venerdì, settembre 04, 2020

L'omicidio di Fortunato Remigio Pelazza

 

L'omicidio di Fortunato Remigio Pelazza


18 luglio 1944

Linea Ferroviaria Alessandria – Savona


Castelletto D'Erro




Remigio Pelazza di Castelletto D'erro, nel 1936 si sposa con Giuseppina Parodi di Visone, nonostante la differenza di età, lei ha 40 anni e lui 30, il matrimonio va avanti e la coppia ha due figlie, in seguito i due dopo contrasti insanabili decidono di separarsi. La donna con le due figlie, di 5 e 4 anni, va a stabilirsi a Visone mentre il marito si stabilisce a Savona dove lavora come operaio.

Il quel periodo il Pelazza decide di aderire alla RSI e si arruola nella GNR, la moglie con cui l'accordo non è del tutto perfetto, si lascia scappare in Visone che molto probabilmente Pelazza, il suo ex marito, è una spia fascista, la solita accusa usata ed abusata in quel periodo per mettere in pericolo persone innocenti, in questo caso il catalizzatore è il disaccordo coniugale. Qualcuno ascolta queste scellerate accuse e decide di intervenire.

Il 18 luglio del 1944, era la festa patronale di visone, e come ogni domenica il Pelazza veniva a visitare da Savona le sue due bimbe verso cui nutriva un grande affetto, ricambiato da loro. Il pover'uomo, ignaro dell'accusa lanciata dalla ex moglie, porta in giro le due bimbe tra i bamchi della festa e compra loro dolciumi e balocchi.

Alla sera il padre, lascia le bimbe alla madre e si mette in cammino per tornare a casa, lungo la strada viene fermato da un gruppo di sei uomini, trascinato nei pressi della linea ferroviaria che porta ad Acqui Terme, linciato a calci e pugni senza la possibilità di difendersi e finito con una bastonata al capo, quindi è spogliato di ogni avere ed effetto personale.

Poi il suo cadavere devastato dalle percosse violentissime è infilato in un cestone di vimini e posizionato sui binari della ferrovia, il piano è chiaro si vuole che un omicidio appaia come un incidente ferroviario.

E' notte fonda e quando il treno passa maciulla il povero corpo che viene trovato all'alba in uno stato orrendo.

Ufficialmente le autorità propendono per un incidente ma la madre della vittima, una donna indomita e tenace, Maria Salea , vedova Pelazza, non crede alla versione dei fatti, mossa dall'amore materno e per la giustizia, indaga per conto suo, va in giro a chiedere a destra e sinistra e apprende delle false accuse fatte dalla ex moglie di suo figlio.

Apprende anche i nomi dei soggetti, tutti ex partigiani, che avrebbero progettato di dare una lezione al povero Remigio Pelazza, in sei contro uno. La donna si reca ripetutamente alla Procura di Alessandria e con le sue denunce fa ripartire le indagini che vengono portate avanti nonostante l'omertà che vige in quella zona, dove tutti sanno ma tutti tacciono, per paura, per pigrizia o per ignoranza civile.

Nel 1955, meglio tardi che mai, la Procura di Alessandria rinvia a giudizio presso la C.A. di Alessandria la ex moglie di Pelazza, Giuseppina Parodi di anni 40 da Visone D'Acqui per istigazione all'omicidio, gli ex partigiani accusati di omicidio, e vilipendio di cadavere sono : Terenzio Puro di anni 28, da Castelletto D'erro, Giovanni Vomere di anni 28 di Bistagno, Alberto Doglio di anni 30 da Ponti, Francesco Rotondo di anni da Crotone, Fiore Smeriglio di anni 31 da Montaldo, Pietro Parodi di anni 45 da Visone D'Acqui questo è il fratello della ex moglie della vittima. Il PM chiese per la parodi una pena di 24 per istigazione all'omicidio, per Doglio, Rotondo e Smeriglio , 21 anni per omicidio, 3 anni per furto e 4 anni per vilipendio di cadavere, per Vomere e Puro, 21 anni di reclusione per omicidio, per Parodi, il fratello della Giuseppina , l'assoluzione per insufficienza di prove dell'accusa di omicidio e 4 anni per il vilipendio di cadavere.

Dopo due soli giorni di udienze, la Corte di Assise di Alessandria ha assolto la Parodi dalle accuse per insufficienza di prove, e il fratello Pietro per non aver commesso il fatto. Ha dichiarato non doversi procedere verso tutti gli altri imputati perchè coperti da amnistia sia per omicidio che per vilipendio di cadavere. Ha ritenuto il Doglio e il Rotondo responsabili di furto e li ha condannati a tre anni e duemila lire di multa con il condono. La Corte d'Appello di Alessandria ha confermato la sentenza di primo grado della C.A di Alessandria.

