giovedì, settembre 24, 2015

al tragica morte di Laura



Laura
I due contadini di camminavano nella prima mattinata di domenica7 aprile del 1991, nel campo incolto, avanzavano a fatica tra le zolle, dovevano raggiungere località Brugna di Pontecurone, per tagliare dei vecchi alberi di cachi che oramai non producevano più frutti.
Quello che videro gelò loro il sangue: una giovane donna era appesa per le braccia ai rami di uno di questi alberi, nuda, tranne che per una minigonna viola, aperta sul davanti, il capo era flesso in avanti quasi a toccare lo sterno, con i capelli lunghi a coprirle il viso, le braccia erano innaturalmente stirate  dietro verso l’alto e i polsi erano legati strettamente tra loro al ramo più robusto e più rialzato,  al collo una calza di nylon, strettamente annodata.
Gli slip bianchi sono accanto all’albero, mentre i vestiti erano sparsi tutto attorno e in parte in un rigagnolo che scorre vicino al campo. I due agricoltori spaventati, corrono immediatamente al telefono più vicino e avvisano i Carabinieri.
Dopo una mezzora, il campo pullula di uomini in divisa arrivati dal comando di compagnia di Tortona. Nessuno conosce la poveretta, qualcuno ipotizza che sia una delle pendolari della prostituzione che dalla Liguria salgono sino al triangolo Alessandria, Tortona, Voghera a cercare clienti occasionali. Una sua foto viene inviata per fax al Comando di Genova e arriva la prima conferma: Laura di anni 31, nata a Savona e residente a Legino, tossicodipendente con piccoli precedenti.
I Carabinieri accompagnano la notte stessa a Pontecurone, la sorella residente a Savona che effettua il riconoscimento della salma, aggiungendo che la vedeva solo saltuariamente. Il suo ultimo domicilio conosciuto è una pensioncina nel centro storico di Genova, presso cui ha lasciato alcune valigie come pegno in attesa di saldare qualche piccolo debito. All’interno di una delle valigie i Carabinieri trovano una agendina, in essa la giovane donna aveva descritto in modo minuzioso la dinamica di un rapimento di cui era stata vittima sulle strade di Voghera, questa agendina viene studiata  dagli inquirenti nella speranza che possa dare una traccia per trovare l’assassino.
Viene effettuata l’autopsia presso l’ospedale di Tortona, la morte è avvenuta per lento e purtroppo doloroso soffocamento, le braccia allungate in modo innaturale dietro e il peso del corpo hanno fatto si che avvenisse il blocco del diaframma, non poteva respirare ne deglutire. Il medico legale trova tracce di punture sulle braccia e soprattutto stabilisce che Laura era incinta di cinque mesi, la calza stretta al collo non era la causa principale della morte, che viene posizionata la sera precedente al ritrovamento, quindi alle ore 21 circa.
Le indagini partono immediatamente. Si stabilisce che la ragazza aveva terminato la sua giornata di lavoro in zona, esattamente in un vialone alberato a Montebello della Battaglia, zona topica per la prostituzione e luogo dove i clienti corrono a frotte, per consumare sesso a pagamento, oppure solo per visionare le donne e fare loro degli apprezzamenti, il classico “puttantour”.
 Laura alle 2 del mattino era ancora viva, si apprestava a fare ritorno a Genova. Forse è stata convinta a fare un ultimo incontro che potrebbe essere avvenuto in una cascina poco distante, il terreno è fangoso e bagnato quindi non ha conservato le tracce. La poveretta aveva sempre con sé una borsetta a forma di bustina che però non si trova, forse è stata portata via da chi l’ha uccisa. Aveva un compagno di vita, il quale viene rintracciato ,è un piccolo pregiudicato di Voghera, nel corso dell’interrogatorio ammette di essere il padre della creatura che portava in grembo Laura. In seguito questo personaggio subirà un attentato.
Nel basso Piemonte, nel Tortonese e a Voghera, c’era in quel periodo, una lotta tra gang per il controllo della prostituzione che rendeva moltissimo ai protettori. Il territorio era la posta in gioco e  le prostitute che rendevano di più, erano anch’esse pedine da conquistare, chi non si piegava rischiava moltissimo e il rischio maggiore era proprio per le sventurate che erano sulla strada di giorno e soprattutto di notte.
Oltre a rischiare di trovare un maniaco che le assassinasse, c’era il rischio di essere ammazzate dalla gang rivale del loro protettore. Le poverette erano il classico vaso di terracotta tra i vasi di ferro. Forse Laura incappò proprio in una di queste faide, lei che comunque batteva il marciapiede unicamente per poter acquistare le dosi di eroina che le erano necessarie.
Nella stessa zona furono assassinate prima di lei e dopo,  due sue colleghe, una Rumena, Teodora, e una Nigeriana, Dorah, una accoltellata e l’altra ammazzata e poi bruciata sino a carbonizzarne il corpo. Quella era una zona ad alto rischio per le donne che si prostituivano.  Per qualche tempo le indagini proseguirono, poi si arenarono e i suoi o il suo assassino non furono mai arrestati.
Ora Laura riposa nel cimitero di Savona e al suo funerale furono presenti solo cinque persone fra parenti e amici, dimenticata anche nella morte e nel ricordo dai vivi che non seppero darle l’amore e la considerazione che lei chiedeva.

