mercoledì, ottobre 21, 2015

L'omicidio di Vincenzo, Savona, 16 ottobre 1987

Vincenzo
16 ottobre 1987
L’uomo che come ogni mattina portava il suo cane a fare il giretto mattutino, attraversò la strada , corso Vittorio Veneto, prese le scalette in cemento per andare in spiaggia e aggirò il fabbricato dei Bagni Olimpia, erano le 6,30, non era ancora chiaro, guardando in direzione del mare vide una forma inconsueta  proprio sulla riva, dovette avvicinarsi per poter capire cosa fosse.
In questo modo fu rinvenuto il corpo senza vita di Vincenzo steso bocconi sulla battigia, 36 anni, operaio alla Esso di Vado Ligure, abitante ad Altare ma spesso domiciliato presso una sorella a Savona. Sulla spiaggia arrivarono gli inquirenti e il magistrato che diedero inizio alle indagini per appurare come fosse morto, se ci si trovava in presenza di un delitto e quindi il movente.
Ad un primo esame , il corpo era seminudo, aveva i pantaloni di tela di jeans, che ricoprivano una sola gamba, ai piedi aveva una sola scarpa, in una tasca si trova una patente ed una agendina, la testa appariva fracassata. Il corpo dopo i rilievi del caso fu trasportato all’obitorio per effettuare l’autopsia. In effetti il cranio era sfondato , forse con un oggetto contundente, e il cuoio capelluto era quasi staccato dal cranio, le ossa del viso presentavano numerose fratture, il viso era completamente sfregiato e il lobo destro era stato asportato. Se ne deduceva che l’uomo era stato sottoposto ad un feroce pestaggio e poi forse gettato in mare nella speranza che non venisse ripescato facilmente. Sul torace del morto si evidenziano due fori, uno addominale e quello di uscita lombare, per cui si presume che un oggetto come una fiocina oppure un arpione, oppure un ferro allungato lo abbia passato da parte a parte, causandone il decesso.
A qualche giorno dal ritrovamento del cadavere, a Maschio, una frazione periferica di Savona in direzione della Valbormida, si recupera la carcassa dell’auto che stava usando. Una Alfasud che gli era stata prestata dal fratello, visto che la sua era in riparazione dal meccanico. Il mezzo giace sul greto del torrente Lavanestro, un corso d’acqua che scende verso Savona e va ad immettersi da ponente nel Letimbro , il quale sfocia proprio  a breve distanza dal punto del ritrovamento del corpo di Vincenzo. L’auto non era caduta per un semplice incidente sul fondo del torrente, ma vi era stata gettata deliberatamente, e addirittura , dopo essere stata messa in una pressa.
Forse Vincenzo si trovava all’interno dell’auto e probabilmente il corso d’acqua lo aveva estratto e portato sino al Letimbro e quindi in mare, sino a farlo arenare sulla spiaggia davanti a Corso Vittorio Veneto. In quei giorni, entrambi i corsi d’acqua erano in piena e qualsiasi oggetto avrebbe percorso lunghe distanze a forte velocità.
Dalle indagini emerge che Vincenzo come tutte le sere , intorno alle 19 era uscito dallo stabilimento dove lavorava, da quel momento fa perdere le sue tracce. La sua vita privata è priva di angoli bui, separato con un bimbo di sette anni, coltivava l’hobby della pesca con canna da lancio. Gli inquirenti erano fermamente convinti che fosse stato fermato da qualcuno, sulla strada che porta  al Colle del Cadibona, aggredito ed ucciso, quindi gettato egli e la sua auto giù, dalla strada nel torrente Lavanestro.
Il particolare dell’auto schiacciata, evidentemente in una pressa industriale, lascia perplessi gli inquirenti. Nonostante gli sforzi fatti negli anni successivi, questo omicidio è ancora insoluto e Vincenzo e i suoi famigliari non hanno avuto giustizia.

