lunedì, novembre 28, 2016

Gemisto



Gemisto

Il numero civico 8 di Via Gorizia a Genova Sturla è una tranquilla palazzina di cinque piani, al 16 , quella mattina intorno alle 10 di un giorno di dicembre del 1966, una donna di appena 51 anni, Teresa, si tolse la vita con il gas. Teresa fu l'ultima vittima innocente, in ordine di tempo, di un caporione partigiano comunista, Franco Moranino detto Gemisto.
Teresa si tolse la vita a distanza di 22 anni dall'omicidio di suo marito, era la vedova inconsolata di Emanuele Strasserra, medaglia d'oro V.M., Manuel, responsabile della missione alleata Cherookee, inviato nel '44, dall'O.S.S. ( il servizio segreto Americano ), nel Biellese e assassinato dai partigiani comunisti in una imboscata orchestrata e ordinata da Moranino.
Il dolore per questo tragico evento, perseguitò Teresa Strasserra così pesantemente che, dopo anni di inaudite sofferenze decise di farla finita.
Emanuele non fu l'unico del raggruppamento, noto anche come Missione Strasserra , ad essere eliminato, con lui caddero a Portula, in Val Sessera, il 29 novembre 1944, anche il tenente Santini, il Brigadiere Scimoni, il sergente Francesconi ed Ezio Campasso. I corpi trapassati dalle raffiche sparate da quelli che credevano amici, vennero poi gettati da una scarpata e su di essi gli assassini gettarono dei massi per coprire il loro gesto infame.
Gli esecutori materiali furono i partigiani comunisti “Negher” e “Ilvo”, i quali dopo aver compiuto la strage , spogliarono i cadaveri di tutto ciò che poteva avere un valore. Lo stesso Negher mostrava in seguito ai suoi compagni di brigata, l'orologio da polso, che aveva sottratto ad una delle vittime, contestualmente sparirono anche quattrocentomila lire dalle tasche dei cinque agenti alleati che speravano di attraversare il confine e giungere in Svizzera, con l'aiuto dei partigiani di Moranino, purtroppo si erano affidati alle mani sbagliate.
Ma non era finita, lo stesso Moranino, diede ordine di eliminare anche le mogli di Santucci e Francesconi, Maria Dau e Maria Martinelli, diventate troppo curiose sulla sorte dei loro mariti e che strepitavano per sapere che fine avessero fatto i loro due mariti e gli altri membri della missione.
Infatti esse non avevano ricevuto via radio, la conferma dell'arrivo in Svizzera dei loro uomini, pertanto continuavano a fare domande ai partigiani, creando imbarazzo gli assassini, andavano messe a tacere. E così fu
Due partigiani, “Volante” alias Santi Ermo e “Sguaita” alias Sguaitamatti Remo, il 9 gennaio del 1945, si recarono presso le abitazioni delle due donne, e le prelevarono, con la scusa di accompagnarle ad un colloquio con Moranino.
Invece furono portate a Flecchia, una piccola frazione di montagna del Biellese, ed assassinate con la solita barbarie che caratterizzava questi criminali: una delle due povere donne ferita a morte si gettò addosso ad uno dei killer, ingaggiando una disperata colluttazione, l'altro partigiano dovette spararle ripetutamente per avere ragione di lei.
Poi le trascinarono all'interno del camposanto, scavarono in una tomba e vi gettarono sbrigativamente i corpi nudi delle donne, proprio sopra una bara ivi sepolta da anni e in via di dissoluzione, le trattarono come cani rabbiosi abbattuti.
Un particolare toccante, raccontato successivamente dagli assassini in tribunale, fu che la piccola figlia di una delle due sventurate vedendo la mamma allontanarsi con quei figuri, iniziò a singhiozzare, quasi presagendo quello che sarebbe accaduto e non voleva staccarsi dalla mamma.
Tutti gli assassini ricevettero da Moranino, per lo sporco lavoro compiuto, una prebenda di 300 lire con l'ordine di non raccontare ad alcuno quello che avevano fatto.
Questo eccidio compiuto in due tempi diversi, venne pianificato ed ordinato da una sola mente, Franco Moranino, detto Gemisto, per motivi che non riguardavano la Resistenza. Gemisto temeva che il gruppo di agenti alleati, raggiunta la Svizzera, avrebbe relazionato ai loro superiori sull'orientamento politico della sua Brigata Garibaldina che come è noto era solo ed unicamente comunista.
