domenica, marzo 15, 2020

Gli omicidi nel triangolo rosso della morte Manzolino, Modena, Castelfranco Emilia, San Giovanni in Persiceto e Sant'Agata Bolognese


Gli omicidi nel triangolo rosso della morte
Manzolino, Modena, Castelfranco Emilia, San Giovanni in Persiceto e Sant'Agata Bolognese

La zona del Manzolino è attualmente una enclave protetta a livello faunistico ma nel 1945 e anche successivamente fu un sito dove i partigiani comunisti che terrorizzavano la zona, compivano le loro esecuzioni sommarie, la zona era compresa tra Modena, Castelfranco Emilia, San Giovanni in Persiceto e Sant'Agata Bolognese . Fu definita, non a caso, il triangolo rosso della morte. Essendo una zona molto vasta , disabitata e isolata era l'ideale per scannare fascisti o presunti tali e per occultarne i corpi nella certezza che nessuno li avrebbe trovati. , centinaia di cadaveri o quello che ne restava vennero rinvenuti per caso o i seguito a delle ricerche mirate da parte dei carabinieri su denuncia dei parenti degli scomparsi.
La catene dei delitti, almeno quelli denunciati, iniziò nel maggio del 1945, una delle prime vittime, riconosciute dai parenti, fu un commerciante Bolognese, Mario Nadir Polidori, prelevato presso casa sua fu portato in un campo alla periferia di Castelfranco dove fu ucciso e sepellito, quando venne ritrovato nella fossa comune accanto ai suoi resti, c'erano altre cinque spoglie che purtroppo non furono identificati. La furia omicida dei partigiani rossi si concentrò soprattutto su chi aveva indossato una divisa, infatti Polidori apparteneva ad una unità di elite della RSI, il Battaglione Nembo, .
A maggio inoltrato fu la volta di Aldo Aldovini di anni 27, un ex caporalmaggiore dell'antiaerea, il quale proveniva da Ariano ed era diretto a Bologna per lavoro, la sua auto si fermò nottetempo davanti ad un posto di blocco di partigiani, fu fatto scendere, “processato” , pestato a sangue e derubato di tutto e quindi assassinato con il classico colpo alla nuca, stessa fine impietosa toccò a Bruno degli Innocenti anch'esso ex paracadutista del Battaglione Nembo e quindi a Vittorio Zanoni.
Alessandro De Stefano era un orefice e facoltoso proprietario terriero Bolognese, che abitava un casale in quel di Recovato, fu prelevato la sera e non fece più ritorno dai suoi, il suo corpo fu ritrovato abbattuto con il classico colpo alla nuca, l'orefice era stato vittima in passato di rapine ed “espropri proletari” da parte di partigiani comunisti, a cui non si era rassegnato e che fu oggetto da parte sua di denuncia, dopo il 25 aprile 1945, al Sindaco del paese, i saccheggiatori per evitare di essere scoperti ed arrestati dai carabinieri decisero di sopprimere Di Stefano, ma il primo tentativo andò a vuoto infatti l'orefice si barricò in casa e allora i suoi assassini dovettero tornare una seconda volta per poter compiere il loro sporco lavoro, poi toccò al droghiere sempre di Recovato, Bernardo Giovannoni assassinato in quanto iscritto al PFR e il cui corpo non venne mai ritrovato, probabilmente sparito nel Manzolino assieme a tanti altri.
Nel giugno del 45 un delitto eccellente, il Canonico Don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo di Castelfranco, di lui rimase solo la dentiera sul comodino, la notte come era loro costume, alcuni partigiani comunisti si presentarono alla porta della canonica bussando con prepotenza . Il sacerdote aveva terminato di recitare il breviario poco prima in chiesa, e si era coricato . Siccome tardava ad aprire l’uscio, abbatterono la porta con una scure, irruppero nella sua camera da letto, e lo trascinarono via così com'era , in camicia da notte.