Roberto Nicolick 

sabato, ottobre 10, 2015

Ornella Tassi


Ornella
Ornella è mancata, di cognome faceva Tassi, era una figura caratteristica di Savona, soprattutto di una certa Savona , la Savona che non la villa con piscina, la Savona che non veste griffato, la Savona che non guida il SUV, la Savona un pò simpatica e un pò cialtrona, quella che deve fare i conti per poter mangiare quel giorno ma soprattutto la Savona generosa. La sua vita non è stata certamente facile,  per vivere faceva il lavoro più antico del mondo nel modo più pericoloso, sulla strada e di notte con il rischio di incontrare gente senza scrupoli, lo ha fatto  senza arricchirsi, perché per scelta spendeva quasi tutti i soldi per mantenere i suoi cani, infatti c’era una costante nella sua esistenza, amava in un modo incredibile gli animali, in particolar modo i cani. La conobbi, una quindicina di anni fa, quando gestiva assieme al fratello un canile in cui erano presenti una quarantina di cani, questo canile era un po fuori mano, a Cadibona, bisognava passare per uno stradino e guadare un fiumiciattolo per arrivarci. Le autorità volevano chiuderlo perché affermavano che il canile non era a norma, lei mi chiamò per avere sostegno quando facevo ancora politica, ci andai e trovai un canile sui generis, con delle strutture sicuramente non a norma, ma dove i cani vivevano , a mio parere, felici e dove mangiavano tutti i giorni senza essere disturbati da nessuno. Purtroppo il canile venne chiuso e i cani in parte trasferiti, per lei fu un dolore terribile, non aveva niente d’altro nella vita, aveva trovato nella sua esistenza dura e spesso stentata un valore, delle creature che ricambiavano tutto quello che faceva per loro. Si era inventata, allora, una protesta e con un cartello appeso al collo manifestava di fronte all’ingresso del tribunale di Savona, una protesta non violenta ma per lei significativa. Ricordo di lei, il numero incredibile di sigarette che fumava , praticamente una dopo l’altra e soprattutto rammento il suo sorriso, buono e gentile, praticamente senza denti, un sorriso che trasmetteva bontà e gentilezza e suoi capelli il cui colore oscillava tra il grigio e il biondo. L’ultima volta che la vidi fu qualche mese fa, era quasi l’alba, seduta su una panchina dei giardini di Piazza del Popolo, con accanto un cane, di cui ora conosco il nome Tato, sempre con la sua sigaretta. Io attendevo il bus per Carcare e lei era lì, dopo aver passato la notte, per stare accanto al cane, mi salutò e mi raccontò l’ultimo pezzo della sua vita. Ora è mancata e penso che dovendo scegliere tra il paradiso ma senza un cane da amare, e l’inferno ma con un cane, sceglierebbe a colpo sicuro la seconda opzione, e senza esitare.

Roberto Nicolick

lunedì, ottobre 05, 2015

l'omicidio di Pierina Gallo



Pierina Gallo
Febbraio 1979
La panettiera di Cairo Montenotte
Pierina Gallo è una donna di 57 anni, notissima sia a livello commerciale e prima ancora come persona, molto stimata a Cairo Montenotte, dove in quegli anni, tutti si conoscevano e intrattenevano rapporti cordiali.  
Nativa di Cortemilia, Pierina proveniva da una famiglia di commercianti, e proprio a Cortemilia aveva ancora casa, una piccola villetta sulla strada che porta a Serole, da adolescente aveva frequentato l’avviamento professionale mostrando ottime caratteristiche intellettive. Il padre con la moglie aveva una negozio di commestibili a Borgo San Pantaleo. La famiglia Gallo decide di trasferirsi a Cairo dove apre un forno con vendita di pane in Piazza Stallani,  acquista anche un appartamento a breve distanza dal negozio. Dopo la morte dei genitori Pierina è coinvolta completamente nella attività commerciale, è sempre dietro il banco e il commercio le rende molto, la domenica, quando abbassa la serranda e va a fare una pausa, l’unica, nella sua casa natia di Cortemilia dove aveva le radici e i parenti.  
Viene trovata cadavere in casa sua, in piazza Stallani 8/1, nel febbraio del 1979, da un vicino di casa che aveva una macelleria nella stessa zona,  a pochi metri dal negozio, sgozzata con 21 coltellate di cui quelle mortali  inferte alla gola, con brutale violenza. La porta non era forzata e all’interno dell’appartamento non c’erano segni di colluttazione, solo cassetti e armadi aperti come se l’assassino avesse cercato qualcosa.
Come al solito nessuno ha visto o udito nulla di rilevante per le indagini. Qualcuno ricorda solo che poco prima dell’omicidio, un giovanotto biondo, tarchiato e con i baffi,  entrò in negozio ad effettuare un acquisto e si scambiò uno sguardo di intesa con la signora che era dietro al banco. Tra le dita della vittima fu trovata una ciocca di capelli biondi, all’epoca, siamo nel 1979, non esistevano le indagini scientifiche dei R.I.S.  e quindi la ciocca repertata sulla scena del crimine non venne mai analizzata per estrarne il DNA. Pare anche che la commerciante avesse in quel giorno un appuntamento con un rappresentante, circostanza che però non fu mai confermata.
L’unico risultato concreto delle indagini fu la denuncia ed il rinvio a giudizio per favoreggiamento, di una parente della Tina Gallo, per l’esattezza sua cognata, che negò sempre la presenza nel negozio di questo giovane biondo. In seguito sarà assolta con formula piena. Rimane ancora oggi l’interrogativo su chi e perché ha ucciso Tina Gallo con questa ferocia. Correva voce che la panettiera particolarmente benestante, prestasse denaro e che qualcuno che non essendo  in grado di restituire la somma l’avesse aggredita dopo una discussione, ma su questa ipotesi non ci furono mai riscontri oggettivi.
La Gallo lasciò una notevole eredità consistente in immobili e diversi libretti al portatore, tutta questa fortuna andò alla nipote a cui lei era particolarmente affezionata, infatti la nipote da piccola accompagnava sempre la zia nei ritorni domenicali a Cortemilia.
A distanza di 11 anni dal delitto accade un fatto rilevante che avrebbe potuto aprire nuovi orizzonti sul caso, la ciocca di capelli biondi che erano stati trovata nella mano della vittima e repertata come prova è sparita  dal Tribunale, forse nel corso del trasloco da Palazzo Santa Chiara, la vecchia sede, alla nuova sede in Via 4 Novembre, su questa distrazione non si riuscì mai a fare luce ma pare che in quegli anni non fosse la prima volta che queste sparizioni accadessero. In questo caso se in uno almeno dei capelli fosse presente il bulbo pilifero si sarebbe riusciti a risalire al DNA del proprietario e magari anche alla mano omicida che stroncò la vita di Pierina Gallo. A tutt’oggi questo è un omicidio insoluto

