sabato, gennaio 25, 2020

Cesarino degli Esposti settembre 1947


L'attentato alla canonica di Ceretolo (BO)
20 settembre 1947

Ceretolo è una frazione di Casalecchio di Reno, cittadina nota per la produzione di culatello, il re dei salumi, la la zone è nota per aver fatto parte del triangolo rosso della morte che fu teatro di centinaia esecuzioni sommarie compiute dalle brigate partigiane comuniste anche a guerra finita. Nel triangolo rosso della morte essere o essere stati vicini alla RSI suonava come una condanna a morte ma anche essere Cattolici impegnati poteva essere molto pericoloso, basta ricordare 22 preti assassinati prima e dopo il 25 aprile 1945 sempre dai soliti noti.
Il 21 settembre del 1947 Bologna viene designata come luogo del raduno generale del Nord e del Centro Italia della Gioventù di Azione Cattolica, si prevede la partecipazione di quasi centomila giovani. I Comunisti Emiliani la vedono come una sfida, una provocazione da parte dei Cattolici impegnati che inoltre si affacciavano nella politica. In una piccola parrocchia della zona, Ceretolo, come in moltissimi altre chiese ed oratori, tre persone preparavano dei cartelli che avrebbero esibito alla sfilata nel centro di Bologna, il parroco , Don Guerrino Guelfi e due giovani, Cesarino Degli Esposti un aspirante dell'Azione Cattolica di appena 13 anni e uno scout, Roberto Fornasari di anni 14.
Era la sera, alle 20,45 del 20 settembre 1947, all'indomani migliaia di ragazzi dell'azione Cattolica avrebbero sfilato per le vie di Bologna, qualcuno, sicuramente più di una persona, depose un bidone di latta colmo di esplosivo innescato da una miccia accanto al muro esterno della canonica, proprio in corrispondenza del soggiorno del sacerdote. Poi una mano assassina accende la miccia che innescherà l'esplosione. Lo scoppio farà crollare il muro portante della canonica, devasterà l'interno del fabbricato ma soprattutto ucciderà sul colpo il povero Cesarino Degli Esposti e ferirà il Parroco fratturandogli spalla e braccio destro , lo scout Roberto Fornaciari ne avrà per dieci giorni. Il rumore dello scoppio arriverà sino a Bologna che dista circa dieci chilometri. Menti ottuse avevano spezzato la vita di un bimbo di appena tredici anni, Cesarino nato a Gosso, Bologna, l'otto agosto 1934, già con dei valori e delle scelte molto scomode in una terra infuocata, i suoi genitori, Adelmo e Mafalda, subirono un dolore immenso e incolmabile che solo attraverso al loro fede riuscirono a metabolizzare.
Le indagini dei Carabinieri seguirono la pista dell'odio politico di matrice comunista e nel 1951 fu rinviato a giudizio un gruppo di tredici persone, tutti comunisti e la maggior parte ex partigiani comunisti, Angelo Piazzi, ex segretario della camera del lavoro di Casalecchio, Antonio Seldenari il mandante, Giuseppe Bolognini, Giorgio Finelli, Giuseppe Collina, Novello Landi, Celestino Cassola, Baldo Gardi, Felice Bosi. Tutti gli imputati si dichiararono innocenti tranne Giuseppe Collina il quale affermò che si trattava solo ed unicamente di un atto intimidatorio contro un prete molto attivo e quindi anti comunista.

Roberto Nicolick




sabato, gennaio 18, 2020

Giuseppe Fanin


Il barbaro omicidio di Giuseppe Fanin
San Giuseppe Persiceto ( Bologna )
5 novembre 1948
Muore la carne infranta, resta immortale lo spirito e l’idea”
epigrafe sul santino che annunciava la morte di Giuseppe Fanin

