domenica, settembre 29, 2019

l'eccidio di Costa D'Oneglia

L'eccidio di Costa D'Oneglia ( Imperia )
L'Avvocato Ambrogio Viale, classe 1900, cattolico e politico rigoroso, nella sua qualità di prefetto di Imperia nell'immediato dopoguerra, dichiarò testualmente ad una commissione di inchiesta .
Viale si riferiva alle gesta dei partigiani rossi, nel periodo post insurrezionale e in particolare alla strage avvenuta , la notte del 4 maggio 1945, nelle vicinanze della Chiesa del Carmine, in località Capuccini, a Costa D'Oneglia e ad altre atrocità compiute, in particolare su due giovani donne , ex ausiliarie del S.A.F. , servizio ausiliario femminile, Giovanna Serini e Lidia Bosia, sequestrate a metà di giugno 1945, queste due ragazze erano semplicemente infermiere e non facevano parte del personale combattente della RSI ma vennero assassinate probabilmente perchè conoscevano i nomi degli assassini della precedente strage di Costa D'oneglia, prima di essere abbattute subirono uno stupro collettivo.
La notte del 4 maggio 1945, un reparto di poliziotti ausiliari partigiani armati, entrò nel vecchio carcere di Imperia, con una lista di proscrizione, senza alcuna giustificazione legale, prelevò 26 persone ivi ristrette con la solita accusa di implicazioni col il regime della RSI, li caricò su due camion e partì verso destinazione ignota.
Gli agenti di custodia, pochi e disarmati, non poterono opporre alcune resistenza . I mezzi raggiunsero località Capuccini, sulle alture dell'Imperiese, qui i sequestrati, legati per i polsi con del fil di ferro, sotto la minaccia delle armi raggiunsero la chiesa del Carmine dove ottennero di raccogliersi in preghiera.
I prigionieri sapevano benissimo quale fosse la sorte che li attendeva e alcuni di loro, fra cui un ex deputato del Partito Fascista Repubblicano, Pietro Salvo e altri già appartenenti alla BBNN intonarono, penso in tono di sfida, l'inno Giovinezza.
Questo fu il loro ultimo gesto di appartenenza, i partigiani comunisti li trascinarono in un un trincerone a breve distanza, e qui li massacrarono a colpi di mitra, secondo un copione consolidato anche in altre zone della Liguria. Nella concitazione del momento, uno dei prigionieri, Francesco Agnelli, pur ferito si salvò e riuscì a raggiungere una famiglia amici a Diano Castello a cui riuscì a raccontare l'accaduto prima di essere raggiunto dai killer ed essere assassinato anch'esso.
Almeno la mattanza non passò sotto silenzio, ma nonostante lo sdegno per l'accaduto altre due donne, Serini e la Bosia , rispettivamente di 22 e 25 anni, furono rapite, violentate e uccise per tappare loro la bocca per sempre.
Nel 2006, il p.m. Bernardo Di Mattei, procuratore capo della Repubblica di Imperia, coordinatore dell'inchiesta sull'eccidio, chiese al gip il non luogo a procedere. Nessun particolare utile era emerso dalle indagini, nessuna tra le persone che potrebbero aver preso parte all'eccidio, sembrava essere ancora in vita, insomma un'altra strage senza responsabili.
A Genova, in Piazza della Vittoria, nella ricorrenza dell'eccidio i militanti di un gruppo denominato Spazio Avalon, accendono ogni anno 26 torce in memoria delle vite spezzate dall'odio feroce che armò quegli assassini e Casa Pound espone uno striscione a ricordo delle 26 vittime.
R.N.



