domenica, giugno 29, 2025

Bernardo Fucione, Caterina Patrone, Oreste Fucione Località Campasso, Stella Santa Giustina ( Savona) 21 giugno 1925 Bernardo Fucione di anni 56, la moglie Caterina Patrone di anni 40, e il piccolo figlio Oreste di appena 12 anni, si guadagnavano da vivere facendo gli agricoltori, abitavano una piccola cascina in località Campasso a poca distanza dall’abitato di Stella S. Giustina. L’intero nucleo famigliare venne sterminato in pochi minuti intorno alle 12,30 . Fu una strage compiuta a colpi di roncola o di accetta , il primo corpo ad essere trovato è quello del capo famiglia, Bernardo, che ha tentato di fuggire lungo un sentiero che scende al paese ma è stato inseguito e raggiunto e colpito ripetutamente e lasciato in una pozza di sangue, poi è stata rinvenuta la moglie, ammazzata in casa, al primo piano in camera da letto e abbattuta anch’essa, con diversi colpi di accetta, poi il figlio, il piccolo Oreste, il quale deve aver sentito le urla della donna e probabilmente ha tentato la fuga ma anch’esso ha fatto poca strada, raggiunto e ammazzato sempre con la stessa arma poi abbandonata accanto al corpicino, rossa di sangue sino alla metà del manico. Alcuni contadini dopo aver rinvenuto i tre cadaveri corsero ad avvisare i Carabinieri che accorsero sul posto in seguito piantonato dai soldati che sono di guarnigione al Forte del Giovo sino all’arrivo del magistrato. C’è una coincidenza inquietante, nello stesso paese qualche mese prima, un contadino fece la stessa orrenda fine della famigliola Fucione, nella stalla della sua casa colonica solo la moglie riuscì ad avere salva la vita fingendo di non conoscere l’omicida che invece le era ben noto. Due ragazzini Faustino e Pierino Pescio, amici di giochi dell’Oreste, sono gli unici testimoni oculari del pluri omicidio , affermarono che mentre erano sul versante della collina di fronte alla cascina, di aver inteso delle urla disperate e di aver quindi visto Oreste correre disperatamente inseguito da un uomo armato di una scure. Essi riconobbero nell’inseguitore tale Luigi Frecceri, infatti gridarono all’indirizzo dell’inseguitore < è Luigi è Luigi !> ma nonostante fosse sicuro di essere stato riconosciuto, non desistette dall’inseguimento, anzi li minacciò da lontano agitando la scure verso di loro. Luigi Frecceri, un trentenne forte e robusto, era il nipote di Caterina, frequentava assiduamente la casa dei Fuscione. Uomo molto solitario e di carattere chiuso, non aveva mai avuto una fidanzata, emigrato in Nord America, aveva soggiornato qualche anno in California e poi con i soldi guadagnati, era tornato a Santa Giustina comprando un casolare a circa 200 metri dalla abitazione dei Fuscione dove abitava da solo, lontano dai suoi fratelli con cui non aveva rapporti. Da una delle ricostruzioni dei Carabinieri, Frecceri intorno alle 12 di quel giorno fosse a casa della zia, di cui era appunto assiduo e con cui aveva iniziato una animata discussione, nella camera al primo piano, forse il confronto ha preso una brutta piega e Freccero ha colpito la donna con l’accetta alla guancia e al braccio destri, quasi recidendo di netto la mano dal polso, il colpo successivo lo calò sul capo abbattendo la donna. Il marito era nella stanza attigua che si radeva con un rasoio, sentendo l’accaduto entrò nella stanza da letto e con quello strumento affrontò il nipote ferendolo al viso, ma ebbe la peggio e tentò di fuggire da basso per le scale, inseguito dall’assassino che lo raggiunse in fondo al sentiero e lo colpì ripetutamente alla nuca sino ad ucciderlo. Il piccolo Oreste aveva visto tutto, bloccato dal terrore, appena vide l’assassino puntare verso di lui provò a scappare ma venne raggiunto dalle lunghe falcate dell’uomo e colpito alla tempia, alla guancia e al viso che si aprì in due parti. Poi Freccero posata la scure, fuggì nel bosco verso la sua abitazione, questa è la versione ufficiale del fatto anche se ce ne furono altre non suffragate da elementi probanti. I bimbi che assistettero al macello di Oreste diedero l’allarme in paese ai contadini che corsero a portare soccorso, inutilmente , infatti i tre corpi erano devastati, e ai Carabinieri che iniziarono subito le ricerche di Frecceri. Fu rastrellata tutta la zona, anche una miniera venne ispezionata senza trovare nulla. Il giorno successivo , una pattuglia di Carabinieri di Stella S. Giovanni trovano il cadavere dell’assassino che galleggiava in laghetto denominato Gotto, morto da ore. L’orologio era fermo alle 13, quindi la morte risaliva a mezzora dopo la strage, anche in questo caso non si appurò se fosse stato un suicidio oppure una caduta incidentale finita in un annegamento.

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Claudio Benvenuti Varazze 17 novembre 1981 Claudio è un giovane di 24 anni, appartiene a quella schiera di ragazzi che vivono e fanno vivere anche agli altri, i problemi della tossicodipendenza. La madre , vedova da circa due anni, e il fratello minore lo trovano morto alle sette del mattino, con il petto squarciato da un colpo di doppietta caricata a pallettoni, riverso a terra nel cucinino del piccolo appartamento di Varazze dove si trovava da solo. L’arma è una calibro 12, regolarmente denunciata e già di proprietà del padre della vittima deceduto due anni prima. L’arma si trovava in casa ma ad una attenta ricerca non si trova più, qualcuno dopo averla usata l’ha portata via. Non era un rapporto facile quello della madre e del fratello minore, le liti con Claudio erano frequenti e proprio quella notte, i due, dopo l’ennesima lite, erano andati a dormire da una zia della vittima. Il foro di ingresso è esteso con i bordi anneriti dalla combustione dello sparo, quindi lo sparo è avvenuto da distanza ravvicinata. La morte risalirebbe all’alba, intorno alle 5 del mattino. Qualcuno tende ad avvalorare la tesi del suicidio. Tuttavia alcuni particolari creano delle perplessità agli inquirenti: Claudio era in procinto di testimoniare ad un processo in cui un suo conoscente era alla sbarra con l’accusa di spaccio di stupefacenti, poco prima di morire in queste strane circostanze, avrebbe scritto un biglietto, trovato accanto al cadavere, in cui scagionava l’imputato dalle accuse. Claudio non fu l’unico tossicodipendente a perdere la vita in quel periodo e in circostanze tragiche. Su Savona aleggiava l’ombra sempre più tangibile dell’ala più dura e violenta dell’ndrangheta che non esitava a togliere di mezzo chiunque potesse nuocerle.