domenica, giugno 10, 2018

L'omicidio della ex ausiliaria del SAF Maria Rosa Amodio

Maria Rosa Amodio
Avvenente e giovane ragazza dai lunghi capelli neri, membro del S.A.F. ( Servizio Ausiliario Femminile ), già condannata a morte dal C.A.S. per collaborazionismo ( Corte di Assise Speciale ) e successivamente prosciolta regolarmente con amnistia, di professione faceva la maestra elementare..
Fu uccisa ad appena 23 anni , in una tranquilla serata del 12 agosto1947, sempre dal solito assassino con tante facce, che usava la stessa pistola silenziosa, mentre si recava dal suo fidanzato, Lorenzo Calzia, abitante in Via Giacchero.
La ragazza pedalava in sella ad una bicicletta lungo Via Nizza , Località Natarella altro luogo fatale dove viveva una famiglia, i Biamonti, sequestrati, assassinati ed occultati da un gruppo di partigiani comunisti.
Nonostante i tempi pericolosi e le frequenti esecuzioni sommarie che avvenivano sia di giorno che di notte, Rosa Amodio non volle mai allontanarsi dal Savonese se non temporaneamente , convinta che non avendo fatto del male, non doveva temere nulla e infatti da circa un anno era tornata, di più non aveva rinunciato alle sue idee anzi, faceva politica per un movimento di destra.
Nei pressi di casa sua a Valleggia dove si era trasferita ad abitare in Via Rossi assieme ai suoi genitori, un suo amico impegnato politicamente anch'egli, Angelo Trucco, pochi giorni prima, era stato gravemente ferito, ma nonostante questo, lei non manifestava alcun timore, tuttavia a scanso di brutte sorprese, si faceva accompagnare a casa dal fidanzato.
Quella sera , lei troppo sicura di sé stessa era sola, pedalava allegramente sotto il sole estivo che tramontava, verso il suo amore, Lorenzo con cui aveva un appuntamento a Savona presso la Stazione Ferroviaria, ma non ci arrivò mai. La pistola silenziosa sparò ancora una volta.
Anche se nessuno vide realmente quello che accadde in tutta la sua interezza, il funzionario della squadra mobile intervenuto dopo le 22,30, sul luogo del crimine, il commissario aggiunto Renato Torre, ipotizza nel suo rapporto, che la Amodio fu seguita dal sicario sullo stesso mezzo oppure su un'auto, con l'intenzione di spararle appena se ne presentasse la possibilità, anche se testimonianze dirette e precise sul mezzo non ce ne furono
L'opportunità si è presentata nel momento in cui la ragazza stava transitando in un tratto di strada di Via Nizza, precisamente Natarella, in quel momento senza passanti e dove si trovava una autocisterna in sosta sul lato destro verso Vado Ligure, e che copriva la visuale a chi andava verso Savona, in quel istante, probabilmente, uno dei due ha puntato la pistola ed ha fatto fuoco una sola volta con grande precisione.
Colpita volutamente in pieno viso, con un'unica pallottola, appositamente per devastare un bellissimo volto come il suo, la ragazza cadde rovinosamente dalla bicicletta, rimanendo sul selciato, anche in questo caso, lo sparo non venne udito, in quanto l’arma molto verosimilmente era silenziata e si pensò immediatamente ad un incidente.
Il funzionario di polizia Renato Torre arrivato sul posto, descrive la posizione del corpo in questi termini :
“la donna di una età apparente di circa 23 – 24 anni, vestita con un abito bianco con guarnizioni colorate e un golf di lana azzurra, era distesa per la lunghezza di tutta la sua persona di traverso la strada con i piedi rivolti al muro e la testa rivolta al mare, sul lato destro per chi si dirige verso Zinola ad una distanza esatta di m. 2,33 dal ciglio della strada, il braccio destro è completamente flesso in avanti e la mano corrispondente è chiusa a pugno, il braccio sinistro è quasi parallelo al fianco sinistro e la mano corrispondente aperta sul fianco.
Il volto è completamente insanguinato e del sangue raggrumato si trova sotto la testa tanto da inzuppare completamente i capelli, dalle ferite del viso, della testa non visibili per il sangue uscito, in gran quantità defluisce il sangue stesso che va a formare una vasta pozza sul sulla strada sul lato sinistro del corpo.