Alcuni parrocchiani lo videro portare via dietro la canonica e sentirono la voce dell'anziano prete implorare pietà, poi il poveretto scomparve nel nulla e il suo corpo non venne mai trovato. Forse bruciato nel forno o gettato nel pozzo nero della casa di qualche contadino. Don Tarozzi era solo un vecchio sacerdote ma faceva parte di coloro che potevano dare fastidio a quelli che si erano autoproclamati padroni di quelle terre. Dopo la scomparsa di Don Tarozzi la canonica fu completamente svaligiata di tutto, valori, mobili, biancheria.
Un altro misfatto che destò grande orrore nella popolazione della bassa Modenese, fu quello relativo al duplice omicidio di una madre e di suo figlio, la signora Rosa Neri e di suo figlio di appena 17 anni, i due abitavano a Manzolino, furono prelevati dai soliti partigiani comunisti, portati lontano e assassinati a raffiche di mitra.
A questa serie di delitti molti altri se ne aggiunsero tanto che per tutta l'estate del 1945 nessuno si azzardava a percorrere la Via Emilia che collegava la periferia di Bologna con Modena.
Ma tre delitti particolarmente feroci si svolsero a Castelfranco Emilia ed ebbero come vittime tre brave persone di Piumazzo, la più grande delle frazioni di Castelfranco, avvenuti nel maggio del 1945, Armando Vignali e Luigi Garagnani, entrambi coniugati con famiglia , e la terza vittima Alberto Garofani di 37 anni.
Il Vignali e il Garagnani furono presi presso la propria abitazione da partigiani comunisti di Bazzano e cioè Mario Anderlini agente della polizia ausiliaria, i fratelli Aristide e Luciano Marzoli di Piumazzo, Rino Trenti, Francesco Lambertini, Romeo Raguzzi, Arturo Grandi.
Vignali e Garagnani dopo essere stati sequestrati, furono portati nella casa dei fratelli Marzoli, dove vennero sottoposti a feroci sevizie per tutta la notte, poi all'alba più morti che vivi , vennero trascinati in un campo isolato dove il Vignali morì quasi subito per le torture subite e il Garagnani, che respirava ancora, fu fatto sdraiare in una fossa e crivellato di colpi, poi gli assassini si spartirono i denari e gli orologi delle vittime.
Quando gli ex partigiani arrestati , resero piena confessione ai Carabinieri, dissero che Vignali era stato torturato a morte in quanto nel passato, da guardiacaccia aveva redarguito uno dei Marzoli per caccia senza permesso, mentre l'esecuzione di Garagnani fu decisa perchè da impiegato del comune aveva negato all'altro Marzoli una dispensa dal servizio militare per motivi agricoli. Invece il povero Garofani era un appartenente alle BBNN di Torricella di Mantova, tuttavia era stato prosciolto dal CNL di Mantova, da ogni accusa di collaborazionismo per cui era tornato a Piumazzo dalla famiglia, con un regolare lasciapassare nonostante ciò, fu fermato e fucilato dai soliti partigiani comunisti e nascosto in una fossa assieme alle due precedenti vittime.
A pochi giorni dall'arresto gli assassini con i ferri ai polsi, condussero i carabinieri e i parenti delle vittime presso il luogo dell'occultamento dei corpi delle vittime, che poterono essere restituiti alle famiglie e avere una cristiana sepoltura.

