La strage della famiglia
Turchi in località Ciatti
13 maggio 1945
Fu una strage di una
famiglia, la famiglia Turchi, i cui responsabili non furono mai
identificati. La famiglia Turchi aveva un orientamento politico
vicino alla RSI, ma non erano combattenti, non erano delatori, erano
semplicemente una famiglia normale come ce ne sono tante in allora e
adesso che abitava un casolare con del bestiame e dei campi coltivati
con cui la famiglia viveva.
C'era un padre di 65 anni,
Flaminio Turchi, la moglie Caterina Carlevari di 48 anni e le
giovani figlie, Giuseppina, detta Pia, di anni 25, Pierina di 23 e
la più giovane Maria di 20. I Turchi erano benestanti, anche per
questo la famiglia era nel mirino da tempo, subito dopo la
liberazione, le due ragazze più giovani, erano state sequestrate dai
partigiani e sottoposte al taglio coatto dei capelli, la classica
pena per le donne accusate di aver collaborato con i fascisti.
Per questo gesto di
prepotenza, il padre delle ragazze, Flaminio Turchi , uomo diretto e
deciso, si recò alla sede del CNL e protestò per la prepotenza
gravissima che le sue ragazze avevano subito
Si trattava di una cascina
isolata, abbastanza grande, che dava da vivere alla famiglia Turchi,
era localizzata sulle colline nord di Savona, in località Ciatti.
Secondo alcune voci, cinque
assassini arrivarono ai Ciatti, la notte del 13 maggio 1945,
irruppero nella casa, e fecero la strage, che ha analogie molto,
troppo precise, con quella della famiglia Biamonti, avvenuta
pochissimi giorni dopo, i cui responsabili furono però individuati,
rinviati a giudizio e condannati.
Decine di pallottole di
mitra furono sparate in uno spazio ristretto della cucina. Dopo
qualche ora, all'alba, Maria fu trovata dagli operai delle funivie
nel mezzo del bosco accanto alla cascina dei Turchi, morta
dissanguata dove si era trascinata, lontano dalla mattanza.
Gli altri componenti la
famiglia furono rinvenuti all'interno della cucina, nel cortile della
casa c'era anche il cane della famiglia ammazzato anch'esso, forse
aveva cercato di azzannare gli aggressori dei suoi padroni, è
evidente la matrice politica dei killer che compirono questo ennesimo
eccidio, partigiani comunisti.
Ipocrita fu l'atteggiamento
della polizia ausiliaria partigiana che prese solo atto
dell'accaduto.
E' molto probabile che gli
assassini dei Turchi fossero un gruppo di fuoco, coordinato o vicino
a quello che sterminarono i Biamonti di Legino.
Ci fu un seguito alla
strage, come con i Biamonti, la casa dei Turchi fu depredata di ogni
bene, denari, ori e abbigliamento.
Il parroco di Lavagnola di
quegli anni, Don Pino Cristoforoni, appena seppe dell'accaduto, salì
ai Ciatti, dove benedisse i corpi delle vittime , quindi li fece
raccogliere e caricare su di un carretto, per trasportarli al campo
santo di Zinola.
Lungo la strada che è in
discesa nelle adiacenze di Corso Ricci, il cadavere della ragazza più
giovane, Maria, sballottato dagli scossoni, pendeva in modo scomposto
dal carretto, con il capo ed un braccio che erano trascinati sulla
strada, una signora che era li accanto con la figlioletta di pochi
anni, la signora P. si avvicinò e dopo aver fatto fermare il mezzo,
riordinò in modo dignitoso il corpo della povera ragazza.
Mentre dava seguito a questo
suo gesto di pietà, arrivò un uomo, dall'aspetto ripugnante, che la
spinse via minacciandola con grevi parole. La figlia della donna, che
fece in seguito l'insegnante, non dimenticò mai questa scena,
l'atteggiamento di questo energumeno e l'odio che traspariva dai suoi
gesti. La donna spaventata ed indignata, si allontanò dal carretto
che proseguì con il suo mesto carico. La casa dei Turchi, conservò
per qualche decennio i segni delle pallottole sulle pareti interne,
poi fu abbattuta e al suo posto venne costruita una palazzina più
recente.
Roberto Nicolick
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