martedì, gennaio 05, 2016

L'omicidio insoluto di Giuseppe Cristino, Cutlin

Giuseppe Cristino “Cutlin”
Località Monte Cerchio del Carretto, Cairo Montenotte
1 gennaio 1976
Francesco Giuseppe Cristino di anni 77 detto Cutlin, è un agricoltore, abita una sperduta cascina del basso Piemonte, tra la Valle Bormida e le Langhe in località Monte Cerchio del Carretto. Il suo corpo sarà trovato con il cranio devastato da numerosi fendenti di una scure, abbandonata con la lama sporca di sangue,  a poca distanza dal cadavere.  La vittima verrà trovata da un operaio di passaggio,Aldo Bozzolasco di Cengio, steso bocconi nel cortile di casa a pochi metri dalla porta di ingresso, accanto a due pozze di sangue, il che fa supporre che la vittima nonostante gravemente ferita abbia tentato di rifugiarsi in casa.
Le ferite sono molto profonde e hanno determinato forti emorragie, shock traumatici, si accerta che la morte che deve essere avvenuta  tra il 31 dicembre e il primo gennaio 1976. Il contadino viveva da solo, in un casale raggiungibile  dopo una mezzoretta di cammino dalla strada provinciale, non aveva amicizie, faceva una vita solitaria e tranquilla, dedita solo ed unicamente al lavoro dei campi che svolgeva autonomamente, pur avendo cinque figli, 4 maschi ed una femmina. Campava con una piccola pensione, con i frutti della terra che coltivava e con il taglio del bosco. Scandagliando nella vita privata della vittima, da alcune voci di paese, si apprende che avrebbe avuto un figlio illegittimo da una contadina della zona con cui intrattenne una relazione adulterina, questa donna sarebbe deceduto qualche giorno fa e il figlio naturale avrebbe ora 23 anni.
Nelle tasche della vittima c’erano 15 mila lire in biglietti da mille e nella casa centomila lire, inoltre quel giorno  Cristino avrebbe concluso una vendita di una partita di legname pagata con un assegno di 24 mila lire. Secondo gli inquirenti il Cristino, il giorno della sua morte, avrebbe ricevuto una persona, conosciuta, all’interno della casa, con cui è nata una lite, degenerata in una violenta colluttazione, proseguita fuori dal casolare e culminata con una prima serie di colpi di scure al cranio. Benché gravemente ferito, il contadino avrebbe tentato di rientrare in casa, ma  l’assassino non gli avrebbe dato tregua, inseguendolo dentro, dove lo avrebbe ulteriormente colpito, finendolo. Anche l’aggressore è rimasto  ferito, lo prova una traccia di sangue che parte dal cortile e prosegue per un sentiero, allontanandosi dalla casa. Tutta la zona attorno alla abitazione viene attentamente rastrellata alla ricerca di indizi che possano aiutare gli inquirenti.  Nessuno ha assistito al delitto e si tratta di una azione di impeto e non  una  rapina finita male.
Le indagini dei Carabinieri proseguirono , furono interrogati i congiunti della vittima, in particolar modo la figlia Elvira, sposata con un contadino di 50 anni, Cesare Bellino,  e il loro figlio Elvio ventunenne e l’altra figlia di 12 anni, inoltre fu  sentito un muratore che precedentemente risiedeva a poca distanza dalla cascina e che avrebbe avuto con la vittima frequenti contrasti e litigi per motivi di confine, inoltre questa persona sarebbe stato al corrente delle abitudini del contadino. Nei giorni successivi fu fermato ed indagato per falsa testimonianza un contadino, tale Tommaso Pregliasco, che transitò per ben due volte, alle 16 e alle 18 del 31 dicembre, a pochi metri dalla porta di ingresso della cascina e stranamente affermò di non avere notato nulla di anomalo.
 Uno dei figli dell’ucciso, Domenico,  non esitò ad accusare dell’omicidio il marito della sorella, Cesare Bellino. La moglie, interrogata, confermò la sua dichiarazione. In buona sostanza Elvira e Domenico affermarono davanti ai Carabinieri, che Cesare aveva dell’astio nei confronti del suocero. Qualche tempo prima Cesare abitava con la moglie, nella cascina dello suocero, il quale lo aveva sfrattato dalla casa, costringendolo ad abitare in un casolare in località Carretto dove viveva stentatamente coltivando un piccolo appezzamento di terreno. Il vecchio contadino aveva una simpatia per uno dei figli di Cesare, che non era suo figlio naturale ma di un precedente matrimonio della moglie.  Elvira e Domenico, avrebbero sentito testualmente Cesare sostenere di essere andato presso la cascina di Monte Cerchio e di “aver fatto fuori il vecchio”. Bastarono queste dichiarazioni  per fermare e indagare il presunto omicida e  rinviarlo a giudizio per omicidio volontario, dopo  18 giorni di indagini. Il processo si svolse in Corte di assise a Savona.  Ma nel corso del processo, l’imputato che apparentemente  non sembrava  un  individuo particolarmente pericoloso ma al contrario dimesso e frastornato, dimostrò di aver passato la giornata e la notte lontano dalla cascina dove avvenne l’omicidio.  Tutti i testimoni dell’accusa, Elvira e Domenico Cristino, ritrattarono le accuse fatte nella fase dell’istruttoria, scagionando praticamente l’imputato, la prima perché affermò che temeva per la vita dei suo figli e il secondo affermando di avere una salute talmente malferma da non essere sicuro di aver capito bene le confidenze dell’imputato. In base a queste ritrattazioni Cesare Bellino fu prosciolto dall’accusa. A tutt’oggi anche questo omicidio è impunito.