Nel 1948, dopo centinaia di denunce e dopo tre lunghi anni di istruttoria si svolsero i primi processi per condannare i responsabili di questi omicidi di massa, una trentina di ex partigiani vennero processati alla Corte di Assise di Modena, nelle indagini per gli omicidi nella bassa Modenese furono coinvolti fra gli altri, Ermese Vanzini latitante , Bruna Natalini meglio nota come partigiana Giovanna, suo fratello Bruno, Mario Melotti, Bruno Bianchi , questi ultimi quattro hanno pienamente ammesso la loro partecipazione a questi omicidi oltre agli assassini di Piumazzo.
Questa era la qualità morale ed umana dei partigiani comunisti , molto, molto bassa.
Roberto Nicolick

sabato, marzo 07, 2020

l'omicidio di Aventino Borione


Aventino Borione , ex alpino, partigiano della Brigata Garibaldi di Verres, classe 1922, scomparve nel marzo del 1945, ucciso da un suo compagno, appartenente alla stessa banda, fu assassinato a sangue freddo e soprattutto a tradimento con un colpo alla schiena, poi il corpo venne occultato sotto ottanta centimetri di terra in un campo di segale, della frazione di Champurney nel comune di Arnaud in Valle D'Aosta. Accanto al luogo dell'occultamento solo un piccolo melo, unico punto di riferimento.
La madre e la sorella del partigiano vennero tenute all'oscuro di tutta la vicenda e per circa 50 anni non seppero mai la verità su questo delitto.
La sorella Angela, una donna forte ed energica, tuttavia non si era mai arresa , non si era mai fatta convincere dai silenzi colpevoli dei compagni di Aventino, dagli sguardi sfuggenti di chi sapeva ma non voleva parlare. Qualcuno sapeva la verità ma aveva l'interesse a tacere.
La madre del povero Aventino si spense senza la consolazione di poter pregare sulla tomba del figlio ma la sorella non mollava e continuava a indagare senza sosta, a chiedere in giro , ottenendo solo questa terribile risposta : “soldi quanti ne vuoi ma le ossa non chiederle”, perchè evidentemente si era trattato di una esecuzione.
Un giorno finalmente, una donna spinta dalla pietà e dalla ingiustizia di quel gesto, parlò alla sorella, le disse di sapere dove era sepolto, un'altra donna le disse di averlo incontrato, proprio il giorno del suo assassinio, mentre saliva lungo un sentiero in direzione di Champurney con un piccone ed una pala, si erano parlati, lui le disse in dialetto che il suo capo lo avevano mandato a lassù a fare un lavoro, non sapeva bene cosa.
In realtà era un appuntamento con la morte. Ad attenderlo c'era il suo assassino, gli fece scavare una fossa, lo fece addirittura sdraiare due volte sul fondo per verificare se lo scavo fosse sufficiente. A scavo ultimato lo ammazzò colpendolo alle spalle come solo un vile sa fare
Il movente dell'omicidio non si seppe mai esattamente, forse è da ricercare in una iniqua spartizione di un bottino. I partigiani avevano rubato un furgone carico di scarpe di un magazzino di Verres, appartenente ad un commerciante Piemontese, poi si erano distribuiti le scarpe fra di loro. Dalla spartizione Aventino era rimasto fuori, contrariato si era allontanato dalla brigata ed era entrato nella Brigata di Brusson nella Valle d'Ayas, con questo gesto aveva firmato la sua condanna a morte.
Dopo che la ruspa lo ha trovato in quel campo di segale e lo ha riportato alla luce , Aventino Borioni, risposa nel camposanto di Verres, finalmente accanto alla tomba della sua mamma e dove sua sorella Angela lo può andare a salutare. Secondo alcune voci ad uccidere il povero Aventino sarebbe stato un certo Bruno B. che non potrà più parlare in quanto morto a seguito di un incidente.
, prIn quella zona Aventino non fu l'unico a perdere la vita per la malvagità umana di chi diceva di combattere per la libertà, ma molti altri innocenti morirono, per esempio presso la cappella di San Rocco a Verres , sei persone furono passati per le armi, accusati essere fascisti e fra di loro una giovane donna dai capelli rossi incinta, prima violentata dai partigiani e poi sventrata. Mentre nelle vicinanze del forte di Machaby alle spalle di Arnaud, tuttora sono sepolti i corpi di una donna e del suo bimbo.