domenica, settembre 22, 2019

la strage di Schio




La notte del 6 luglio 1945, quando i partigiani garibaldini della divisione Ateo Gareni, entrarono nei locali delle carceri di Schio ( Vicenza) si trovarono di fronte a poco più di cento prigionieri inermi, classificati come appartenenti alla R.S.I., in realtà , uomini e donne di cui alcune gravide, la maggior parte erano persone che facevano la loro vita , benestanti, medici, casalinghe, maestranze della manifattura Lanerossi , e comunque pochissimi di loro avevano militato nelle formazioni armate della R.S.I. Anzi alla fine della strage, si appurò che solo poco meno di una ventina erano iscritti al partito.
Gli sventurati erano alloggiati o meglio stipati come bestie, in due piccole celle, e in un camerone quasi al buio, in attesa di essere quasi tutti rilasciati ma, guarda caso, il loro rilascio era stato rinviato appositamente per permettere alla banda di carnefici di organizzare la mattanza. Si trattava quindi di una strage voluta, programmata e pianificata.
In particolare tra la ventina di criminali, si distinsero certi Valentino Bortoloso, Teppa, e Igino Piva, i quali mostravano di avere all'interno del gruppo degli assassini una funzione di comando, esibendo fantomatici elenchi di proscrizione e parlando di ordini ricevuti da eseguire, di chi non si sa, e mai si saprà.
Dopo un'ora di discussioni tra i boia, su chi ammazzare e chi no, fatta ovviamente davanti ai prigionieri terrorizzati , ebbe inizio la strage eseguita a raffiche di mitra, che si protrasse a lungo, i partigiani spararono nel mucchio, facilitati dal fatto che nessuno poteva fuggire: a terra, immersi nel loro sangue, rimasero 54 morti di cui 14 donne, la più giovane aveva 16 anni, 47 morirono sul colpo, 7 in seguito per le ferite subite successivamente, 17 feriti si salvarono e 15 rimasero illesi perchè coperti dai corpi delle vittime precedenti.
Quindi la banda di scellerati si allontanò con le canne dei mitra ancora bollenti. Quasi da subito molti di loro scomparvero.
Erano passati quasi due mesi dalla fine della guerra, e tutte questi detenuti, non dovevano essere tenute ancora ristretti in quelle celle, inoltre, nulla a loro carico era stato prodotto per continuare ancora a privarli della loro libertà, fu una strage feroce e assolutamente inutile compiuta per motivi abbietti, che ebbe risonanza nazionale nella società civile, nella Chiesa e nelle nascenti Istituzioni.
Anche gli alleati sempre molto tiepidi verso questi fatti , rimasero colpiti e iniziarono diverse inchieste. Ci furono dei processi, tre, che portarono anche a delle condanne a morte poi commutate in ergastoli, mentre molti degli imputati si resero irreperibili scappando all'est, Praga, dove molti partigiani comunisti trovarono asilo e riparo dalla giustizia Italiana.
Chi aiutò questi soggetti ad emigrare fu l'apparato militare del P.C.I. Che non potendo negare la strage , negò l'appartenenza degli assassini alla formazione garibaldina, definendolo elementi deviati appartenenti all'ala Trozkista.
Il fabbricato , dove avvenne la strage, è ora sede della biblioteca comunale di Schio el 2009, nel cortile interno è stata affissa una targa che riporta i nomi delle martiri, poi accadde una cosa indegna nel 2016 a Bortoloso , Teppa, qualcuno ebbe la splendida idea di conferirgli la medaglia d'oro per meriti resistenziali, che egli, a 93 anni, ebbe la faccia di c....... di andare a ritirare e di appuntarsi sul petto, ma, grazie Dio, ogni tanto le cose vanno per il verso giusto, e sotto l'onda dell'indignazione popolare, sempre dallo stesso Ministero della Difesa, arrivò la revoca di questa decorazione conferita ad un indegno assassino che dovette restituirla.
Al 6 di luglio di ogni anno, i parenti delle vittime , sostenuti dalle associazioni che si riconoscono negli ideali di continuità etica e culturale, partecipano ad una messa in Duomo ed a una commemorazione pubblica, per ricordare e piangere le vittime innocenti del macello di Schio, ovviamente avversati da tutte quelle zecche che all'opposto amano gli assassini ideologizzati.
La strage di Schio rimane nella storia di questa Nazione, come uno dei fatti più orrendi, inutili e vili di cui una formazione partigiana comunista si rese responsabile, i cui componenti dopo tre gradi di giudizio, vennero ritenuti colpevole, anche se non scontarono mai per intero le loro pene.

Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.