Gli omicidi nel triangolo
rosso della morte
Manzolino, Modena,
Castelfranco Emilia, San Giovanni in Persiceto e Sant'Agata Bolognese
La
zona del Manzolino è attualmente una enclave protetta a livello
faunistico ma nel 1945 e anche successivamente fu un sito dove i
partigiani comunisti che terrorizzavano la zona, compivano le loro
esecuzioni sommarie, la zona era compresa tra Modena, Castelfranco
Emilia, San Giovanni in Persiceto e Sant'Agata Bolognese . Fu
definita, non a caso, il triangolo rosso della morte. Essendo una
zona molto vasta , disabitata e isolata era l'ideale per scannare
fascisti o presunti tali e per occultarne i corpi nella certezza che
nessuno li avrebbe trovati. , centinaia di cadaveri o quello che ne
restava vennero rinvenuti per caso o i seguito a delle ricerche
mirate da parte dei carabinieri su denuncia dei parenti degli
scomparsi.
La
catene dei delitti, almeno quelli denunciati, iniziò nel maggio del
1945, una delle prime vittime, riconosciute dai parenti, fu un
commerciante Bolognese, Mario Nadir Polidori, prelevato presso casa
sua fu portato in un campo alla periferia di Castelfranco dove fu
ucciso e sepellito, quando venne ritrovato nella fossa comune accanto
ai suoi resti, c'erano altre cinque spoglie che purtroppo non furono
identificati. La furia omicida dei partigiani rossi si concentrò
soprattutto su chi aveva indossato una divisa, infatti Polidori
apparteneva ad una unità di elite della RSI, il Battaglione Nembo, .
A
maggio inoltrato fu la volta di Aldo Aldovini di anni 27, un ex
caporalmaggiore dell'antiaerea, il quale proveniva da Ariano ed era
diretto a Bologna per lavoro, la sua auto si fermò nottetempo
davanti ad un posto di blocco di partigiani, fu fatto scendere,
“processato” , pestato a sangue e derubato di tutto e quindi
assassinato con il classico colpo alla nuca, stessa fine impietosa
toccò a Bruno degli Innocenti anch'esso ex paracadutista del
Battaglione Nembo e quindi a Vittorio Zanoni.
Alessandro
De Stefano era un orefice e facoltoso proprietario terriero
Bolognese, che abitava un casale in quel di Recovato, fu prelevato la
sera e non fece più ritorno dai suoi, il suo corpo fu ritrovato
abbattuto con il classico colpo alla nuca, l'orefice era stato
vittima in passato di rapine ed “espropri proletari” da parte di
partigiani comunisti, a cui non si era rassegnato e che fu oggetto
da parte sua di denuncia, dopo il 25 aprile 1945, al Sindaco del
paese, i saccheggiatori per evitare di essere scoperti ed arrestati
dai carabinieri decisero di sopprimere Di Stefano, ma il primo
tentativo andò a vuoto infatti l'orefice si barricò in casa e
allora i suoi assassini dovettero tornare una seconda volta per poter
compiere il loro sporco lavoro, poi toccò al droghiere sempre di
Recovato, Bernardo Giovannoni assassinato in quanto iscritto al PFR e
il cui corpo non venne mai ritrovato, probabilmente sparito nel
Manzolino assieme a tanti altri.
Nel
giugno del 45 un delitto eccellente, il Canonico Don Giuseppe
Tarozzi,
parroco
di Riolo di Castelfranco, di lui rimase solo la dentiera sul
comodino, la notte come era loro costume, alcuni partigiani comunisti
si presentarono alla porta della canonica bussando con prepotenza .
Il sacerdote aveva terminato di recitare il breviario poco prima in
chiesa, e si era coricato . Siccome tardava ad aprire l’uscio,
abbatterono la porta con una scure, irruppero nella sua camera da
letto, e lo trascinarono via così com'era , in camicia da notte.
