domenica, maggio 31, 2015

concerto di due gruppi corali nel centenario della Prima Guerra mondiale







In occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, due gruppi corali , uno di Acqui Terme e l’altro di Milano, hanno tenuto un concerto ad Acqui Terme all’interno della Chiesa del Cristo Redentore

lunedì, maggio 25, 2015

Il nuovo ospedale di Nizza Monferrato




Uso incompetente dei denari pubblici



Percorro la strada provinciale 594, che collega Canelli a Nizza Monferrato, non supero i limiti di velocità perché lungo la strada vi sono molti velox, poco prima di Nizza, rallento e svolto a destra, in una stradina sterrata laterale, la percorro per un centinaio di metri e in mezzo ai prati, accanto ad un boschetto ed a una tartufaia, osservo quello che è , o almeno nelle intenzioni, doveva essere il nuovo Ospedale di Nizza Monferrato, invece è l’incompiuta per eccellenza, una mega opera senza porte e finestre, senza presidi sanitari, che si erge in località Boidi. Doveva essere un bellissimo Ospedale a misura d’uomo e invece, sono finiti i soldi pubblici, ovviamente non sono finiti i soldi per pagare i succulenti stipendi ai manager e ai mega funzionari dell’A.S.L. oppure i vitalizi agli ex consiglieri regionali o agli ex deputati e senatori di questa triste e saccheggiata repubblica . Ora, da qualche anno, questa struttura giace in completo abbandono, inutilizzata, come una cattedrale nel deserto, senza che nessuno , né il pubblico né il privato, voglia finirla. Ecco come vengono usati i denari pubblici.
R.N.

Incisa Scapaccino




Incisa è un piccolo centro abitato nel sud della provincia di Asti, a poca distanza dalla Provincia di Alessandria. Ci sono arrivato in un assolato pomeriggio domenicale, con una motivazione molto precisa: volevo vedere personalmente un monumento nella piazza principale del paese, a breve distanza dal Palazzo Comunale. Incisa  un tempo si chiamava Incisa Belbo, poi nel 1928 un Regio Decreto modificò Belbo in Scapaccino. Non tutti sanno che Incisa diede i natali ad  un cittadino che in seguito si arruolò  nei Reali Carabinieri,  si chiamava Giovanni Battista Scapaccino .
Egli fu il primo caduto in servizio del Corpo Carabinieri, poi Arma dei Carabinieri.
Il Carabiniere Scapaccino era in servizio a  Les Echellese in Savoia, che a quei tempi apparteneva al Regno di Sardegna , era  il 3 febbraio del 1834, il  militare da solo affrontò un gruppo di insorti Repubblicani che sotto la minaccia delle armi gli intimò di gridare viva la repubblica, invece il Carabiniere inneggiò al re e ovviamente i Mazziniani gli spararono uccidendolo.
Per questo suo gesto eroico, fu insignito della Medaglia D’Oro al V.M. alla memoria. Scapaccino fu il primo Carabiniere a cadere nell’adempimento del servizio, dopo di lui, sino ai giorni nostri, centinaia di Carabinieri sono caduti servendo il Paese, contro i briganti, i banditi, i terroristi e anche in guerra, cito solo la battaglia di Culquaber, Etiopia, riporto il bollettino ufficiale in data 23 novembre 1941: «Gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell’epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo dei reparti nazionali, il Battaglione Carabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all’ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all’arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti» .
Osservo il viso severo e sereno del Reale Carabiniere Giovanni Battista Scapaccino, scolpito nel freddo marmo del monumento, rimango un minuto in silenzio e mi allontano.