Roberto Nicolick  

venerdì, settembre 18, 2015

IL RAPIMENTO DI TULLIA



Tullia Kauten
5 marzo 1980
Tullia è una giovane donna di 43 anni, si occupa di commercio, e gestisce nel milanese, assieme alla famiglia una grande ditta di import export di abbigliamento, la donna è una manager molto attiva e dinamica, che ha scelto di sposare il lavoro. Ha solo un cagnolino che la segue sempre, un bassotto nero a pelo ispido che si chiama Ticonderoga, sembra un nome buffo, in realtà è una località dove si svolse un episodio della Guerra di Indipendenza Americana.
Una sera, intorno alle 19,30 esce dalla ditta e con il suo fidato cagnolini, raggiunge la sua BMW posteggiata poco lontano, non ci arriverà mai, sarà rapita e portata via da una banda dedita ai sequestri di persona. Viene caricata su una 132 FIAT rubata in centro a Milano poche ore prima. Il cane , nel corso del sequestro, scappa in azienda, raggiunge la porta e guaisce attirando l’attenzione del personale che trovano l’auto della manager con le portiere chiuse, alcuni pacchetti sui sedili e un bottone del cappotto della donna. Subito scattano le ricerche con numerosi posti di blocco. Il timore è che faccia la fine di una precedente rapita, Enrica Marelli che morì per gli stenti subiti nel rapimento. L’auto usata per il sequestro sarà ritrovata al quartiere della Barona, con a bordo la borsa nera della donna, il suo passaporto e altri  documenti.
La donna viene portata a Savona, chiusa in una cassa di legno e segregata in un appartamento in Via Lichene, a pochi metri dalla Caserma dei Carabinieri. Nella casa è stata ricavata un stanzetta insonorizzata, con pochissimi mobili, la poveretta verrà legata con una catena alla brandina, le metteranno dei tappi di cera nelle orecchie per impedire che ascolti le conversazioni dei complici dei rapitori, tuttavia la Kauten riuscì pur se chiusa nella cassa di legno a contare i gradini della scala e questo sarà di aiuto alle indagini.
Al sequestro partecipano con diversi ruoli una dozzina di persone, uomini e donne, tutti affiliati ad un clan appartenente alla  malavita organizzata Calabrese e con base a Platì. Le indagini e le ricerche vengo portate avanti in coordinazione tra la  Questura di Milano e quella di Savona per competenza territoriale visto il luogo della prigione. La richiesta del riscatto ammonta da un miliardo di lire, che viene pagato. Ovviamente tutte le serie delle banconote consegnate agli emissari dei rapitori sono annotate mentre le indagini vanno avanti. La donna verrà tenuta in prigionia per ben 120 giorni, si ammalerà e sarà curata da un medico compiacente e poi liberata nelle campagne di Buccinasco.  Due coppie residenti a Savona una delle quali proprietaria, avevano l’onere di sorvegliarla e darle da mangiare, verranno arrestati poco dopo la liberazione dell’ostaggio.
 I rapitori inoltre commettono un errore imperdonabile, si recano al mercato scoperto del lunedì a Savona e passando da diversi ambulanti comprano merce per poche migliaia di lire pagando con biglietti da centomila, lo scopo è chiaro, vogliono riciclare il denaro del riscatto o parte di esso. La manovra non passa inosservata, vengono pedinati e poco per volta portano gli inquirenti sulle tracce di tutti componenti della banda che vennero arrestati in pochi giorni a Savona, Varazze, Reggio Calabria dove erano le menti del sequestro e in altri piccoli centri della Calabria, anche la donna di servizio della Kauten è arrestata, pare che sia la basista. A Milano fu arrestata una donna Pugliere, anch’essa coinvolta,   aveva con sé 12 milioni, e in casa deteneva numerosi reperti archeologici di grande valore. L’ultimo dei rapitori fu preso ad Aosta dopo due anni di latitanza. Della cifra pagata per la liberazione della imprenditrice furono recuperati 180 milioni in un appartamento in una località di montagna e 280 milioni a Milano. Questo rapimento fu il segnale chiarissimo che la ndrangheta stava mettendo radici in Liguria. 
Nell’82 iniziarono finalmente i controlli nelle banche da parte della Guardia di Finanza.