Inoltre i membri del Gruppo Strasserra conoscevano i metodi brutali usati da Moranino per fare terra bruciata attorno a sé, esecuzioni sommarie senza processo, spoliazioni di beni, violenze gratuite contro presunti fascisti. Cose non tollerate dai Comandi Angloamericani i quali una volta avuta contezza dei fatti, avrebbero chiuso i rubinetti dei rifornimenti interrompendo gli aviolanci di materiale bellico e di viveri grazie a cui Moranino e i suoi compagni, manteneva un ruolo egemone nel triangolo compreso tra Vercelli, Biella e Novara.
Decise quindi di liquidare i cinque agenti alleati impedendogli di arrivare in Svizzera, assassinando anche le loro due mogli, nonostante essi fossero tutti dei sinceri patrioti antifascisti ma non comunisti e quindi in contrapposizione alla sua azione politica e militare.
Non era l'unica volta che Moranino toglieva di mezzo delle formazioni partigiane autonome che potevano creargli dei fastidi, egli doveva essere l'unico nel Piemonte nord occidentale a ricoprire il ruolo di campione della lotta antifascista e non ebbe mai scrupoli a servirsi anche dell'inganno e del tradimento.
Nel gennaio del 45, durante un imponente rastrellamento da parte di ingenti forze nazifasciste, il fronte partigiano era formato ai lati da due divisioni partigiane comuniste e al centro da una divisione partigiana autonoma, denominata “Biscotti” dal nome dei due fratelli che la comandavano.
Nel corso dell'attacco Tedesco le ali dello schieramento, formate dalle brigate comuniste fra cui la 12° divisione di Moranino, arretrarono improvvisamente sganciandosi deliberatamente dallo scontro.
Nessuno dei capi comunisti avvisò la Brigata Biscotti dell'azione di sganciamento, per cui essa fu aggirata dal nemico e travolta, gli stessi due fratelli caddero in combattimento assieme a molti loro partigiani.
In questo modo proditorio Gemisto si liberò della presenza delle formazioni autonome.
Moranino, in seguito Onorevole del P.C.I. nacque come operaio tessile di Tollegno, molto astuto, comunista convinto, freddo e calcolatore.
Assunse il nome di battaglia di Gemisto, mutuandolo da un antico filosofo del 1400 che si propose di unificare tutte le religioni esistenti una unica dottrina. Poi ci fu la strage dell'ex O.P. Di Vercelli in cui almeno 60 , o forse 150. miliziani Repubblichini vennero massacrati, tra Greggio, Vercelli e Lazzirate.
Moranino aveva davvero compiuti troppe atrocità, il Procuratore di Generale Torino nel 1949 lo indagò e lo rinviò a giudizio per omicidio continuato nei confronti dei cinque membri della missione alleata e delle due donne.
Sentendo aria di bufera, Gemisto si rifugiò in Cecoslovacchia, fu condannato in contumacia presso la Corte di Assise di Firenze alla pena dell'ergastolo, pena condonata e ridotta a 10 anni di detenzione. La sentenza venne confermata in Cassazione e poi nel 65 sopravvenne la Grazia del Presidente Saragat che gli permise di tornare nel 66 in Italia. Moranino non era insensibile al fascino femminile, un imprenditore tessile si recava spesso da lui, accompagnato dalla figlia diciassettenne, di cui egli si innamorò ricambiato. Decisero di sposarsi in chiesa, dopo accese e vivaci discussioni in quanto il comunista Moranino era contrario al matrimonio religioso. Le nozze avvennero quindi in chiesa, ma in gran segreto per non creare malumori tra i suoi miliziani. Quando egli dovette fuggire oltrecortina inseguito dalla giustizia Italiana, la moglie chiese l'annullamento a causa della sua prolungata assenza, cosa che avvenne. Egli dopo la sua fuga non cercò più la giovane moglie.
Graziato, tornò in Italia e si stabilì a Grugliasco dove il 18 giugno 1971, alle 1,30 del mattino Moranino, muore improvvisamente per un arresto cardiaco, all'età di 51 anni con tantissime colpe sulla coscienza, davvero troppe e pesanti per un uomo solo.