La famiglia Fanin nel dopoguerra emigra dal Veneto in Emilia a San Giovanni Persiceto, un centro di ventimila abitanti della provincia di Bologna, sono agricoltori e Cattolici, coniugano la zappa con il libro da messa, due genitori con 7 figli, il più intelligente dei quali , quello laureato è Giuseppe Fanin , buono e disponibile ma sempre animato da un'etica Cristiana, si impegna subito nel campo sindacale in un territorio dominato dalle leghe rosse, una zona dove rompere il monopolio dei sindacalisti comunisti è molto difficile e soprattutto pericoloso.
I sindacalisti rossi sono tutti ex partigiani , hanno giustiziato sommariamente tanti poveri cristi nel noto triangolo rosso della morte, i Carabinieri sospettano che nascondano ancora armi e che non abbiano scrupoli ad usarle contro quelli che si oppongono ai loro picchetti, c'è poco da scherzare.
In quel periodo i sindacati e gli agrari discutevano del patto di compartecipazione agricola, una novità per quegli anni. Fanin che nel frattempo è diventato segretario provinciale delle ACLI – Terra di Bologna, inizia ad acquisire consenso tra i braccianti, è benvisto ed ascoltato, gira animato dal suo entusiasmo e toglie spazio e iscritti ai sindacati tradizionali.
Quando nel luglio del 1948 un attentatore spara a Togliatti, una trentina di energumeni assale la sede del sindacato bianco e picchia Fanin dopo aver devastato la sede, il segretario è costretto a darsi alla fuga in quell'occasione.
Ma Fanin non si fa spaventare, continua ad essere sempre più scomodo per i sindacati rossi soprattutto quando siede al tavolo con gli agrari per definire le assunzioni dei braccianti, ovviamente mette in crisi il sistema di monopolio che i comunisti avevano instaurato, e riesce a fare assumere agricoltori non di fede comunista.
Fanin affascinante e intelligente è pericoloso per il sistema. Le leghe rosse fanno affiggere dei manifesti in paese dove lo definiscono “servo sciocco degli agrari”, tentano di isolarlo per spaventarlo, una vecchia tattica dei comunisti.
Il giorno successivo si sarebbe svolta una adunata degli operai del canapificio locale dove Fanin avrebbe fatto un intervento, bisognava tacitarlo.
Si decide di dargli una lezione, il segretario della cellula del PCI di San Giovanni in Persiceto, Gino Bonfiglioli si assume questo incarico, convoca un certo Gian Enrico Lanzarini, ex partigiano già noto per altri misfatti e lo invita in modo spiccio a formare una squadra di picchiatori.
Lanzarini faceva già parte di una banda nota come la banda degli otto, nota nel triangolo della morte dell'Emilia per rapine e omicidi, per lui non è una grossa difficoltà trovare due altri soggetti con cui dare una lezione al Fanin e li trova nelle persone di Renato Evangelisti e Andrio Morisi, braccianti e soprattutto ex partigiani comunisti, sono tutti giovani tra i venti e i ventisette anni, non di grande intelligenza, gregari fedeli del partito.
Bonfiglioli fornisce l'arma per dare la lezione a Fanin, una sbarra di ferro e in quella notte nebbiosa del 5 novembre del 1948, i tre si appostano lungo la strada che porta Fanin verso la sua abitazione.
Quella sera il giovane sindacalista era andato a trovare la fidanzata, Lidia Risi, e alle 22 circa pedalava sulla bicicletta nel buio e nella nebbia attraverso una strada di campagna. Appena Giuseppe Fanin transita accanto alla siepe, i tre figuri gli balzano addosso gettandolo a terra, poi con una violenza dettata da un odio bestiale iniziano a colpirlo con la sbarra di ferro, usandola sia come una mazza ma anche di punta come una lancia, una pioggia di colpi ferisce la vittima, per dare alle percosse la stessa violenza bestiale i tre si passano la sbarra, il cranio è letteralmente sfondato e alcuni colpi di punta verranno inferti nelle natiche come per sodomizzare quel democristiano che non voleva piegarsi ai voleri del vero ed unico sindacato.
Quando gli aggressori hanno finito il loro sporco lavoro, la vittima giace a terra in una pozza di sangue. Mentre la banda festeggia in osteria, alle 1,50 un uomo transita sul luogo dell'aggressione e trova il corpo a terra, subito pensa ad un ubriaco poi nota il sangue e corre subito a chiamare i Carabinieri.
Il povero Fanin si spegnerà all'ospedale di San Giovanni Persiceto senza riprendere conoscenza, era talmente sfigurato , che un suo intimo amico ebbe difficoltà a riconoscerlo.
Le indagini puntano ad un omicidio a carattere politico e i Carabinieri effettuano numerosi fermi in abito sindacale e di partito, provocando violente reazioni dei vertici comunisti dell'Emilia che gridano alla persecuzione politica.
Da Bologna arriva addirittura l'on. Paietta a fare un pubblico comizio in cui stigmatizzerà i fermi di polizia verso brave persone colpevoli solo di essere comuniste.
Fra i numerosi fermati ci sono anche i responsabili dell'omicidio, ma dopo pochi giorni tutti vengono rilasciati, è solo una mossa strategica dei Carabinieri, guidati dal Capitano Fedi, un ufficiale intelligente e preparato che sa benissimo che in quella regione rossa è meglio usare il cervello e solo dopo i muscoli.
Alcuni carabinieri , venuti da fuori regione, si infiltrano nei locali, attraversano i mercati, girano in lungo e in largo il territorio e raccolgono voci,confidenze e dati oggettivi da elaborare.
Appena si è sicuri degli indizi raccolti, un forte contingente di Carabinieri entra in paese alle due del mattino e va a tirare giù dal letto il segretario della cellula comunista Bonfiglioli e i suoi tre sicari, Lanzarini, Evangelisti e Morisi, il primo a crollare è proprio il mandante che in lacrime convincerà Lanzarini a confessare, gli altri due resisteranno un po di più ma alla fine anch'essi ammetteranno le loro responsabilità. Tuttavia preciseranno di aver voluto dare a Fanin solo ed unicamente una sonora lezione che purtroppo è andata al di là delle loro intenzioni.
Verranno rinviati a giudizio, il processo di primo grado si volge presso la Corte di Assise dell'Aquila per evitare suggestioni e condizionamenti da parte dell'opinione pubblica orientata a favore dei quattro imputati, la prima condanna sarà di pene variabili tra i ventuno e i ventitre anni, la pena venne confermata presso la Corte d'Appello di Roma e infine nel 1953 anche in Cassazione.
La famiglia della vittima si costituì parte civile ma alla fine espresso il perdono Cristiano agli assassini,  
La pena non venne scontata del tutto. Bonfiglioli e Lanzarini rimasero in galera per 17 anni, di cui tre in libertà vigilata; Morisi ed Evangelisti per 15 anni, di cui tre di libertà vigilata. Una delle ragioni dello sconto della pena, oltre alla buona condotta, fu dovuta al perdono concesso dalla famiglia Fanin.