sabato, settembre 12, 2015

QUATTRO COLPI SECCHI



Quattro colpi nella notte
Quattro colpi secchi rompono il silenzio di una notte a luglio negli anni settanta, Savona, i colpi provengono dall’interno di un appartamento al quinto piano di un palazzo ottocentesco in centro, a poca distanza dal mare. Una mauser 7,65 impugnata da un uomo ha appena spezzato la vita di un ragazzino, suo figlio e di una giovane e bella donna , sua moglie. Poi seguendo un copione che si vedrà spesso nelle cronache, l’arma verrà puntata su di sé, e farà fuoco due volte, raggiungendo il suo scopo solo al secondo tentativo. I tre protagonisti di questa tragedia e le loro famiglie appartengono a dei livelli sociali elevati, alla cosiddetta buona borghesia. I famigliari della ragazza, il giorno successivo, allarmati dal silenzio della figlia, inviano degli amici che trovando la porta sbarrata, si calano con l’attrezzatura da arrampicata dal tetto  entrando da una finestra nell’appartamento, appena visti i corpi privi di vita, chiamano la polizia che non può fare alto che constatare l’accaduto. Nella casa si trovano un certo numero di armi da fuoco, regolarmente denunciate. Come in altri casi, verrà spontanea la perplessità sulla presenza di tutte queste armi nella disponibilità di una persona che , in quel periodo, non brillava certo per equilibrio psicologico. Chi ha sparato, infatti, era in cura presso uno psichiatra per una serie di disturbi, era molto cambiato, da persona allegra e conviviale era diventato cupo e poco incline al sorriso, forse per il lavoro imprenditoriale che lo sovraccaricava di responsabilità. Qualcuno dirà che si è trattato di un , al di là delle spiegazioni a posteriori, tre persone sono morte tragicamente, tre persone che potevano avere tutto dalla vita, ricche di intelligenza e di potenzialità, tutto a causa di una malattia che divora l’anima dall’interno che spinge a commettere gesti orrendo come questi. Terminati i rilievi di polizia giudiziaria, i tre corpi con l’autorizzazione del Magistrato, furono trasportati all’obitorio e composti per il funerale che si svolse in forma strettamente privata. Vennero inumati uno accanto all’altro in tre loculi vicini. La città tutta fu impressionata da questa strage e ancora oggi molti passando per la via centrale dove si affaccia il palazzo della tragedia, alzano lo sguardo per guardare la facciata in stile liberty e le finestre di quel quinto piano.
Roberto Nicolick