Roberto Nicolick


martedì, novembre 22, 2016

la tragedia del pulman di Bergeggi

La tragedia del camion di Bergeggi
13 luglio 1967

Era uno caldo pomeriggio di luglio del 1967, alle 14,30 circa, il camion dei Vigili del fuoco del 77° comando di Savona, era in direzione di Noli, sul cassone scoperto trasportava 33 militari di leva del 4° battaglione , 89° reggimento Fanteria di stanza alla Caserma Bligny presso Legino in cui stavano partecipando all'addestramento reclute.
I giovani, tutti di leva, classe 1947, si erano offerti volontari per partecipare alle operazioni di spegnimento di un vasto incendio boschivo che ardeva sulle alture di Noli.
I ragazzi in tuta mimetica e con dei badili , stavano seduti su due file nel cassone, mentre l'automezzo viaggiava e guardavano la spiaggia nella speranza di vedere qualche bella ragazza in bikini. Nella cabina un vigile del fuoco al volante e accanto il comandante del plotone sottotenente di fanteria di Spezia.
Il mezzo, un FIAT 639 ad alimentazione diesel di colore rosso, targato VF 5616, iniziò il breve rettilineo prima della curva in salita. Iniziò un sorpasso di una auto con targa tedesca, nel frattempo arriva dalla direzione opposta una fiat 1100 che occupa la corsia centrale, il camion non riesce ad evitarla e ci striscia contro iniziando a sbandare contromano. Percorre una sessantina di metri sulla sinistra e finisce contro un'altra 1100 con due donne a bordo. Sbanda, questa volta, in direzione del mare, striscia contro i tubi della ringhiera, li abbatte e precipita come un bolide sulla spiaggia sottostante , in un tratto deserta.
Compie un volo di 5 metri, impatta con il muso sulla spiaggia e si capovolge in avanti ribaltandosi e fermandosi infine sul fianco destro, il vigile e l'ufficiale sono sbalzati, fuori mentre i 33 militari sul cassone sono particolarmente sfortunati, alcuni sono lanciati contro dei grossi scogli altri vengono colpiti, e schiacciati dal mezzo che ricade sopra di loro.
Dal faro di Capo Vado, un sottufficiale della Capitaneria di porto assiste al fatto e attiva immediatamente i soccorsi, mentre un automobilista testimone della tragedia, corre verso Noli, si imbatte in una auto dei Carabinieri, li ferma e li avvisa dell'incidente, saranno i primi ad arrivare sulla spiaggia e a rendersi conto di tutta la gravità dell'accaduto.
Io stavo transitando in bicicletta, andavo a spiaggia a Bergeggi, dove avevo appuntamento con alcuni compagni di scuola, arrivato al promontorio di Capo Vado sento lo schianto del pesante mezzo che è fortissimo, faccio forza sui pedali per arrivare sul luogo di quello che penso sia un normale incidente.
Quando arrivo sul posto, vedo due colonne di auto ferme, decine di persone ammutolite, affacciate sulla ringhiera che da sul mare guardano in basso. Alcuni autisti dei bis della SITA scendono sulla spiaggia nel tentativo di portare un qualche aiuto, trafelato arrivo anche io a portata di vista e uno spettacolo terribile mi si presenta, un camion con la cabina e il cassone deformati, giace sulla spiaggia su di in fianco, come una balena spiaggiata, in diagonale rispetto all'arenile, corpi in mimetica sono sparsi ovunque in un raggio di una trentina di metri dal rottame, sembrano marionette disarticolate gettate in aria da un gigante e ricadute a terra. In alcuni punti la sabbia è chiazzata di sangue. Molti sembrano morti, altri urlano dal dolore e c'è chi chiama la mamma.
Si sentono le sirene delle ambulanze che arrivano da Spotorno e da Savona. Ai soccorritori con le barelle si presenta la classica maxi emergenza, ma questa volta non è una simulazione, è la nuda e crudele realtà.
Alla fine della giornata si conteranno 13 morti e 22 feriti di cui 4 in gravissime condizioni.
Il primo trasferimento dei feriti e anche dei corpi è all'Ospedale San Paolo di Savona, dove verranno convocati i famigliari delle vittime per il riconoscimento.
Il compito di avvisare i parenti delle vittime tocca ai carabinieri delle caserme di residenza, i quali si recano presso i domicili delle famiglie di Signa, Macerata, Palermo, Perugia, comunicando che il loro figlio è ferito e che devono recarsi subito presso l'Ospedale San Paolo a Savona.
Quando i genitori dei giovani arrivano nell'obitorio si assistono a scene strazianti di disperazione. Appena le vittime vengono riconosciute e ricomposte, su alcuni furgoni militari sono trasportate nell'atrio del Comune di Savona, dove è stata allestita una camera ardente ufficiale, le bare sono disposte in semicerchio , coperte dal tricolore, sulle pareti vi sono dei tendoni neri con dei disegni in oro con un picchetto armato a vegliare sui loro commilitoni.
Moltissimi cittadini hanno voluto portare l'estremo saluto ai poveri morti, oltre alle autorità civili e militari, il Comandante in capo dello Stato Maggiore Generale Vedovato, il Ministro della difesa Tremelloni e quello dell'interno Taviani. I funerali si svolgono in forma solenne alla presenza di trentamila cittadini che con la loro muta presenza hanno voluto essere accanto ai parenti e agli stessi ragazzi caduti. Nel corso della cerimonia un trombettiere suona il silenzio fuori ordinanza tra la commozione generale. Anche il Papa Paolo VI ha voluto attraverso il Cappellano Militare di Torino essere accanto ai famigliari con un messaggio personale di cordoglio.
Quindi al termine della santa Messa e con l'assoluzione generale impartita dal Vescovo di Savona, le bare saranno caricate su sette automezzi militari affiancati da una coppia di Carabinieri in alta uniforme, al seguito ci saranno tutte le più alte cariche civili e militari e successivamente con i congiunti partiranno alla volta dei paesi di origine.