In buona sostanza , hanno ammazzato a botte il povero Pelazza e lo hanno rapinato, ma non hanno fatto un solo giorno di galera, il tutto con buona pace del povero Remigio Pelazza.

mercoledì, settembre 02, 2020

L'omicidio di Sandro Bertinotti

 

L'uccisione di Sandro Bertinotti di anni 13

30 maggio 1945

Varallo Pombia


Il 30 maggio del 1945, il giovane Sandro Bertinotti di tredici anni, accompagnò il babbo lattoniere il quale doveva effettuare un lavoro di riparazione ad una grondaia, in casa di un certo Paracchini a Varallo Pombia, in Via Sempione 11.

Entrambi si trovavano sul ballatoio del secondo piano quando dal tetto sovrastante, rotolò verso di loro una bomba a mano che esplose, le schegge colpirono il giovane Sandro trafiggendogli la carotide. Egli ebbe appena il tempo di invocare “papà, papà” e poi morì fra le braccia del padre a sua volta ferito all'avambraccio destro.

Dapprima si pensò ad un gioco rischioso del bimbo, ma in seguito si accertò, che la bomba era stata lanciata deliberatamente dal retro della casa, sino al tetto rotolando sulle tegole sino a raggiungere il bimbo, inoltre la sicura che qualcuno aveva tolta fu trovata all'interno di uno stipite di una porta era quindi evidente che si trattava di un lancio deliberato, nessuno comprese il movente di un gesto così clamoroso e soprattutto criminoso, la famiglia dei giovane non aveva nemici , il babbo era stato vice sindaco di Varallo, di fede comunista.

L'unica cosa certa era che la bomba a mano proveniva sicuramente da uno dei tanti arsenali partigiani di cui era piena la zona, e un altro denominatore comune era il fatto che tutti i protagonisti della tragedia erano iscritti al PCI

Il fatto avvenne in un momento in cui c'era visibilità, ma nessuno ammise di aver visto chi avesse lanciato la bomba che uccise il piccolo Sadro Bertinotti e la pratica fu archiviata dalla magistratura per l'impossibilità di identificare un responsabile.

Chi non si arrese alla archiviazione , fu la zia della vittima, Felicita Bertinotti, una donna minuta di 48 anni, molto combattiva, di professione sarta, continuò ad indagare per proprio conto, chiedendo a sinistra e a destra, andando a cercare un movente che avesse spinto chiunque a compiere un gesto simile.

Infine dopo estenuanti ricerche , la signora Felicita appuntò i suoi sospetti su Luigi Allera, che all'epoca era il Sindaco anch'esso di fede comunista , e ogni qual volta lo incontrava lo appellava assassino sino a giungere ad aggredirlo a ceffoni .

La Felicita era convinta della colpevolezza del sindaco per questi motivi, l'uomo che lanciò la bomba, secondo alcuni, indossava una maglietta blu a righe bianche e Allera ne possedeva una, una decina di minuti prima egli andò proprio da lei a chiedere dove stavano lavorando i due Bertinotti, pochi minuti dopo il fatto egli fu visto arrivare davanti alla osteria del paese ed egli indossava la famosa maglietta a righe, altro indizio importante, la sicura della bomba fu trovata nei pressi di casa sua dai carabinieri .

Pare che il movente della morte del piccolo Sandro fosse da ricercarsi in una faida interna alla locale sezione del PCI, una quindicina di giorni prima si era svolta una riunione particolarmente accesa nella cellula comunista in cui si decise l'espulsione di Luigi Allera , in tale seduta era stato presente anche il babbo di Sandrino che aveva votato a favore della espulsione, in quanto da precise informazioni il sindaco comunista aveva barattato la priori libertà con i Nazisti, denunciando undici compagni, che erano stati arrestati e finirono in un campo di concentramento dove molti di loro persero la vita.

L'espulsione fu deliberata a maggioranza e venne divulgata in un secondo tempo. La procura di Novara ordinò il fermo cautelare del Sindaco, che tuttavia continuò a dichiarare la propria innocenza.

Nell'ottobre del 1955 il Giudice istruttore decise la scarcerazione del sospettato in quanto erano venuti a mancare indizi sufficienti per legittimare la custodia preventiva anche se la fase istruttoria continua va per l'accertamento delle responsabilità per la morte del povero Sandro Bertinotti, tuttavia all'ex sindaco fu proibito di ritornare ad abitare a Varallo Pombia e gli fu notificato il divieto di residenza a Varallo con l'obbligo di recarsi prima a Baveno e in seguito presso la figlia Mimì ad Ancona, per lasciare decantare le acque ed evitare inutili conflittualità. In seguito Allera venne prosciolto per insufficienza di prove

Il responsabile della morte del povero Sandrino Bertinotti non fu mai identificato nonostante ulteriori e successive indagini.