sabato, gennaio 02, 2016

la morte di Ennio Sardo

Ennio Enrico Sardo
5 maggio 1945
Questa è la solita vicenda di odio, di prepotenza, di voglia di dominio ad opera di partigiani comunisti che spadroneggiavano nel periodo della guerra civile, in questo caso specifico, nella zona del Giovo, poco sopra Albisola. E’ anche la storia di una omertà imposta con il terrore delle armi, di gente normale che vede persone innocenti uccise in modo sommario, magari dopo essere state rapite, picchiate e soprattutto derubate dei loro averi, ma che si volta dall’altra parte per paura o per pigrizia e acquiescenza. Accadde nel maggio del 1945, i giorni del delirio di onnipotenza delle squadracce rosse che imponevano il loro potere sulle alture che dominano Albisola e Savona. Tutti tacciono a Giovo Ligure , a Pontinvrea, a Sassello, tutti continuano a dormire e a fare finte di nulla, quando le squadre della morte bussano di notte, alla porta del vicino, tutti si fanno gli affari loro, anche se vedono , si dimenticano molto opportunamente. Non ci si può fidare di nessuno, vi sono dei voltagabbana che ieri erano germanofili fascisti e oggi vestono la divisa di partigiano comunista e oltre al mitra mostrano una collana fatta con delle forbici, sempre pronti a rapare i capelli di donne sospette di collaborazionismo e quindi da “purificare”, questa è cronaca.
In questo calderone vive Ennio Enrico Sardo, è un ragazzo appena diciassettenne , suo babbo Giuseppe è un ufficiale di complemento in servizio a Cento ( Ferrara), la sua famiglia con madre e una sorella, è sfollata a Pontinvrea, per evitare i bombardamenti aerei su Savona, sede di insediamenti industriali. Si tratta di una famiglia serena e tranquilla , ma il fatto di essere un ex ufficiale del regio Esercito non è un vantaggio, soprattutto agli occhi dei Partigiani rossi, rossi per comodo, che ora gestiscono il potere nei piccoli paesi della cintura appenninica.   Ennio soffre di una dolorosa paradentite, che cerca di curare empiricamente con degli sciacqui di sambuco e deve recarsi dal medico dentista che ha lo studio a Sassello. Pedala per circa 12 chilometri, da casa sua a Pontinvrea sino a Sassello, non ha altro mezzo di trasporto che una bicicletta, un bene prezioso per quegli anni. 
Sabato 5 maggio in mattinata, Ennio esce da casa e si dirige verso Sassello per recarsi appunto dal dentista, presso cui, quel giorno, ha fissato un appuntamento. Con sé oltre alla bicicletta, ha 4000 lire e la solita borraccia di acqua e sambuco per sciacquare la bocca che è dolorante. La madre e il padre lo salutano alle 13:30 quando esce di casa e da quel momento non lo vedranno più. Alla sera il ragazzo non fa ritorno a casa e così sino al 24 maggio 1945, quando il suo corpo in avanzato stato di decomposizione verrà dissepolto da una delle fosse scavate nei pressi di una fortificazione a Giovo, Forte Scarato.