Ci sarà in seguito una inchiesta con un processo, per stabilire le responsabilità dell'incidente, a carico del conducente del camion e dell'automobilista che per primo scontrò l'automezzo, con l'accusa di omicidio colposo e concorso nello stesso reato. Il processo si concluse con la condanna a due anni, condonati, del vigile del fuoco ed alla sospensione della patente per un anno mentre l'automobilista verrà assolto per insufficienza di prove.

mercoledì, novembre 16, 2016

Sporcizia e abbandono nella stazione di Savona Mongrifone - Quotidiano online della provincia di Savona

Sporcizia e abbandono nella stazione di Savona Mongrifone - Quotidiano online della provincia di Savona

Roberto Nicolick racconta gli omicidi di Angelo Moreno e Armando Albini - Quotidiano online della provincia di Savona

Roberto Nicolick racconta gli omicidi di Angelo Moreno e Armando Albini - Quotidiano online della provincia di Savona

L'uccisione di Don Guido Salvi: il racconto di Roberto Nicolick - Quotidiano online della provincia di Savona

L'uccisione di Don Guido Salvi: il racconto di Roberto Nicolick - Quotidiano online della provincia di Savona

Angelo Moreno e Armando Albini

Angelo Moreno e Armando Albini
Andora - Milano
21marzo 1949 - 
Il 22 marzo del 1949, ad Andora in località Piangrande, alcuni contadini che si recavano a coltivare dei campi, trovavano un cadavere di un giovane, con una vasta ferita alla nuca, come se fosse stato ucciso con un colpo di grazia, la classica azione da esecuzione sommaria. 
Il giovane veniva identificato in seguito dai Carabinieri, come Angelo Moreno di Paolo, 29 anni, di professione agricoltore, abitante nella zona, apparentemente una persona tranquilla, senza nemici, dedito al solo lavoro dei campi che svolgeva con regolarità.
Le indagini dei Carabinieri portarono ad identificare, attraverso delle testimonianze, la persona che aveva visto per ultimo Angelo Moreno, si trattava di Alfredo Vitelli di anni 20.
Interrogato, non poteva negare di essere stato l'ultimo ad avere visto Moreno in vita, ma affermava che stava partecipando ad una battuta di caccia con il Moreno e nello scavalcare un muretto gli partiva incidentalmente un colpo dal fucile che andava a colpire mortalmente alla nuca la vittima. Fatto ciò, il giovane impaurito dalle conseguenze del suo gesto, fuggiva. Ma era chiaramente una versione di comodo per coprire altri personaggi e soprattutto un'altra situazione. 
Restava, infatti, da spiegare come mai Vitelli era fuggito senza preoccuparsi di chiamare i soccorsi e soprattutto come mai la vittima partecipava ad una presunta battuta di caccia completamente disarmato. Vitelli sapeva benissimo come si erano svolte le cose ma era chiaramente terrorizzato dai reali responsabili.
In realtà, Moreno era stato raggiunto dalla tardiva “giustizia proletaria”, era il solito delitto per vendetta politica ad orologeria, infatti Moreno nel 1943 aveva aderito alla R.S.I. E era stato un milite della Guardia Nazionale Repubblicana, era passato indenne attraverso il periodo più sanguinario della guerra civile allontanandosi da Andora nei mesi più critici delle vendette compiute dai partigiani comunisti, che comunque avevano la memoria lunga e volevano saldare i conti anche a distanza di anni dal 25 aprile 1945. 
Secondo alcune voci Moreno fu avvicinato da ex partigiani mentre si trovava nei campi, gli venne rinfacciato il suo passato di Repubblichino e venne “giustiziato” senza alcun processo perchè la sua sorte era già stata decisa, poi si cercò di fare passare questo omicidio a scoppio ritardato come un incidente di caccia. Il Vitelli venne arrestato ma ovviamente non ammise la sua responsabilità anche perchè l'omicidio di Moreno rimaneva tale e non era coperto da nessuna amnistia. Moreno non fu l'unico ad essere assassinato anni dopo la liberazione, addirittura nel 1947, un ex camerata di Moreno il Pietrese Armando Albini, sentendosi minacciato da vicino, si allontana dalla Liguria e si stabilisce a Milano. Ma viene ritrovato e ucciso da un ignoto killer. 
Il modus operandi è quello della famosa pistola con il silenziatore che abbattè tanti ex fascisti a Savona e provincia, ma qualcuno asserisce che questo omicidio sia stato opera di elementi appartenenti alla “volante rossa”, un gruppo di ex partigiani comunisti, con sede presso la Casa del Popolo di Lambrate, armati ed organizzati militarmente, molto attivi dal 45 sino appunto al 49,con l'obiettivo di eliminare fisicamente tutti gli ex fascisti nel Milanese. 
Chiunque sia stato, Albini che si sentiva al sicuro, viene abbattuto in strada nel centro di Milano, un pomeriggio, in mezzo ai passanti.
Robert Nicolick