RN

sabato, maggio 23, 2015

Jacopo Armellino, una vittima innocente



Leggo in questi giorni di uno studente, morto in modo tragico ed inspiegabile, cadendo dall’ultimo piano di un Hotel a Milano, dove era alloggiato in gita scolastica, le circostanze dovranno essere chiarite, e se ci saranno responsabili puniti. Anche a Savona, qualche anno fa, accadde un fatto analogo con molti lati oscuri.
Savona,  fine maggio del 1997, l’intervallo inizia in una classe del biennio fra le mura vetuste di un Liceo di Savona. L’anno scolastico sta per finire, e le vacanze estive si avvicinano, attese con comprensibile ansia dai giovani studenti che lasciano le aule,  attraversano i corridoi per consumare la loro merenda. Fuori, nelle strade di Savona splende un sole abbacinante.
Jacopo, un giovanissimo studente sensibile e riservato, inizia l’intervallo che per lui non avrà mai termine :  precipita dalla finestra dell’istituto e muore immediatamente rimanendo sull’asfalto di una delle vie centrali di Savona. L’insegnante e i compagni della classe affermeranno di non aver visto nulla, perché tutti affollati attorno alla cattedra e quindi impossibilitati a volgere lo sguardo verso la finestra. Il tonfo  fa correre gente in strada verso il punto della caduta.
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La prima ad arrivare sul posto accanto al corpo inanimato, è una agente in servizio della polizia municipale di Savona che presta i primi soccorsi e si rende subito conto della gravità della situazione. Il povero Jacopo è caduto da una dozzina di metri. Il  corpo è posizionato in modo scomposto, come una marionetta disarticolata,  tra due autovetture parcheggiate. E’ deceduto quasi istantaneamente.
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Il padre del ragazzo è un politico serio ed onesto, che ha ricoperto l’incarico di assessore e vice sindaco presso l’Amministrazione Comunale di Savona. Avvisato, accorre nella strada e può vedere il povero ragazzo  morto, subisce uno scock fortissimo che lo lascia senza parole.
Dal momento della morte, inizia una lunghissima inchiesta, lungo due e diversissime ipotesi investigative: il ragazzo si è buttato di sua spontanea volontà, con l’intento di suicidarsi e l’altra ipotesi che appare molto più grave : è stato spinto da uno o più compagni di classe con cui forse stava litigando.
La famiglia di Jacopo, alla luce della profonda conoscenza del ragazzo,  esclude immediatamente l’ipotesi del suicidio e chiede di proseguire le indagini per fare piena luce sulla tragica morte del figlio, appena quindicenne.
Qualcuno afferma che le testimonianze siano state pilotate, non si sa da chi, e l’inchiesta si orienta in modo pregiudiziale verso l’ipotesi della caduta accidentale, quindi senza responsabilità di terzi, oppure in nodo molto inverosimile suicidio. Una giovanissima vita è persa per sempre e nessuna inchiesta potrà mai restituirla. Ancora oggi, nonostante l’archiviazione del caso , i dubbi e le perplessità su questa morte, inspiegabile per i genitori, pesano come macigni sulla vicenda.
Il ragazzo indossava inoltre un presidio ortopedico che lo imbustava strettamente,  limitandolo i suoi movimenti. Davanti alla  finestra addossato al muro, c’era un banchetto scolastico, quindi era materialmente impossibile per l’adolescente, avvicinarsi al davanzale, sporgersi, scavalcarlo  e cadere nel vuoto,  senza che ci fosse l’ intervento di qualcuno. Inoltre il ragazzo non aveva mai manifestato propositi di morte o di autolesionismo. Inoltre parliamo di un ragazzo normale, dedito allo studio, come tanti, pieno di speranze e soprattutto con tanta voglia di crescere e imparare.
L’ipotesi della caduta accidentale o volontaria, venne favorita dagli inquirenti, qualcuno, politicamente, avallò e supportò questa tesi, senza tenere conto della famiglia e della memoria del povero ragazzo, che fu definito, da morto, come troppo timido, troppo fragile e quindi a rischio di compiere gesti pericolosi per sé stesso. Ci fu una guerra di perizie sulla traiettoria dei corpi sottoposti alla legge della gravità.
E’ probabile, anche se non provato, che qualcuno con cui il giovane spesso litigava, aiutò, al di là delle proprie intenzioni, il ragazzo a precipitare, ma il caso fu archiviato e nel frattempo la classe che frequentava Jacopo,  concluse il ciclo delle superiori senza di lui, molti dei suoi ex compagni di classe andarono all’università, altri entrarono nel mondo del lavoro, qualcuno dell’ambiente scolastico fece carriera politica a sinistra.
Mentre Jacopo moriva una seconda volta e poi una terza e poi una quarta mentre la sua famiglia vedeva la Verità calpestata, vivendo con grande dignità questo immenso dolore.
 Qualcuno tentò anche di spillare dei soldi ai genitori, illudendoli che avrebbe trovato delle testimonianze sul fatto: ma erano solo squallidi personaggi in cerca di spiccioli.
Sono trascorsi  18 anni, da quella  mattina di maggio, molte testimonianze sono andate perse, sfocate dal passare del tempo, qualcuno che forse sapeva non ha parlato allora e non parlerà più, portando con sé negli anni un segreto : perché e come,  è morto un ragazzino.
Il  28 di maggio, di ogni anno, presso una Chiesa a Savona, i genitori del ragazzo, che non si sono mai arresi alla verità ufficiale, fanno officiare una messa in ricordo del figlio, per ricordare un ragazzo che se n’è andato dalla vita prima del tempo probabilmente contro la sua volontà.