Uno dei sandali che la donna calzava e precisamente quello sinistro si trova sul fianco destro del cadavere mentre l'altro è tuttora al piede, a questo punto non essendovi ulteriori constatazioni da fare. Dispongo per l'arrivo di un sanitario e per la rimozione del corpo sino ad un loculo dove rimarrà a disposizione del Magistrato”
Il primo che si avvicinò al corpo a terra fu tale Libero Albesiano il quale non notò nessuno altro nei pressi, in seguito arrivarono sul posto, attirati dal corpo a terra tali Angela Fantino e Giovanni Rosso. Tutti e tre i testimoni dichiararono di non aver sentito alcuna detonazione e neppure di aver notato passanti o ciclisti o auto in movimento.
Guardando con attenzione il viso devastato dalla pallottola , si poteva notare un foro di entrata all'angolo naso – labiale sinistro del viso.
Rosso Giovanni, tornitore, abitante in Via Nizza, fa la seguente deposizione : “ ieri sera verso le 22,10 uscii di casa per recarmi ad accompagnare la fidanzata, Fantino Angela di Legino Via Crocetta, a casa sua, giunto in località Natarella, a circa 50 m. dalla villa Gavotti, notai due ciclisti che appoggiata la bicicletta al muro e dopo aver fatto ciò tornavano sui loro passi e si fermavano a guardare qualche cosa che si trovava a terra.
Incuriosito pure io mi recai con la bicicletta della mia fidanzata presso quei due ed avvicinandomi vidi che in terra giaceva una donna con una bicicletta sul corpo.
Avvicinandomi vidi che si trattava di una giovane donna della apparente età di anni 23 riversa in una pozza di sangue, chinatomi verso di essa nell’intento di prestare aiuto notai che la ragazza era ormai spirata, l’ultimo suo movimento fu quello di muovere la testa.
Le tastai il polso e constatai che oramai non batteva più.
Gli altri due ciclisti che erano sul posto prima di me non sapevano che cosa fare ed allora io mi recai presso lo stabilimento Viani a telefonare alla C.R.I.
I due ciclisti anzidetti vengono chiamati “Benardo “ che so abitare a Legino in Via Costacavalli l’altro è biondo e abita a Legino in Via Brichetti e lavora presso la Società Derpo.
L’azione omicida fu così repentina che nessuno ebbe modo di vedere il momento peciso dell'omicidio, tranne un autista di un mezzo pesante, per l'esattezza di una autocisterna, il quale arrivato assieme ad altri curiosi nei pressi del corpo affermò spontaneamente di aver visto cadere la donna dalla bici e quindi si allontanò, cercato in seguito, presso la Ditta Viani che era nei pressi dell'omicidio e che aveva un traffico di autobotti, questo teste non fu mai identificato.
La polizia non riuscì ad identificare chi commise l'omicidio, ammesso che il gruppo di fuoco fosse in auto o in bicicletta era già lontanissimo.
Alcuni testimoni dissero di aver notato vagare apparentemente senza scopo, nei pressi della spiaggia e in un cinema estivo, vicini al luogo dell'attentato, alcuni ex partigiani.
In particolare il fratello della vittima, Piero Amodio, dichiarò che la sera stessa dell'omicidio, aveva visto passare in Via Nizza, tre giovani in bicicletta, e tra questi uno aveva pronunciato la frase “ te l'avevo detto , non aveva più di due mesi di vita”, era evidente che questa frase fosse riferita alla povera Amodio.
Le indagini identificarono due dei tre, tali Anselmi Giuseppe e Zuliani Paolo, i quali spiegarono che il loro commento era sulla attività politica dell'uccisa.
In particolare l'Anselmi Giuseppe, detto Pino, era stato poliziotto ausiliario partigiano e in merito alla deposizione del fratello della Amodio rilasciò anche questa dichiarazione verbalizzata :
“Arrivato in località Natarella vidi un gruppo di gente e tra questi riconobbi il Sig. Commissario Torre, alle dipendenze del quale prestai servizio presso il Commissariato Porto, e dopo averlo salutato gli chiesi se mi permetteva di vedere la morta, al che lui accondiscendeva. Dopo 10 minuti io e i miei succitati amici risaliti in bicicletta riprendemmo la strada del ritorno e con noi si aggiungevano altre persone sempre sullo stesso mezzo, che facevano la nostra stessa strada.