La volante rossa

La Volante Rossa
La Volante Rossa fu un fenomeno politico militare di grande gravità nella storia Italiana, fu una grande fortuna per la democrazia se non dilagò a macchia d'olio in tutto il Nord Italia. L'ispirazione ideologica di questo nucleo armato, nato nel 1945 e terminato nel 1949, era comunista e l'obiettivo iniziale dichiarato era quello di eliminare fisicamente tutti gli ex fascisti di Milano e dell'hinterland milanese, che erano sopravvissuti alla guerra civile e che potevano rivestire ancora una carica nella società Italiana del dopo guerra.
Il successivo obiettivo era quello del cambiamento di questa nazione, anche e soprattutto usando metodi violenti. Essendo la Volante Rossa un fenomeno a carattere locale non potè avere un effetto incisivo e dirompente nel raggiungere queste due finalità, ma si macchiò di gravi crimini contro le persone e le cose.
Appena nata, prende questo nome da un reparto partigiano che agiva nella Val D'Ossola, si accantona in una ex casa del Fascio, che diventa Casa del popolo, con il nome evocativo di “martiri partigiani” ,un luogo ideale per passare inosservati in quanto c'è un via via di gente.
Il gruppo è formato da una settantina di elementi, disoccupati, operai, meccanici, elettricisti, un barista e un fotografo , quasi tutti reduci della resistenza armata e comandati da un ex capo partigiano, tale Giulio Paggio, nativo di Genova, meglio noto come “tenente Alvaro” coadiuvato da altri collaboratori spietati come lui,, Finardi detto Pastecca , Buratto detto Pedro e Trincheri quest'ultimo un soggetto singolare con alcune rapine a banche all'attivo, proveniente addirittura da una polizia repubblichina, la banda Muti.
Le armi non mancavano, tutte provenienti da depositi clandestini creati grazie agli aviolanci degli alleati durante la lotta di liberazione, ma soprattutto c'era la smania di usarle.
Questo vecchio fabbricato che è una caserma a tutti gli effetti, si trova a Lambrate, in via Conte Rosso al civico 12, da qui partono le squadre di killer, di due o tre elementi al massimo, che cercano gli ex repubblichini e anche le loro mogli, per assassinarli usando pistole automatiche e anche fucili mitragliatori, qualche volta, stranamente, per gli spostamenti usano taxi il cui conducente dopo l'omicidio viene lasciato andare con la raccomandazione di dire alla polizia che è stato costretto perchè minacciato di morte.
Dal 45 al 49, è tutta una sequenza di uccisioni, violenze e sparatorie, in cui cadono decine di persone che spesso vengono ammazzate sulla porta di casa, dopo che gli assassini hanno suonato il campanello e si sono fatti aprire la porta. e a cui la polizia e i carabinieri faticano a trovare una soluzione a causa dell'omertà che copriva questi crimini. Le azioni omicide si svolgono in Piemonte, Lombardia, Emilia e si spingono sino al Lazio in alcuni casi.
Cadono per mano di questi sicari dei civili, anche donne che erano ausiliarie della R.S.I, ex ufficiali e sottufficiali della milizia e delle brigate nere fra cui un ex generale Ferruccio Gatti, imprenditori, industriali e anche impiegati che hanno un ruolo chiave nelle industrie del Milanese. Alcuni nomi : Felice Ghisalberti, Leonardo Masazza, Rosa ausiliaria SAF e sua figlia e Liliana Bianchi, Brunilde Tanzi e Eva Maciacchini anch'esse ausiliarie della R.S.I., il giornalista Franco De Agazio, molte vittime sono fatte sparire nel canale della Martesana con una pietra legata ai piedi
Redazioni di giornali e di movimenti politici anticomunisti vengono assaltate e devastate, politici di destra feriti o uccisi, locali pubblici frequentati da anticomunisti distrutti, sequestri di persona, occupazioni di impianti industriali e persino l'invasione e l'occupazione della Prefettura di Milano per la nomina di un prefetto non gradito ai comunisti.
Accanto a tutti questi omicidi, la volante rossa, compie anche azioni di natura politica come incontri di indottrinamento e soprattutto presenzia a manifestazioni del Partito Comunista Italiano a cui partecipa indossando una vera e propria uniforme, un giubbotto di pelle da aviatore con i rivolti di pelliccia con distintivo triangolare riportante il nome della organizzazione, pantaloni alla zuava, e inalberando una bandiera.
E' obbligatorio anche un tesserino di identificazione e ogni gregario deve avere un soprannome di battaglia. Acquistano anche un grosso camion militare, un Dodge con cui perlustrare la città, sarà lo stesso mezzo con cui rapiscono un ingegnere, lo portano sul sagrato del duomo e ve lo lasciano nudo dopo averlo spogliato dei vestiti.
Questi soggetti si accreditano come squadristi rossi, tronfi e prepotenti e hanno, nel corso di queste dimostrazioni, un atteggiamento intimidatorio nei confronti della gente comune salvo a crollare durante gli interrogatori degli inquirenti. Spesso si scontrano con la polizia nelle piazze.
Il P.C.I. Milanese li usa come scorta per i propri candidati alle elezioni politiche. Tuttavia Togliatti, conoscendo la qualità morale di questi personaggi, nel corso di una sua visita a Milano non volle farli avvicinare.
La situazione è gravissima, un gruppo di assassini politicizzati tiene in scacco una intera città e parte della Lombardia.
Una svolta si ha nel 1948 con le elezioni politiche in cui prevale la D.C. Cadono le protezioni di cui questi criminali godevano.
Il Questore di Milano Agnesina, sotto la pressione dell'opinione pubblica sempre più terrorizzata e del ministro dell'interno, fa affluire a Milano ingenti forze di polizia mentre il comando della Legione Carabinieri di Via Moscova, fa arrivare altri militari, con cui, nel febbraio del 1949, viene organizzata una retata e arrestata una trentina di appartenenti alla volante rossa, qualcuno di questi collabora e il sistema inizia a collassare.
Finalmente, la quasi totalità viene arrestata e rinviata a processo che nel 51 si tiene a Verona , per legittima suspicione, in corte di Assise e nel 53 in corte di appello a Venezia, con 32 imputati di cui ben 5 latitanti.
Gli imputati saranno riconosciuti colpevoli di omicidio, associazione a delinquere, detenzione di armi, sequestri di persona, danneggiamenti veri e occupazione con 23 condanne varie e quattro ergastoli
In seguito si apprenderà che i vertici del gruppo paramilitare comunista, Paggio, Finardi e Buratti sono fuggiti in Cecoslovacchia, con l'aiuto di un settore politico molto identificabile, che in seguito aiuterà un altro assassino comunista a espatriare a Praga, Moranino detto Gemisto, giudicato colpevole della strage della missione alleata Strassera. Non saranno gli unici comunisti Italiani a scappare oltre cortina, circa 500 comunisti , duri e puri, con pendenze penali in Italia, vivono in paesi tristi e malconci, governati da dittature rosse, ma loro non se ne accorgono, pensano di essere nel paradiso dei lavoratori.
Dopo il freddo e la fuliggine della Cecoslovacchia verranno inviati, dai loro ispiratori e padroni sovietici, al caldo delle spiagge di Cuba, accolti a braccia aperte dal Dittatore barbuto .
Nel 1978, l'esimio Presidente Pertini con la solita umanità pelosa, annullò tutto il lungo lavoro di indagine, tutti i processi svolti nel nome del Popolo Italiano, passando sopra a tutte le sofferenze e crudeltà che questi criminali avevano profuso con sadismo, concedendo la grazia ai tre condannati all'ergastolo in contumacia, permettendo così loro di tornare in Italia da cittadini liberi. Un'altra ingiustizia.
Il nome di questo gruppo criminale diventerà un termine per antonomasia, attribuibile a tutti i gruppi di fuoco che in qualche modo si ispireranno all'ideologia comunista e fu la fotocopia, ante litteram, di quei movimenti armati eversivi che faranno la loro comparsa negli anni di piombo in Italia ripercorrendo le orme di sangue della Volante Rossa.
Roberto Nicolick

