vittime dell’inutile incursione avevano un’età che andava dai due anni ai sessantatre, quindi alcuni dei presenti erano adulti ma molti altri erano anche giovanissimi. Tutti , sicuramente, erano estranei a qualsiasi attività belliche o militari oppure industriali. Fu quindi un gesto incredibilmente crudele e produsse una strage di civili completamente inutile che non poteva portare giovamento alla lotta contro il nazifascismo. Le vittime sul momento a Tosse furono 27, mentre un’altra persona decedette in seguito presso l’Ospedale San Paolo di Savona in seguito alle ferite riportate e una ventinovesima morì due giorni, anch’essa per le lesioni riportate. Alcuni abitanti al momento dell’attacco erano riusciti a raggiungere l’unico rifugio antiaereo, situato nei pressi della Chiesa di Tosse, compreso il Parroco, che in questo terribile avvenimento, avvisato della strage, accorrerà subito a Cà di Badin , cercando di portare soccorso, generoso quanto inutile.

La figura di questo giovane prete è emblematica e di grande insegnamento morale, Don Flavio Quaglia parroco di Tosse dal 1939 al 1949, il quale in questo tragico frangente fu tutto per il martoriato paese : soccorso, conforto e organizzazione mentre tutti perdevano la testa e precipitavano nello sconforto, tenne come un pilastro di questa piccola comunità senza lasciarsi travolgere dal terrore e dall‘angoscia.

Egli, tuttavia, rimarrà dolorosamente segnato da quel tragico evento e negli anni sessanta su esortazione del Vescovo di Savona e Noli, attingendo alla sua memoria e anche ai suoi appunti, compilerà un diario particolareggiato di quel funesto giorno. Il diario di quel fatto fu completato da Don Quaglia, nativo di Cadibona, poco prima di morire.

Ovviamente a Tosse, essendo un piccolissimo centro,non c’era un medico, né un posto di medicazione pertanto i pochissimi feriti che erano sopravissuti all’esplosione morirono in serata a causa della assenza di un primo soccorso medico che potesse almeno stabilizzarli, le stesse ambulanze, presenti nelle città, viaggiavano pochissimo per la penuria di carburante e per non divenire a loro volta dei bersagli.

A pochi secondi dalle esplosioni, una gigantesca nube di polvere si era sollevata dalla casa distrutta, oscurando il cielo e rendendo difficile la visibilità e anche la respirazione dei superstiti. La nube, altissima e scura, era visibile dalla costa e dai centri dell’entroterra. Giunto sul luogo , fra le macerie, Don Quaglia non potè fare altro che impartire l’estrema unzione ai morenti che erano al di fuori delle macerie. Scavando tra le macerie e i crateri creati dalle esplosioni, trovò una bimba di anni quattro , che sembrava ancora in vita, a nome Carmen, che nonostante alcune gravi fratture , sopravvisse al bombardamento. Dalle macerie vennero estratti altri due corpicini di bimbi, ancora in vita nonostante le gravissime amputazioni delle gambe dai cui moncherini spuntano le piccole ossa lorde di sangue, Maria Rosa e Vittorio, che sono fratellini, distesi accanto, sotto schock lamentano il loro grande dolore. Il parroco, trattenendo a stento le lacrime, cerca disperatamente di ripulire le ferite dalla polvere con l’unica cosa a sua disposizione : vino, non avendo neppure una fiala di morfina. Poi cerca di distrarre i bimbi con l’altra e unica cosa a sua disposizione in grande quantità : la preghiera. La bimba Maria Rosa, dopo una violenta emorragia dalla bocca muore mentre il fratellino sopravvive e viene successivamente caricato su una auto di passaggio che lo porta a Savona, presso l’Ospedale san Paolo. Nel frattempo i parrocchiani di Tosse continuano a sgomberare le macerie ed a estrarre i corpi delle vittime che vengono trasportati nella Chiesa e composti sulla piazza antistante oppure all’interno dell’edicio. Le vittime erano praticamente mutilate in più parti e la ricomposizione delle salme non fu certo facile.

Nel corso degli scavi fatti per lo più a mani nude, fu trovata una madre, morta, con stretti al petto le sue due povere creature, rispettivamente Maria Caterina di tre anni e Rosa di appena due anni, mentre a pochissima distanza venne rinvenuto il terzo figlio , Cristoforo di quattro anni. A causa di questo ritrovamento, la madre , Francesca di trentuno anni, fu sepolta in una stessa bara con Caterina e Rosa, che avevano condiviso con lei il momento della morte .

Il casolare distrutto che era ad un piano, aveva un superficie di circa 100 metri quadri, fu completamente annientato, era di proprietà di Vincenzo Basadonne, anch’egli perito nella esplosione. In mezzo a tanta carneficina , il parroco, registra un strano epiosodio che ha del miracoloso: a una decina di metri dalla casa in muratura completamente distrutta, c’era una baracca di legno e canne intrecciate, al momento dell’attacco all’interno di essa si trovava una giovane madre con il proprio bimbo, stretto in braccio. La precaria costruzione non fu sventrata dall’esplosione e madre e figlio si salvarono, senza subire neppure un graffio.

Fu una tragedia epocale che tuttavia unì fortemente gli abitanti del paese di Tosse, i quali spronati dall’esempio e dalle parole del loro Parroco, Don Flavio Quaglia, scavarono tra le macerie, estrassero i corpi e tentarono di salvare i feriti, con i pochi mezzi a loro disposizione in una gara in cui l’amore per il tuo prossimo era il maggiore protagonista.

Sono andato a visitare il luogo di questa tragedia, si scende dal piazzale della Chiesa, lungo una creuza contornata da alberi di fichi in un gran silenzio con un panorama stupendo che spazia sino al mare, passando in mezzo a delle vecchie case in pietra dopo un sottopasso, si scorge a destra attaccata ad un muro sottostante ad un vignento una lapide che ricorda il fatto “ i cittadini di Tosse ricordano il bombardamento del 12 agosto 1944 , i giovani posero, 2 maggio 1976”, davanti a questa lapide si nota come una interruzione della continuità del paesaggio e guardando in basso si nota un cumulo di vecchie pietre e mattoni, ricoperte di bassa vegetazione, quello che è rimasto della casa rurale e di ben 27 persone. Mentre sono sulla stradina ,una vecchia signora appare improvvisamente, si avvicina alla lapide con passo malfermo, aiutandosi con un bastone, getta un fiore sulle macerie, e sosta in silenzio tenendo in mano un rosario , poi lentamente risale lungo la creuza e sparisce alla mia vista.



Roberto Nicolick









fuori moda....


Genova, quartiere di Prè, ecco come qualche idiota ha modificato una targa che indica un via...