La
sparizione di Bonifazio Brandani
Bonifazio Brandani, nasce il 22 novembre 1921 a Crasciana di Bagni di
Lucca , un piccolo centro a 800 m.s.l. , nel 1940 allo scoppio della seconda
guerra mondiale, riceve la chiamata alle armi e viene inviato a Fiume,
attualmente Rijeka, come guardia di frontiera, successivamente con il suo reparto va
in Jugoslavia. Dopo l’8 settembre del 43, fa ritorno a Fiume dove viene, come
molti altri militari Italiani, preso dai Tedeschi e tradotto in Germania a
svolgere lavoro coatto. Qui la vita era molto dura, vitto scarso, continui
attacchi aerei alleati, lavoro con ben poco riposo. Gli si offre una
opportunità: quella di arruolarsi in uno dei reparti della R.S.I. che si stanno
formando a Grafenwöhr in Baviera.
Brandani non è un fascista convinto, vuole solo fuggire dalla prigionia e
tentare di tornare in patria a Casa sua, in una condizione civile. Aggregato
alla Divisione San Marco raggiunge la Liguria, e viene distaccato con un
piccolo reparto nell’entroterra di Finale Ligure, dove secondo alcune testimonianze,
conserva un atteggiamento assolutamente non violento e salva la vita ad alcuni
partigiani di Spotorno. Dopo il 25 aprile 1945, collabora con le formazioni
partigiane di Cairo Montenotte per una ricostruzione dei tessuti civili della
zona. Inizia una relazione con una ragazza di Bardino Vecchio , Ernestina
Fontana detta Tina, con cui si fidanza , la donna abita a Bardino Vecchio,
comune di Tovo S. Giacomo, dove spesso Brandani si reca per incontrarla. A
maggio del 45, mentre era in compagnia della fidanzata, viene avvicinato da
alcuni partigiani, due fratelli di Calice , tali Cesio Pierino e Giuseppe,
oltre che da Folco Carlo di Bardino Vecchio. Queste persone con la scusa di
avere dei chiarimenti da Brandani, portavano entrambi al comando partigiano di
Calice. Qui egli veniva accusato di essere un criminale di guerra e trattenuto.
Il giorno successivo, la sua fidanzata era rilasciata, mentre egli era
prelevato dalla polizia ausiliaria partigiana di Finale ligure, il cui capo era
Genesio Rosolino “tigre”, un nome che fu al centro di alcune inchieste per
esecuzioni sommarie di presunti fascisti. Da quel giorno, Bonifazio Brandani svanì nel
nulla, senza lasciare traccia. Ci fu un esposto del padre dello scomparso, Stefano,
che diede l’avvio ad una indagine del Carabinieri conclusa nel giugno del 49.
Tale indagine si scontrò contro un muro di omertà e di testimoni che
improvvisamente non ricordavano nulla di preciso e affermavano che “erano tutte
dicerie”. Il rapporto dei CC di Finale Ligure a firma Maresciallo Capo Alfredo
Tonelli, concludeva con questa frase .
A tutt’oggi agosto 2015, il suo corpo non è stato mai ritrovato, vale la pena riferire delle voci sul motivo
della sua morte, che non è da collegare alla lotta di Liberazione : queste voci
parlano di una feroce gelosia di un partigiano, dello stesso paese della Tina,
la quale lo avrebbe respinto e soprattutto, gli avrebbe preferito un
forestiero, appunto Brandani, che in
effetti era Toscano. Da qui la rabbia e l’omicidio, motivato formalmente dal
fatto che Bonifazio era un ex San Marco. Non è un caso che fra i tre partigiani
che sequestrarono la coppia, ci fosse un abitante di Bardino Vecchio e altra
terribile coincidenza, Tina fu rilasciata mentre il suo fidanzato sparì dalla
faccia della terra. Posso solo immaginare il trattamento che fu riservato a
Brandani e quello riservato alla Tina che riuscì a scampare alla morte a prezzo
di chissà cosa tutti noi sappiamo. Leggendo l’esposto manoscritto dal padre
dello scomparso, non posso non commuovermi leggendo una espressione che mi ha
colpito . Quest’uomo
oramai senza speranza di ritrovare il figlio ancora vivo, chiedeva anzi urlava
che venisse rispettata la Legge, quella vera.
Roberto Nicolick
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