sabato, novembre 05, 2016

Mettiamo che...visita in una RSA

Mettiamo che...
Mettiamo che vada in una RSA, situata qui a poca distanza, dovrei andare a rendere omaggio ad una signora anziana deceduta , mettiamo che non trovo alcuna targa che indica dove si trovi l'obitorio, ipotizziamo che vaghi per i piani e rimanga colpito dall'aria di abbandono e di scarsa pulizia ed igiene che potrei trovarmi davanti.
Nella mia fantasia continuo a camminare indisturbato, non vedo nessuno del personale che dovrebbe chiedermi chi sono, cosa ci faccio lì e dove vado. Magari entro in una camera e noto le lenzuola arrotolate non proprio pulite, sul tavolino i resti del pranzo e siamo al pomeriggio, quindi nessuno avrebbe tolto nulla.
Rimarrei impressionato anche perchè conosco la retta giornaliera che i ricoverati pagano in una struttura come quella che immagino, novanta euro, il che non è poco.
Scendo al piano terra con un ascensore ed esco attraversando un posteggio dove ci sono delle auto, mi dirigo verso un ingresso, dove leggo scritto “cucina”, magari ci trovo qualche inserviente a cui chiedere dove si trova la camera mortuaria, immagino di sentire l'odore di mangiare è pungente e fastidioso e, sorpresa!!! A poca distanza dalla cucina, cioè dal sito dove si trattano i cibi da fare consumare ai degenti, vedo quello che in effetti parrebbe essere l'obitorio, perchè all'interno c'è una salma, proprio la persona che cercavo, e non vedo altre stanze.
Accanto al corpo c'è il parente. La mia fantasia galoppa: le dimensioni della camera sono davvero minime, a occhio e croce direi 4 x 3, quindi il pensiero che mi sorge spontaneo è che se arriva un'altra salma, dove la mettono ?? la risposta a questa domanda inespressa arriva subito, nel mio gioco immaginario, con l'altra salma più i parenti.
Il cubicolo è affollato con poca aria da respirare che si fa sempre più pesante, parenti e due salme, messe una accanto all'altra, nessuna intimità, sensibilità zero da parte della struttura a fronte di una retta non certo bassa, ma capisco sempre per gioco, nel momento in cui uno decede cessa di essere una fonte di guadagno per la struttura.
Qualcuno dei parenti magari accenna ad una protesta ma trova un muro da parte di una tipa, sedicente dirigente ( sic ), senza alcuna targhetta identificativa che afferma “tutto in regola” , in pratica : non rompete, qui comando io. Il mio gioco prosegue e ...all'estremità del cubicolo, noto una tenda che fa da separé, incuriosito mi avvicino e la scosto e vedo quello che c'è dietro, una montagnola di pannoloni sporchi di urina e feci, infatti ora capisco l'aria irrespirabile nel obitorio, che tale non dovrebbe essere.
Trattengo un conato di vomito e mi allontano.
Game over !