Roberto Nicolick

giovedì, ottobre 01, 2015

l'omicidio del tassista di Cairo Montenotte


Il delitto del tassista di Cairo Montenotte
Ettore , un bell’uomo, alto e snello, con un paio di baffi e il taglio dei capelli alla Umberta, fa il tassista a Cairo, nativo di Cortemilia, è sposato dal 1956 con una bella donna, nativa della zona,    con una bimba di tre mesi, abitano nella stessa città dove egli lavora. Con la sua autovettura una Fiat 1300,  arrotonda lo stipendio che percepisce come operaio in una industria chimica della zona , la Montecatini Azoto di San Giuseppe di Cairo, lo si può trovare posteggiato nel piazzale della Stazione Ferroviaria del piccolo centro della Val Bormida.
Il giorno in cui verrà assassinato a colpi di pistola , l’11 dicembre 1965, va nel pomeriggio in un bar a prendere un caffè al Bar Haiti, con un suo parente, da una breve occhiata ai giornali all’interno del locale seduto ad un tavolino dove poteva controllare il suo taxi, dopo una decina di minuti, esce, sale in auto e dopo l’arrivo del treno delle 17,44 da Alessandria, parte velocemente alle 17,50  dal piazzale, non è dato di sapere se avesse con sé un cliente oppure se andasse a caricarne uno.
Da quel momento si perdono le sue tracce, e viene ritrovato da una comitiva di giovani del luogo che scendevano sulla loro auto , lungo la strada in terra battuta, questi incontrano il taxi fermo, messo di traverso alla strada  con i fari accesi, subito pensano ad una coppia in cerca di intimità, poi , tornano indietro, incuriositi guardano all’interno della vettura  e vedono il corpo del tassista riverso sul sedile macchiato di sangue, subito danno l’allarme.
La vittima era stata colpita da sette pallottole calibro 7,65, una alla tempia e le altre sei alla schiena, quindi l’assassino ha ricaricato l’arma con calma per sparare il colpo di grazia, i bossoli sono stati trovati all’interno della vettura.
Il movente viene cercato subito nella rapina, ma il tassista viaggiava sempre con pochi denari con sè,quindi  si scandaglia nelle relazioni che avrebbe potuto avere lui ed eventualmente la moglie, donna molto affascinante . Infatti  la moglie venne sottoposta da un lungo interrogatorio. Trascorre qualche giorno dall’omicidio e nel centro di Cairo, in piazza della Vittoria, viene trovato sotto un bus che viaggia nella zona , il suo portafoglio con i documenti di identità.
Sino dal momento del crimine i Carabinieri si impegnarono ad ampio raggio  e interrogarono più di cento persone che potevano essere in relazione con il tassista a vario titolo. Anche un netturbino che trovò alcuni bossoli di 7,65 in piazza, fu sottoposto ad uno stringente interrogatorio, tuttavia i bossoli non risultarono compatibili con le pallottole che avevano ucciso il tassista.
La moglie continua ad essere al centro delle indagini e fra le altre cose ma nega recisamente di avere avuto amicizie maschili o che il marito ne avesse femminili, che andassero al di la della sfera coniugale, inoltre appare spaventata, non solo dagli interrogatori ma anche da altri fattori, pensa infatti, non si sa in base a quali elementi di essere anch’essa in pericolo.
La dinamica dell’omicidio è stata ricostruita in questo modo dagli inquirenti, Dessino, persona calma e tranquilla, benvoluto da tutti, carica un cliente, che gli chiede di essere portato a S. Anna, una borgata poca distanza da Cairo, raggiungibile tramite una strada sterrata poco frequentata, appena possibile, il cliente deve aver tentato di rapinarlo, non sapendo che girava sempre con pochissimi spiccioli, come emerge dalle dichiarazioni della moglie. Probabilmente il tassista deve aver abbozzato una difesa e qui è nata la sparatoria. L’auto è finita di traverso alla strada e l’assassino è fuggito a piedi.
A distanza di tanti anni, l’assassino è ancora a piede libero.

Roberto Nicolick