Roberto Nicolick


venerdì, maggio 22, 2015

il 24 maggio 1915



Il 24 maggio 1915
Sono passati 100 anni, cento lunghi anni da quel 24 maggio, quando il Regno d’Italia entrò ufficialmente in guerra, la Prima Guerra Mondiale, mondiale per l’ampia partecipazione di nazioni belligeranti riunite in Alleanze e in Coalizioni, per l’Italia fu una delle tante Guerre di Indipendenza. Comunque, la prima azione militare avvenne proprio nella notte tra il 23 e il 24 maggio 1914, la Regia Nave Zeffiro, un cacciatorpediniere Italiano, sparò un siluro e ben 169 colpi di cannone, contro una installazione militare Austroungarica, Porto Buso, nella Laguna di Grado, dove passava il confine tra il Regno d’Italia e l’Austria Ungheria. Il siluro si arenò e quindi praticamente fece cilecca mentre le salve di artiglieria della R.N. Zeffiro costrinsero la guarnigione Austriaca a sbandarsi e poi ad arrendersi all’equipaggio Italiano.
Scorrendo l’elenco dei prigionieri fatti dalla nave Italiana, si scopre che erano tutti Friulani e Triestini, Italiani etnicamente anche loro ma comunque con indosso una divisa di un esercito nemico. Seguirono da quella fortunata azione compiuta di sorpresa, tre anni terribili in cui caddero ben seicentomila soldati Italiani, spesso mandati a morire da generali che concepivano una strategia suicida in cui i fanti o gli alpini erano solo carne da cannone.
Tre anni di guerra di trincea, dalle battaglie degli altipiani alle gallerie costruite sul Pasubio, per raggiungere i nemici dal di sotto e fargli esplodere mine gigantesche sotto i piedi,  anni di assalti alla baionetta sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche,  anni a conquistare o a perdere e poi a riconquistare, ancora,  rocce e cime attorno ai quattromila metri,  anni a costruire lunghe gallerie , scavando nella roccia viva, come la famosa strada delle 52 gallerie , costruita dal 5° Reggimento del Genio, tra valli, burroni e guglie, per consentire il passaggio delle truppe Italiane senza essere bersagliate dalla artiglieria Austriaca.
Tre anni in cui i nostri soldati, per lo più gente del Popolo, dovettero subire di tutto : dura disciplina, fame, freddo e gelo, incompetenza degli ufficiali, ferite e mutilazioni, parassiti vari, e anche , purtroppo anche il plotone di esecuzione per colpe che non gli appartenevano.
Tre anni in cui accadde di tutto, addirittura un cambio del vertice delle forze armate Italiane, in corso d’opera, dopo una terribile disfatta, Caporetto, e durante una disordinata ritirata in cui l’esercito Italiano rischiò il completo annullamento e l’Italia di perdere gran parte del territorio Nazionale sotto la spinta di una offensiva di truppe Austro-Tedesche.
Poi nel settembre del 1918, l’orgoglio e il coraggio ebbero il soppravvento  , le nostre armate si attestarono su un grande e importante corso d’acqua, chiamato Piave, che scorre interamente in Veneto e da il suo nome alla valle che attraversa. Attorno a questo fiume, avvennero tre battaglie durissime che decisero le sorti della guerra per l’Italia, l’ultima delle quali , quella di Vittorio Veneto vide le truppe Italiane dare il colpo di grazia agli Austriaci e dilagare oltre il Piave inseguendo il nemico in ritirata.
Da quei giorni il Piave, ebbe la denominazione di “Fiume Sacro della Patria”, che mantiene tuttora. La vittoria di allora, non fu il risultato di una serie di fortunate coincidenze, ma fu costruita attraverso il sacrificio di migliaia di soldati Italiani, provenienti da tutte le regioni d’Italia, che magari non avevano mai viaggiato, che magari erano analfabeti, che magari non sapevano neppure dove si trovavano , eppure fu grazie a loro, che alcuni termini come , sacrificio, onore, dovere, e amicizia cameratesca hanno acquisito un senso, pur in una guerra che come tutte le guerre è insensata.
Passeggiando per  i numerosi Sacrari militari che costellano il Trentino e il Veneto, si comprende quante brave persone, persero il loro bene più prezioso, combattendo per la Patria, essi persero la loro vita.
Semplicemente tutto qui, la loro vita per la Patria di cui si sentivano parte attiva.

Roberto Nicolick

venerdì, maggio 15, 2015

39 BIGLIETTI DI SOLA ANDATA: CONOSCI LA VERITA'

INTERVISTA A PRIMO CANALE. SULLA STRAGE BIAMONTI

Nicolick entra nell'ex ospedale psichiatrico di Vercelli

Nicolick entra nell'Ospedale psichiatrico di Vercelli


Sono entrato senza essere visto da alcuno, a mio rischio e pericolo, all'interno dell'ex Ospedale Psichiatrico di Vercelli che fu teatro di una strage subito dopo il 25 aprile 1945: una brigata di partigiani comunisti comandata da Moranino, futuro Parlamentare del P.C.I. liquidò ferocemente 150 prigionieri appartenenti alla R.S.I. . Fu la solita mattanza inutile e gratuita, priva di giustificazioni etiche e legali, fatta solo per desiderio di vendetta e basta. Ovviamente i beni e i gioielli delle vittime sparirono.
Le foto documentano molto bene lo stato di abbandono e il degrado, la foresta che ha invaso il parco, lo sfascio della struttura che per quasi un secolo ospitò migliaia di pazienti psichiatrici, ma non possono far percepire il gelo e il senso di tristezza che ti prende alla gola, lo stesso che provo quando entro nella Colonia di rovegno,altro mattatoio dove circa 600 prigionieri vennero massacrati dai Partigiani rossi, o sul ciglio della foiba di Basovizza, dove i partigiani di Tito gettarono centinaia o migliaia di Italiani, o in altri siti dove tanta gente ha perso la vita in questo modo feroce e terribile.Ho percepito anche, ma ripeto, è solo una mia impressione, delle presenza che non saprei meglio definire, ma da buon scettico ritengo che si tratti di una mia unica e sola percezione
RN