venerdì, novembre 04, 2016

L'omicidio di Guerrino Paolini

Guerrino Paolini
Il daziere di Quiliano
22 maggio 1945

Guerino Paolini, non si aspettava mai più di essere ricercato e poi aggredito in quel modo, a fine maggio del 1945, quindi a guerra finita da circa un mese, forse per il lavoro che faceva, l'esattore, aveva preteso la tassa del dazio, una imposta dovuta, a moltissime persone, ma a Liberazione avvenuta , riteneva di poter essere tranquillo.
Invece non fu così, Paolini nativo di Giuliano Teatino, provincia di Chieti, era un Fascista Repubblichino, ma non un esaltato, abitava a Quiliano, dove ricopriva l'incarico di funzionario esattore del dazio e aveva il compito di controllare ed eventualmente tassare il flusso di beni da una località ad un'altra come facevano tanti altri suoi colleghi in tanti altri posti, un normalissimo incarico.
Da anni il Dazio, come istituzione fiscale, non esiste più in Italia e neppure in Europa. Non sempre i dazieri erano simpatici e oltre a tutto, erano spesso di ostacolo a attività illecite, soprattutto se non erano disposti a voltarsi dall'altra parte e a chiudere un occhio oppure tutti e due davanti a certi traffici.
Guerrino, oltre ad essere di sentimenti Fascisti e a credere nello Stato, era un funzionario corretto che non si faceva corrompere e non si voltava dall'altra parte, il che poteva essere di impedimento a chi praticava la borsa nera, tanto per fare un esempio, sposato con Maria Rubino, aveva 38 anni, relativamente giovane e ancora in forze, era fiducioso, mentre transitava per l'abitato di Quiliano, la sera del 22 maggio 1945, ma qualcuno lo aspettava per regolare dei conti.
Fu fermato da alcuni personaggi in uniforme da partigiano, gli dissero che volevano parlare con lui, una roba di cinque minuti, lui non cercò di scappare,forse li conosceva come avviene nei paesi, dove tutti si conoscono, lo accompagnarono sul greto del torrente Quiliano, lontano da sguardi indiscreti e qui venne aggredito, probabilmente capì e finalmente tentò di difendersi ma era solo contro quattro o cinque aggressori.
Venne colpito ripetutamente con delle pietre raccolte dal letto del torrente, in buona sostanza fu lapidato. L'odio armò la mano dei suoi assassini che infierirono su di lui a pietrate anche quando cadde a terra.
Poi qualcuno gli puntò una pistola alla testa e gli sparò il colpo di grazia, nessuno vide o sentì nulla e se qualcuno vide si guardò bene dall'intervenire in difesa di un fascista, fatto ciò i suoi assassini risalirono dal greto del Quiliano e se ne andarono indisturbati.
La moglie Maria, allarmata dal ritardo anomalo del marito, uscì di casa per cercarlo e assieme ad alcuni amici, trovò il corpo privo di vita, con il cranio sfondato e il viso sfigurato, sul greto asciutto del torrente, a poca distanza da casa.
L'autopsia sul cadavere di Guerrino Paolini, fu effettuata da un medico legale abitante nella zona, Francesco Negro, esponente antifascista di orientamento Socialista, sempre più nauseato dalle vili atrocità compiute dai suoi compagni di lotta, appartenenti alle brigate comuniste.
Negro in seguito verrà assassinato anch'egli, probabilmente dalla stessa banda che imperversava nella zona di Vado e Quiliano, per aver disapprovato pubblicamente questi omicidi che non avevano nulla di patriottico ma che erano solo ed unicamente comuni e volgari assassini di persone che non meritavano quella sorte.
Paolini era semplicemente un funzionario del dazio ma apparteneva alla categoria dei funzionari statali ligi al dovere pertanto andava eliminato, e così fu.
I suoi assassini non vennero mai identificati, anche se erano stati sicuramente visti mentre si accompagnavano con egli,quindi tutti nel paese sapevano i nomi e conoscevano i volti di questi personaggi e per arrestarli non occorreva andare tanto lontano, quelli che avevano delle precise responsabilità continuarono a praticare la borsa nera arricchendosi illegalmente coperti da partigiani comunisti che in seguito faranno carriera politica.
Nel 1961, la salma di Paolini fu trasferita dal camposanto di Savona a Genova nell'ossario dei caduti della R.S.I. Mentre i responsabili della sua morte si avviavano ad una serena vecchiaia.