Strada facendo fra tutti i presenti nacque una discussione sul fatto e uno che non conosco disse che la morta ai suoi tempi aveva fatto del male, così non avrebbe avuto più di un mese o due di vita , a tali parole io pure dissi , si capisce una bella fine non la poteva fare, meglio lei che me “. Tocca al padre della vittima, Agostino Amodio riconoscere la figlia nel cadavere trasportato alla camera mortuaria dell'Ospedale San Paolo di Savona stesa cosa farà la madre Cambise Maria , che fa anche verbalizzare la speranza che venga fatta luce sulla morte della figlia e che la giustizia segua il suo corso.
L'autopsia fu affidata al Dottor Francesco Rossello che scrive testualmente :
“ Ad un esame autoptico e peritale incaricato dalla Procura della Repubblica di Savona sul cadavere della nominata Amodio Maria Rosa, ho rilevato dopo esame degli elementi a mia disposizione quanto segue : Tagliata con taglio la cute e resecata la calotta cranica si solleva la stessa. La parte superiore dell'encefalo appare indenne. Sollevata con la mano sinistra l'encefalo e praticati con la destra i consueti fori gli si isola l'encefalo.
All'ispezione della base del cranio l'apofisi basilare dell'osso occipitale appare fratturata , il bulbo appare leso e le meningi che lo fasciano lacerate. Dura madre e meningi all'altezza dell'occipitale specialmente antero lateralmente appaiono anch'esse abbondantemente lacerate.
Ala base del cervello in corrispondenza dell'emisfero destro a circa 2 cm. dal foro occipitale nella circonvoluzione temporale occipitale mediale si nota una lesione continua che si affonda nella materia celebrale per circa 5 cm.
Sezionando la materia celebrale per circa 5 cm. della suddetta zona si rinviene un corpo metallico a forma cilindrica ogivale del diametro di mm. 7,65 e della lunghezza di circa 3 mm.
Prosegue il medico “La Amodio è deceduta per lesione bulbare in seguito a trauma, la morte è avvenuta sul colpo. Il mezzo con cui la Amodio è deceduta è rappresentato da un proiettile di rivoltella calibro 7,65, munita probabilmente di silenziatore.
La morte è avvenuta circa 38 ore prima della esecuzione dell'autopsia.
Il proiettile ha seguito il seguente tragitto: è penetrato all'angolo naso labiale di sin., ha perforato il mascellare superiore di sinistra, fratturato il vomere, ha attraversato le coane nasali, è penetrato nel bulbo attraverso il foro occipitale , fratturando l'apofisi bresillare dell'osso occipitale e si è quindi affondato per una profondità di circa centimetri 3, nella circonvoluzione temporo-occipitale mediale dell'emisfero di destra.
La direzione del proiettile risulta la seguente : dal basso verso l'alto, da sinistra a destra.
Maggiori difficoltà si incontrano per stabilire con esattezza la distanza da cui il colpo è stato sparato e se l'arma era munita di un silenziatore.
Le mie ricerche in letteratura e presso l'istituto di Medicina Legale di Genova sono riuscite infruttuose, non esistendo a tutt'oggi pubblicazioni o comunicazioni su traumi da arma da fuoco munita di silenziatore.
Tuttavia considerato che, nelle armi con il silenziatore, la carica di scoppio sia lasciata invariata, essendo la espansione dei gas compressa dal silenziatore si può arguire che la forza di propulsione del proiettile sia diminuita e quindi la distanza da cui la Amodio è stata colpita sia minore che non con arma normale , in base a questa ipotesi la distanza il colpo potrebbe variare da metri 0,50 a un metro.
Nel caso invece che l'arma non fosse munita di silenziatore il colpo risulterebbe sparato da circa due metri di distanza.
Resta da esaminare il caso che la carica di scoppio sia stata aumentata a causa del silenziatore. In tal caso si ha ragione di ritenere il colpo sparato come da normale arma senza silenziatore.
