Gioacchino Agnarelli
1 maggio 1945
Savona
Sembrava una mattina come
le altre, ma non lo era, alle 9 del 1° maggio del 1945, sul pontile
di ferro arrugginito, dell'ILVA di Savona stava per avere luogo una
delle tante esecuzioni sommarie, un gruppo di uomini armati in
uniforme da partigiano, stava trascinando sino all'estremità del
molo artificiale, un uomo alto e snello, con addosso una tuta da
operaio, con dei sottili baffetti , le mani legate dietro la schiena.
All'estremità opposta
del pontile c'era un pubblico composto da un centinaio di uomini,
dal volto segnato dalla fatica, tutti operai dell'ILVA, erano tutti
immobili ad osservare, terrorizzati, la scena brutale.
L'uomo nonostante fosse
legato e violentemente spintonato dagli uomini armati, continuava a
voltarsi verso gli spettatori muti, urlando con disperazione e
chiedendo aiuto nella speranza che qualcuno di quegli operai, suoi
compagni di reparto, facesse qualcosa, qualunque cosa, per aiutarlo,
ma nessuno alzò un dito per tentare almeno di bloccare quello che
stava per accadere.
I boia, raggiunta
l'estremità del pontile lo allontanarono con forza da loro,
spingendolo, gli puntarono i mitra contro e gli piantarono in corpo
una dozzina di pallottole in rapida successione.
Colpito dalla
sventagliata di raffiche il corpo cadde in mare, rimanendo a
galleggiare a faccia in giù, sballottato dalle onde e nessuno cercò
di recuperarlo, forse per paura .
Chi era lo sventurato,
vittima dei carnefici partigiani ? Si trattava di Gioacchino
Agnarelli, di 50 anni, caporeparto all'ILVA di Savona, e gli operai
che avevano assistito al suo assassinio erano suoi compagni di
lavoro, gente con cui egli aveva lavorato, gomito a gomito, sino a
pochi giorni prima, e nessuno di loro aveva detto una sola parola in
sua difesa lasciando che si compisse l'atto infame del suo omicidio.
Agnarelli era sì
iscritto al Partito Fascista Repubblicano, ma nonostante la sua fede
politica aveva nascosto dalla polizia politica repubblichina un
partigiano, salvandolo dal plotone di esecuzione. Insomma Agnarelli
era una persona moderata, ma all'interno dell'ambiente di lavoro
qualcuno dei suoi colleghi lo odiava, in primis, in quanto
caporeparto e poi come fascista, la solita vecchia storia di rancori
mai sopiti e riesplosi dopo, nel momento migliore per poter compiere
le proprie vendette.
Agnarelli, tuttavia,
avendo la coscienza tranquilla, quando cade il Regime Fascista
Repubblicano non scappa e neppure si nasconde.
All'indomani del 25
aprile 1945, due operai dell'ILVA, in divisa da partigiano lo vanno a
prelevare e lo accompagnano al carcere di S. Agostino, dove erano
detenuti molti fascisti in attesa di essere giudicati dai tribunali
del popolo.
Qui è interrogato, ma
nulla emerge a suo carico e la polizia ausiliaria partigiana è
costretta, obtorto collo, a rilasciarlo. La moglie e il figlio
tredicenne, lo vanno ad aspettare al rilascio, abbracciandolo con
grande gioia.
Sono tutti convinti di
aver scampato un grave pericolo ma non è così. Dopo appena due
giorni i soliti noti pieni di rancore per la sua liberazione,
ritornano a casa sua, nel centro storico di Savona e lo riprendono
senza alcuna procedura o mandato, questa volta non si recano al
carcere ma direttamente all'ILVA, sul vecchio pontile rugginoso e in
disarmo, famigerato luogo di esecuzioni.
Qui Gioacchino Agnarelli
sarà ucciso con la solita crudeltà. Il suo corpo crivellato dalle
raffiche, verrà recuperato solo dopo cinque giorni, assieme ad altri
corpi di persone ammazzate dai partigiani comunisti e tumulato in una
grossolana cassa di ferro. Nel 1956, finalmente, le sue spoglie
verranno sistemate dalla famiglia in una vera bara funebre.
Poco prima di
assassinarlo, i suoi carnefici gli presero gli spiccioli che aveva in
tasca, e gli sfilarono degli anelli che portava alle dita.
Gioacchino era un
fumatore e nella tasca teneva un accendino, quasi per crudele ironia,
quelli che lo uccisero riconsegnarono ai famigliari l'accendino, solo
quello, forse perchè loro non fumavano.
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