CRISTINA....un cold case


Cristina
Per anni aveva aiutato la madre e il padre, nella gestione di  una piccola  gioielleria in centro a Savona, poi deceduti i genitori, aveva ceduto l’attività, continuando il suo lavoro come impiegata in ente pubblico. Cinquantenne, alta e magra, con gli occhi sporgenti e i capelli di un vistoso colore rosso, la si vedeva passeggiare per le vie dello struscio savonese, dopo la separazione dal marito in compagnia del suo cagnolino. Era una figura caratteristica della città. In estate si sedeva sulle panchine dei giardini della piazza della ex stazione per sfuggire al caldo, oppure per cercare qualcuno con cui scambiare qualche parola, preferibilmente uomini. La donna era invalida civile per un deficit visivo, pareva non avere svaghi particolari, fumava molto e giocava al lotto e basta. Abitava in un appartamento all’angolo tra Via Luigi Corsi e Via Guidobono, al secondo piano, da dove la si notava  affacciata a guardare la strada, come se aspettasse qualcuno.
Questa era l’immagine pubblica, in realtà c’erano altri interessi, la donna era una accanita giocatrice, inseguiva i numeri ritardatari, spesso perdeva cifre rilevanti e qualche volta vinceva, era cointeressata nella compravendita di oggetti antiquariato e in oro, era attratta dal mondo della divinazione e dell’occulto, progettava di leggere lei stessa i tarocchi a richiesta infatti aveva anche messo un annuncio sui giornali, consolidava le amicizie occasionali che faceva anche per strada, soprattutto quelle maschili .
In una mattina di settembre del 2006 , una sua amica dopo averle telefonato inutilmente diverse volte, pensando al peggio, telefona il 118. Alle 12,30 circa, Cristina verrà trovata distesa sul letto in un lago di sangue, con alcune profonde ferite da arma da taglio al collo e al petto, un cordoncino stretto attorno al collo , molte ecchimosi segnano i suoi arti e il tronco, schizzi di sangue macchiano le pareti, la casa  è a soqquadro e la televisione è accesa con il volume alto. L’autopsia stabilirà la morte nella notte tra il 23 e il 24 settembre, confermerà che qualcuno l’ha colpita con violenza e che lei si è difesa, almeno per quanto ha potuto, il setto nasale è fratturato, è stata colpita con un coltello che ha provocato vaste emorragie e infine è stata strangolata con un cordoncino da tenda. L’arma del delitto è a terra e viene esaminata. Chi l’ha uccisa non ha rubato nulla dall’appartamento, nonostante nella casa fossero presenti una somma di denaro e gioielli.
Da subito si sospettò di due persone che frequentavano la sua casa, un pregiudicato e un promotore finanziario e anche di un tossicodipendente con cui lei ebbe una vivace discussione ai giardini, ma risultarono tutti estranei al fatto. Si cercò fra le sue numerose frequentazioni maschili e si stabilì che la donna riceveva nel suo appartamento, non sempre questo avveniva per motivi legati al sesso o per denaro. Anzi qualcuno dei suoi non era sicuramente prestante dal punto di vista sessuale. La donna frequentava molti uomini, per lo più maturi, spesso conosciuti per strada o ai giardini, il che li rende invisibili agli inquirenti. Ipotizzando che l’assassino si trovi tra di essi si comprende  la difficoltà a identificarli.
Nel 2008 la procura chiese l’archiviazione. Nel maggio del 2009 si completarono alcune indagini scientifiche, dopo aver controllato i tabulati telefonici, si esaminò il sifone e lo scarico dei lavandini della casa ed in effetti si trovarono tracce di DNA , la cui quantità non permetteva di fare comparazioni con quelle di un eventuale sospettato. Si filmò anche la Messa in suffragio per non lasciare nulla di intentato. Dopo due anni e mezzo di indagini serrate dal delitto, senza alcun risultato,  la polizia iniziò a perdere le certezze iniziali. Ancora oggi, questo omicidio va a sommarsi quelli che sono avvenuti a Savona e zone limitrofe e che non hanno un responsabile. Un altro assassino in libertà.


Roberto Nicolick