Alcuni
parrocchiani lo videro portare via dietro la canonica e sentirono
la voce dell'anziano prete implorare pietà, poi il poveretto
scomparve nel nulla e il suo corpo non venne mai trovato. Forse
bruciato nel forno o gettato nel pozzo nero della casa di qualche
contadino. Don Tarozzi era solo un vecchio sacerdote ma faceva parte
di coloro che potevano dare fastidio a quelli che si erano
autoproclamati padroni di quelle terre.
Dopo la scomparsa di Don Tarozzi la canonica fu completamente
svaligiata di tutto, valori, mobili, biancheria.
Un
altro misfatto che destò grande orrore nella popolazione della bassa
Modenese, fu quello relativo al duplice omicidio di una madre e di
suo figlio, la signora Rosa Neri e di suo figlio di appena 17 anni, i
due abitavano a Manzolino, furono prelevati dai soliti partigiani
comunisti, portati lontano e assassinati a raffiche di mitra.
A
questa serie di delitti molti altri se ne aggiunsero tanto che per
tutta l'estate del 1945 nessuno si azzardava a percorrere la Via
Emilia che collegava la periferia di Bologna con Modena.
Ma
tre delitti particolarmente feroci si svolsero a Castelfranco Emilia
ed ebbero come vittime tre brave persone di Piumazzo, la più grande
delle frazioni di Castelfranco, avvenuti nel maggio del 1945, Armando
Vignali e Luigi Garagnani, entrambi coniugati con famiglia , e la
terza vittima Alberto Garofani di 37 anni.
Il
Vignali e il Garagnani furono presi presso la propria abitazione da
partigiani comunisti di Bazzano e cioè Mario Anderlini agente della
polizia ausiliaria, i fratelli Aristide e Luciano Marzoli di
Piumazzo, Rino Trenti, Francesco Lambertini, Romeo Raguzzi, Arturo
Grandi.
Vignali
e Garagnani dopo essere stati sequestrati, furono portati nella casa
dei fratelli Marzoli, dove vennero sottoposti a feroci sevizie per
tutta la notte, poi all'alba più morti che vivi , vennero trascinati
in un campo isolato dove il Vignali morì quasi subito per le torture
subite e il Garagnani, che respirava ancora, fu fatto sdraiare in una
fossa e crivellato di colpi, poi gli assassini si spartirono i denari
e gli orologi delle vittime.
Quando
gli ex partigiani arrestati , resero piena confessione ai
Carabinieri, dissero che Vignali era stato torturato a morte in
quanto nel passato, da guardiacaccia aveva redarguito uno dei Marzoli
per caccia senza permesso, mentre l'esecuzione di Garagnani fu
decisa perchè da impiegato del comune aveva negato all'altro Marzoli
una dispensa dal servizio militare per motivi agricoli. Invece il
povero Garofani era un appartenente alle BBNN di Torricella di
Mantova, tuttavia era stato prosciolto dal CNL di Mantova, da ogni
accusa di collaborazionismo per cui era tornato a Piumazzo dalla
famiglia, con un regolare lasciapassare nonostante ciò, fu fermato e
fucilato dai soliti partigiani comunisti e nascosto in una fossa
assieme alle due precedenti vittime.
A
pochi giorni dall'arresto gli assassini con i ferri ai polsi,
condussero i carabinieri e i parenti delle vittime presso il luogo
dell'occultamento dei corpi delle vittime, che poterono essere
restituiti alle famiglie e avere una cristiana sepoltura.
Nel
1948, dopo centinaia di denunce e dopo tre lunghi anni di istruttoria
si svolsero i primi processi per condannare i responsabili di questi
omicidi di massa, una trentina di ex partigiani vennero processati
alla Corte di Assise di Modena, nelle indagini per gli omicidi nella
bassa Modenese furono coinvolti fra gli altri, Ermese Vanzini
latitante , Bruna Natalini meglio nota come partigiana Giovanna, suo
fratello Bruno, Mario Melotti, Bruno Bianchi , questi ultimi quattro
hanno pienamente ammesso la loro partecipazione a questi omicidi
oltre agli assassini di Piumazzo.
Questa
era la qualità morale ed umana dei partigiani comunisti , molto,
molto bassa.
Roberto
Nicolick
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