giovedì, marzo 05, 2020

Il boia della Val Susa

Una signora che abita nella cintura Torinese mi ha telefonato, dopo aver letto i miei post sulle atrocità dei partigiani comunisti in Liguria e ha voluto raccontarmi di un soggetto noto come il boia della Val Susa e delle sua feroci gesta.
Giuseppe Faletto, nome di battaglia Briga ma ancora più famigerato noto come il boia della Val Di Susa , inquadrato nella 3° Divisione Garibaldina in Val di Susa, partigiano comunista molto violento e deciso, soprattutto nel giustiziare le presunte spie e quindi definito utile alla causa, operò tra Pianezza, Druento, Alpignano, Pianezza, Collegno e Gruglisco, nel periodo 1944 – 1945, come Capo distaccamento con una decina di uomini alle sue dipendenze, che ubbidivano ciecamente ai suoi ordini, creando un clima di terrore comunista nella cintura Torinese ma con puntate anche a Torino.Lui e i suoi compagni ammisero durante il processo alla Corte di Assise di Torino di aver soppresso durante il periodo insurrezionale,ben 18 persone, 13 di sua iniziativa e 5 su comando dei suoi superiori.
Le modalità con cui sopprimeva i fascisti o i presunti tali erano particolarmente feroci , spesso condite da una buona dose di sadismo.
L'8 luglio del 1944 il sergente Gianfranco Trussoni di 22 anni in servizio di leva alla contraerea a Torino, venne a Pianezza a consegnare un pacco ad una signora per conto del suo capitano, fu preso e convinto ad unirsi ai partigiani. Il giovane, nonostante tutto, era contento della sua scelta e scrisse alla famiglia che si trovava bene. Ma circa un mese dopo, Faletto lo uccise colpendolo alle spalle mentre era a raccogliere dell'acqua presso un ruscello a Valdellatorre e lo derubò del suo cronometro d'oro.
Non ricevendo più notizie la madre e la fidanzata vennero a cercarlo, giunti al convento dei Frati di San Pancrazio ricevettero dai religiosi il pressante invito a non proseguire oltre, la madre Elinge Trussoni, la mamma, volle continuare e incontrò proprio l'omicida di suo figlio , Faletto, da cui seppe della morte del ragazzo.
La madre fu portata dal Faletto a San Gillio, in quel luogo, la povera donna in ginocchio, con le mani giunte si rivolse al boia della Val Susa con queste parole : Hai ucciso mio figlio e ora vuoi uccidere anche me, ma tu, non ce l'hai una madre ? Faletto per tutta risposta le sparò , poi prese la borsetta della vittima e la portò in giro come un trofeo da esibire.
Giuseppina Bessone di 56 anni era la panettiera di Caselette venne uccisa con il figlio, Bruno Pasinetti di 19 anni, alle 21 del 12 agosto del 1944 da Faletto che era penetrato in casa loro in quanto secondo il Boia della Val Susa, erano spie dei Fascisti, in realtà avevano soltanto espresso delle opinioni molto severe verso chi rubava ai contadini della zona, ma soprattutto si erano permessi di dissetare due feriti della G.N. R. che agonizzavano in piazza e a cui nessuno osava portare un minimo di conforto. Giuseppina e Bruno persero la vita per un bicchiere d'acqua.
Prima fu colpito il figlio poi anche la povera mamma che per proteggere il figlio lo abbracciò, i due corpi furono crivellati da 12 pallottole.
Ma il carattere fortemente criminale di Faletto spaziava in tutta la gamma della malvagità umana, il 25 ottobre del 1944 a Piaanezza, il Faletto penetrò nella casa di due donne anziane sole, una vedova di 55 anni e sua madre di 75, sotto la minaccia delle armi, stuprò la vedova sotto gli occhi della madre che fu costretta ad assistere inebetita alla violenza.
Una delle sue vittime fu Angelo Maggi di anni 40, il 21 novembre 1944, l'affittuario della tenuta Saffarone, dove c'è anche un castello alle porte di Torino, una brava persona molto generosa che non si occupava di politica, fu raggiunto in cascina dal Faletto che chiese denaro e bestiame, Maggi rifiutò, allora il boia della Val Susa a pedate lo costrinse a salire in auto, sotto lo sguardo sbalordito della moglie incinta e dei tre giovani figli, lo portò in località San Bernardo e qui lo ammazzò con tre colpi di pistola e lo finì a bastonate. Agli abitanti di Pianezza disse : se volete vederne uno ancora caldo è lì a San Bernardo. Tanto per essere in tema, prese dalle tasche della vittima 20 mila lire e l'orologio che aveva al polso.