Concludendo la distanza da cui il colpo è stato sparato oscilla tra i metri 0,50 e i metri due. Questo secondo le mie ricerche in scienza e coscienza.”
C’è anche la testimonianza della madre della Amodio, Cambise Maria, la quale afferma che nei primi di novembre del 46, la figlia aveva ottenuto da un produttore di tessuti di Jesi, la rappresentanza di lana grezza che lei vendeva nelle fabbriche Savonesi, attraverso i comitati di fabbrica. In particolare aveva un contatto con un dipendente della camera del lavoro di Savona, tale Denari Lino, che piazzava il prodotto presso gli operai e poi la pagava alla Rosa dopo aver trattenuto una percentuale. Tutto andò bene per un po, poi accadde che il Denari trattenne una partita di lana senza dare a mia figlia il corrispettivo in denaro. Saputa la cosa feci presente a mia figlia il pericolo di perdere quella somma di denaro ma lei si mostrò sicura di recuperare i soldi dicendo “ Denari ha tutto l’interesse a darmi i soldi della partita , in quanto so di molte cose disoneste fatte da lui nella camera del lavoro” che poteva fare valere nelle sedi opportune. A riprova delle sue affermazioni Maria Rosa mi mostrò dei fogli del registro della camera del lavoro che sostenevano le sue accuse verso il Denari.
Il Denari Lino sentito dagli inquirenti diede le spiegazioni del caso, affermando che non aveva ancora consegnato il dovuto alla Amodio perché non avevano ancora potuto vedersi, inoltre affermò che la ragazza gli era stata presentata dallo zio di lei, Rais Giovanni precedente segretario della camera del lavoro e con essa aveva stipulato un accordo verbale per piazzare la lana grezza nelle fabbriche per sviluppare in seguito la società con un suo amico, Fossati Adriano.
Con questo soggetto aveva progettato di andare a Jesi, Ancona, per incontrare il produttore e sviluppare la società probabilmente per bypassare la Rosa Amodio.
Prese il treno per Genova e mentre attendeva il successivo per Bologna delle 20,45 spedi due cartoline, una alla fidanzata e l’altra a sua mamma. Sicuramente Denari tentava di subentrare slealmente alla Amodio, il che non è un reato penale ma indubbiamente era in grado di dimostrare che al momento dell’omicidio era in altro luogo.
Il funerale di Maria Rosa Amodio si svolse a Savona, partendo dalla camera mortuaria del vecchio Ospedale San Paolo.
Nel corteo composto da tanti ex camerati della Rosa Amodio , alcuni di loro alzando lo sguardo notarono affacciati alle finestre del nosocomio, dei personaggi con la cappa bianca dei “portantini”, che ghignavano al passaggio della bara. Questi personaggi, erano tutti ex partigiani comunisti che non apparivano dispiaciuti per la morte di una “fascista” nonostante fosse una ragazza poco più che ventenne.
I genitori e il fratello della ragazza, a corpo ancora caldo, furono minacciati affinchè non si costituissero parte civile al processo e infatti così fecero dando soddisfazione agli assassini della figlia.
Il fidanzato della poveretta Lorenzo Calzia, pieno di rabbia per quella che era successo, si mise ad indagare per conto proprio, volendo vendicarsi, ma dopo qualche giorno di ricerche, qualcuno gli imbottì la porta di casa in Via Giacchero, dove abitava con la sorella e la madre, con una carica di tritolo e la fece saltare. Lorenzo a quel punto dovette lasciar perdere sapendo a cosa sarebbe andato incontro. Anche al processo apparve spaventato e intimorito, tanto da deporre con voce bassa di fronte alla Corte. Indubbiamente egli sapeva come tutti, che frammisti al pubblico c'erano gli assassini della sua fidanzata che con la loro presenza tentavano di intimorire i testi.
Della morte di Rosa Amodio, fu inizialmente incolpato tale Carlo Marzola detenuto nel carcere di Oneglia, che in seguito venne discolpato da Pietro Del Vento il quale si autoaccusò dell'omicidio della ragazza.
( il brano è tratto dal mio prossimo libro attualmente il lavorazione "I delitti della pistola silenziosa" )