Roberto Nicolick

giovedì, novembre 03, 2016

lettera aperta di Alessandro Nicolick

Lettera aperta di Alessandro N.
Mi chiamo Alessandro N., non appartengo più a questa vita da anni ormai, sono nato in questa Città nel 1955 e a dieci anni, frequentando un Oratorio ho sentito nascere in me una cosa sconosciuta che gli altri chiamavano Vocazione e su questa spinta fortissima ho voluto intraprendere un percorso di Fede, ero risoluto ad iniziare ad amare gli altri, in modo totale, consacrandomi a Dio.
I miei genitori e i miei fratelli, dopo le prime perplessità per la mia giovanissima età, hanno accettato questa mia decisione, che era ferma e determinata. E così con una valigia in mano, accompagnato da mia madre, che in fondo era fiera di me, mi presentai davanti al cancello del Seminario Vescovile di Savona. Dopo un colloquio con il Rettore , fui portato nella mia camerata e mi venne mostrata la mia branda, il Seminario era ed è ancora ora, una grande costruzione grigia con parco annesso che sorge sulla sommità di una collina che domina Savona.
Sono iniziati per me anni di studio, di preghiere e di ritiro spirituale, con tanti miei giovani compagni di strada. Gli insegnanti che tenevano le ore curriculari delle materie scolastiche, erano tutti Sacerdoti e ogni classe di seminaristi, formata da una dozzina di ragazzi era seguita da un prefetto di camera, che era in pratica un seminarista più grande o un giovane sacerdote. Ero felice della mia scelta, volevo divenire un Sacerdote, un Ministro di Dio e il mio cuore era colmo di amore.
E’ trascorso qualche decennio da quei miei dieci anni, l’adolescente di allora ha lasciato il posto ad un quarantenne immobilizzato in un letto di ospedale, nel reparto di medicina, ho una flebo attaccata ad un braccio, le gambe sono gonfie e devastate da piaghe, ho la candida e il mughetto che mi tappezzano le mucose interne, sto perdendo i denti e i capelli sono diventati fragili, soffro di dolori e crampi ai muscoli ed alle articolazioni, per non gridare dal dolore ogni tanto chiedo degli antidolorifici, le mia braccia sono tappezzate di micro versamenti a causa dei troppi buchi, ho un grande astenia, dal naso scende continuamente un rivolo di muco, non riesco a digerire il cibo che mangio.
Nei letti che mi stanno accanto ci sono degli sventurati come me, in attesa di morire. Lo spettro in attesa di portarci via si chiama AIDS, siamo tutti HIV positivi. Siamo condannati a morte, vite a perdere, morti che camminano. Per una scelta sbagliata che ha coinvolto anche i nostri cari, che ha distrutto le nostre famiglie.
Chi o che cosa mi ha spinto a scegliere l’inferno in terra ? Forse un altro inferno terreno ? Forse una feroce delusione ?
Che cosa è accaduto nell’intervallo tra questi due momenti così diversi tra di loro ? Che cosa è accaduto nei tre anni che ho trascorso in Seminario ? Cosa ho visto o che cosa ho subito li dentro di tanto orrendo da farmi fuggire dopo tre anni di frequenza , saltando addirittura da una finestra ? Non ho mai voluto parlarne in famiglia, non ho mai voluto rispondere a delle domande e ho iniziato un percorso di abbruttimento che mi ha portato in questo letto di ospedale in questo reparto ospedaliero.
Non ho mai avuto il coraggio di dire, di parlare, di aprire uno scrigno di sofferenza che ho sempre tentato di rimuovere e di raccontare la delusione che ho provato fra quelle mura grigie in cui cercavo cose che non ho trovato. L’omertà soffocava ogni anelito di vita e di speranza, omologando tutti questi adolescenti in un grigiore triste e macabro.
Ora però, da dove mi trovo, posso vedere che altri, molti altri, hanno avuto il coraggio che io non ebbi all’epoca, molti feriti nell’animo e nel corpo stanno parlando di quello che hanno subito e questo mi allevia del dolore e del grande senso di ingiustizia che mi ha attanagliato nel vedere persone che mi dovevano essere di guida, erano, all’opposto, belve che si cibavano di me.
Alessandro N.
una quindicina di anni fa......