L'agente di polizia ausiliario Vittorio Franco, di anni 24, non idoneo alla attività militare vera e propria e quindi per il quieto vivere agente ausiliario,anche in questo caso il Faletto diede mostra di grande sadismo, sequestrò Franco il 15 aprile del 1945, lo portò in una cascina isolata a Collegno, costrinse due povere donne del posto a cucinare il pollo per sé, per i suoi due complici e per il condannato che dallo spavento non riusciva a mandare giù il boccone.
Terminata la cena, uscirono tutti e compiuta l'esecuzione, Faletto tornò in cascina e disse ridendo, alle due buone donne: siamo usciti in quattro e torniamo in tre.
Ciro Catto ed Emanuele Buonisconti erano due giovani sergenti universitari in convalescenza appartenenti dalla artiglieria costiera , Faletto li prese prigionieri con grande facilità e avrebbe avuto l'obbligo di portarli al comando, invece li uccise dopo averli depredati degli effetti personali e poi ne abbandonò i corpi nel bosco di Pianezza , furono sepolti cristianamente da un sacerdote, Don Giacomo Perino, parroco di Grugliasco.
Il ciabattino Umberto Tondolo, un uomo molto solo e timido che usciva di casa esclusivamente la notte, fu prelevato e portato al comando partigiano dove i suoi assassini lo condannarono a morte e lo uccisero senza alcuna pietà.
l'ottantenne Domenico Nebbia di Alpignano, un povero contadino, che secondo il Briga comunicava con i Tedeschi tramite una radio rice trasmittente, fu preso e condotto in auto presso un cimitero dove il Faletto lo sfidò a pugni, poi lo convinse ad arrampicarsi sul muro di cinta del camposanto promettendogli salva la vita se ce l'avesse fatta a raggiungere la sommità. Il povero ottantenne con frenesia , scorticandosi le mani, cadendo più volte, riuscì a salire sul muro dove fu abbattuto dal mitra del boia della Val Susa, ma non era finita ! Faletto irruppe due volte nella casa della sua vittima e minacciò con la pistola la vedova anziana e malata, immobile a letto per farsi dire dove teneva i soldi, in quel frangente le gridò : ho fatto fuori tuo marito e adesso faccio fuori anche te ! Ovviamente i parenti terrorizzati gli consegnarono i pochi soldi che la vedova allettata deteneva.
Dopo il 1945, il Faletto si arruolò nella “Polizia del Popolo di Pianezza e iniziò a fare cassa, fece una estorsione ad un contadino del luogo, minacciandolo che se non pagava lo avrebbe portato a a fare un giro in montagna e tutti sapevano cosa volesse dire, rapinò due anziani coniugi di alcuni orologi d'oro e di 80 mila lire, entrando nella loro casa e rovistando nei cassetti e nei mobili con la scusa di cercare dei fascisti. Poi tentò il salto di qualità, con i suoi complici, Serra e Rinaldi, decise di ricattare un industriale di Alpignano, un certo Granero.
Si concordò un appuntamento per farsi consegnare la somma pattuita, 500 mila lire ma, il Granero che non aveva paura si fece accompagnare da alcuni amici tutti armati. Ne nacque un conflitto a fuoco in cui gli ex partigiani ebbero la peggio e feriti , dovettero battere in ritirata.
L'ingegnere Eleuterio Codecà, era un importante funzionario della FIAT, con grande esperienza lavorativa, addetto nel 1946 al reparto esperienze autoveicoli del Lingotto, un uomo tutto di un pezzo, onesto e ligio al dovere. Non amato anzi al contrario odiato dalle maestranze più comuniste ed estremiste. Un giorno dispose su richiesta della famiglia i funerali religiosi ad un operaio caduto sul lavoro. Il giorno dopo un gruppo di operai comunisti, delusi per non poter fare funerali civili al caduto, inscenarono una manifestazione sotto la finestra della direzione urlando che ci sarebbe stato un altro funerale alla FIAT.
Ed infatti nel 1952, Codecà fu ucciso in Via Villa Della Regina, una via isolata di Torino. Faletto e i suoi compagni, in questo caso furono coinvolti e rinviati a giudizio ma assolti per insufficienza di prove e si scampò l'ergastolo ma gli verranno addebitati sette delitti commessi nel periodo tra il 1943 e