Ennio Enrico Sardo
5 maggio 1945
Questa
è la solita vicenda di odio, di prepotenza, di voglia di dominio ad opera di
partigiani comunisti che spadroneggiavano nel periodo della guerra civile, in
questo caso specifico, nella zona del Giovo, poco sopra Albisola. E’ anche la
storia di una omertà imposta con il terrore delle armi, di gente normale che
vede persone innocenti uccise in modo sommario, magari dopo essere state
rapite, picchiate e soprattutto derubate dei loro averi, ma che si volta
dall’altra parte per paura o per pigrizia e acquiescenza. Accadde nel maggio
del 1945, i giorni del delirio di onnipotenza delle squadracce rosse che
imponevano il loro potere sulle alture che dominano Albisola e Savona. Tutti
tacciono a Giovo Ligure , a Pontinvrea, a Sassello, tutti continuano a dormire
e a fare finte di nulla, quando le squadre della morte bussano di notte, alla
porta del vicino, tutti si fanno gli affari loro, anche se vedono , si
dimenticano molto opportunamente. Non ci si può fidare di nessuno, vi sono dei
voltagabbana che ieri erano germanofili fascisti e oggi vestono la divisa di
partigiano comunista e oltre al mitra mostrano una collana fatta con delle
forbici, sempre pronti a rapare i capelli di donne sospette di
collaborazionismo e quindi da “purificare”, questa è cronaca.
In
questo calderone vive Ennio Enrico Sardo, è un ragazzo appena diciassettenne ,
suo babbo Giuseppe è un ufficiale di complemento in servizio a Cento (
Ferrara), la sua famiglia con madre e una sorella, è sfollata a Pontinvrea, per
evitare i bombardamenti aerei su Savona, sede di insediamenti industriali. Si
tratta di una famiglia serena e tranquilla , ma il fatto di essere un ex
ufficiale del regio Esercito non è un vantaggio, soprattutto agli occhi dei
Partigiani rossi, rossi per comodo, che ora gestiscono il potere nei piccoli
paesi della cintura appenninica. Ennio
soffre di una dolorosa paradentite, che cerca di curare empiricamente con degli
sciacqui di sambuco e deve recarsi dal medico dentista che ha lo studio a
Sassello. Pedala per circa 12 chilometri, da casa sua a Pontinvrea sino a
Sassello, non ha altro mezzo di trasporto che una bicicletta, un bene prezioso
per quegli anni.
Sabato
5 maggio in mattinata, Ennio esce da casa e si dirige verso Sassello per
recarsi appunto dal dentista, presso cui, quel giorno, ha fissato un
appuntamento. Con sé oltre alla bicicletta, ha 4000 lire e la solita borraccia
di acqua e sambuco per sciacquare la bocca che è dolorante. La madre e il padre
lo salutano alle 13:30 quando esce di casa e da quel momento non lo vedranno
più. Alla sera il ragazzo non fa ritorno a casa e così sino al 24 maggio 1945,
quando il suo corpo in avanzato stato di decomposizione verrà dissepolto da una
delle fosse scavate nei pressi di una fortificazione a Giovo, Forte Scarato.
Per
giorni, dalla scomparsa, il padre, disperato, bussò a tutte le porte per avere
notizie del figlio : Carabinieri, Questura di Savona, parroci dei paesi
limitrofi, amici, vicini. L’ipotesi era che, in bici avesse avuto un incidente e che magari
il povero Ennio giacesse in qualche casa, ferito ed impossibilitato a muoversi
e a raggiungere la famiglia. Poi il padre si recò dal comando partigiano del
distaccamento della II Brigata Mario Sambolino, e qui avvenne un fatto strano:
uno dei capetti gli disse in malo modo, che Ennio era addirittura, un
appartenente, alle Brigate Nere, un torturatore, un assassino di patrioti. A
queste affermazioni, completamente prive di fondamento, Giuseppe Sardo rimase
interdetto e sorpreso vista la fantasia su cui erano basate queste parole. A
questo punto il partigiano, forse resosi conto di aver fatto un passo falso,
dichiarò che comunque non ne sapeva nulla di dove fosse il giovane Ennio. Il
genitore uscì dal comando partigiano del Giovo,con un triste presentimento,
convinto che in quel posto sapevano molto di più di quello che volevano far
credere.
Intanto
tutti i paesani evitavano il padre, lo dribblavano quando egli chiedeva
informazioni del figlio. Le voci , nel
frattempo , giravano e uno dei partigiani decise di partire precipitosamente per
il Sud America, lasciando dal posto di lavoro. Una cappa di omertà aveva nascosto agli occhi
di tutti la sorte di Ennio e non solo, di altri che erano stati assassinati e
occultati in alcune fosse ignote a Forte Scarato, un sito ideale , lontano
dagli sguardi curiosi, dove occultare corpi di persone scomode. Una soffiata di
un confidente indirizzata ad un medico
Savonese Francesco Negro , fece sì che fosse
recuperato il corpo del povero ragazzo, giaceva in una buca, accanto ad
altre, dove erano seppellite alcune vittime ignote di esecuzioni sommarie dei
Partigiani Comunisti. Era il 24 maggio del 1945. La bicicletta di Ennio era
sparita , la sua borraccia con il sambuco anche e soprattutto erano spariti i
soldi che egli aveva con sé: 4000 lire, soldi presi da chi lo aveva assassinato.
Nessuna indagine venne mai intrapresa, nessuno pagò mai per questo omicidio. Fu
una delle tante morti bianche compiute in spregio alla giustizia ed alla legge
degli uomini e di Dio. Un quotidiano di Genova diede la notizia del
ritrovamento delle fosse a Forte Scarato, senza dare troppi particolari. Non fu
celebrata nessuna funzione religiosa , a causa delle minacce fatte alla
famiglia Sardo e ora da tanti anni, il povero Ennio giace nella tomba di
famiglia presso il Camposanto di Savona mentre i suoi assassini , ancora per
decenni camminarono a testa alta per le strade del Savonese mentre tutti
sapevano del crimine di cui si erano macchiati, impuniti dalla giustizia degli
uomini.
Roberto
Nicolick
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