Per giorni, dalla scomparsa, il padre, disperato, bussò a tutte le porte per avere notizie del figlio : Carabinieri, Questura di Savona, parroci dei paesi limitrofi, amici, vicini. L’ipotesi era che,  in bici avesse avuto un incidente e che magari il povero Ennio giacesse in qualche casa, ferito ed impossibilitato a muoversi e a raggiungere la famiglia. Poi il padre si recò dal comando partigiano del distaccamento della II Brigata Mario Sambolino, e qui avvenne un fatto strano: uno dei capetti gli disse in malo modo, che Ennio era addirittura, un appartenente, alle Brigate Nere, un torturatore, un assassino di patrioti. A queste affermazioni, completamente prive di fondamento, Giuseppe Sardo rimase interdetto e sorpreso vista la fantasia su cui erano basate queste parole. A questo punto il partigiano, forse resosi conto di aver fatto un passo falso, dichiarò che comunque non ne sapeva nulla di dove fosse il giovane Ennio. Il genitore uscì dal comando partigiano del Giovo,con un triste presentimento, convinto che in quel posto sapevano molto di più di quello che volevano far credere.
Intanto tutti i paesani evitavano il padre, lo dribblavano quando egli chiedeva informazioni del  figlio. Le voci , nel frattempo , giravano e uno dei partigiani decise di partire precipitosamente per il Sud America, lasciando dal posto di lavoro.  Una cappa di omertà aveva nascosto agli occhi di tutti la sorte di Ennio e non solo, di altri che erano stati assassinati e occultati in alcune fosse ignote a Forte Scarato, un sito ideale , lontano dagli sguardi curiosi, dove occultare corpi di persone scomode. Una soffiata di un confidente  indirizzata ad un medico Savonese Francesco Negro , fece sì che fosse  recuperato il corpo del povero ragazzo, giaceva in una buca, accanto ad altre, dove erano seppellite alcune vittime ignote di esecuzioni sommarie dei Partigiani Comunisti. Era il 24 maggio del 1945. La bicicletta di Ennio era sparita , la sua borraccia con il sambuco anche e soprattutto erano spariti i soldi che egli aveva con sé: 4000 lire, soldi presi da chi lo aveva assassinato. Nessuna indagine venne mai intrapresa, nessuno pagò mai per questo omicidio. Fu una delle tante morti bianche compiute in spregio alla giustizia ed alla legge degli uomini e di Dio. Un quotidiano di Genova diede la notizia del ritrovamento delle fosse a Forte Scarato, senza dare troppi particolari. Non fu celebrata nessuna funzione religiosa , a causa delle minacce fatte alla famiglia Sardo e ora da tanti anni, il povero Ennio giace nella tomba di famiglia presso il Camposanto di Savona mentre i suoi assassini , ancora per decenni camminarono a testa alta per le strade del Savonese mentre tutti sapevano del crimine di cui si erano macchiati, impuniti dalla giustizia degli uomini. 

Roberto Nicolick