Fanin con il suo martirio affrontato nel nome degli ideali Cattolici, trascese la sua figura umana e la Chiesa per il suo impegno a favore degli umili lo nominò Servo di Dio.
La violenza comunista , cieca, brutale, assurda non riuscì a oscurare una persona così luminosa come Giovanni Fanin.

Roberto Nicolick

sabato, gennaio 11, 2020

l'omicidio del tenente della GNR Carlo Cecora



Valle Mosso è un piccolo comune della provincia di Biella, nel 1944 faceva parte della provincia di Vercelli ora è con la provincia di Biella, in quell'anno fu teatro di una irruzione di partigiani della Valsesesia, appartenenti ad una brigata Garibaldina , guidata da Vincenzo Moscatelli, un noto capo , comunista, detto Cino.
I partigiani comunisti entrarono nel piccolo centro abitato, armati e sicuri del fatto loro, per fare le solite razzie. Tutti gli abitanti erano chiusi in casa terrorizzati di quello che poteva succedere e non avevano torto a temere il peggio.
Nel paese c'era un distaccamento della RSI, un plotone di esploratori appartenenti al battaglione Pontida della Guardia Nazionale Repubblicana. acquartierati in una palazzina di due piani, che ora è una scuola elementare, tutta dipinta di verde , il colore della speranza. Il reparto di dispose per difendere la propria posizione.
I partigiani, in numero soverchiante ,attaccarono la piccola caserma certi di sbaragliare il plotone , ma non avevano calcolato che si stavano scontrando con militari professionisti, preparati e motivati, con esperienza elevata di combattimento. Inoltre l'ufficiale in comando al plotone , il Tenente Carlo Cecora, era un giovane ufficiale di 37 anni, capace e coraggioso, Cecora era nativo di Napoli, con famiglia a Benevento.
Lo scontro a fuoco, fu lungo e molto violento, con feriti e morti da ambo le parti, gli attaccanti ebbero la peggio, si sbandarono lasciando diversi morti sul terreno e dovettero compiere una frettolosa ritirata. In cuor loro non dimenticarono lo smacco e le perdite subita grazie anche al valore del Tenente Cecora che aveva guidato con efficienza il reparto di esploratori del Pontida e giurarono che gliela avrebbero fatta pagare.
Nell'aprile del 1945, la Repubblica Sociale Italiana tracolla, i suoi reparti si ritirano accorpandosi in colonne che tentano di raggiungere la Valtellina. Dalla Provincia di Vercelli parte la colonna denominata Morsero, dal nome del responsabile provinciale, il Prefetto Michele Morsero, conta circa 2000 unità tra militari e civili, donne e bambini, nella colonna anche il plotone Pontida e il tenente Cecora. Non faranno molta strada, a Castellazzo Novarese verranno bloccati e circondati da ingenti forze partigiane. Il capocolonna, Michele Morsero accetta la resa e tutti i maschi vengono internati nel campo sportivo di Novara emtre le donne in una caserma poco distante.
Il Campo sportivo di Novara per gli ufficiali e i funzionari, è solo l'anticamera della morte, fatta di botte, privazioni, umiliazioni e condizioni igieniche spaventose. Ogni tanto appare un drappello di partigiani comunisti che portano via qualcuno che non farà mai ritorno.
Accade anche al tenente Cecora, per ordine di Moranino, detto Gemisto, arrivano proprio quelli a cui egli e il suo plotone si opposero efficacemente, lo fanno uscire dallo stadio, lo fanno camminare per chilometri, sottoposto a percosse feroci e brutali, trascinato ad un carro sino a Valle Mosso, dove a breve distanza dalla caserma che aveva presidiato fu ucciso con il classico colpo alla nuca. Questo il trattamento che i coraggiosi partigiani comunisti inflissero ad un ufficiale.



giovedì, gennaio 02, 2020

la strage di Crevacuore e la vendetta di una giovane a cui avevano tolto la madre ad appena 10 anni di età


La strage di Crevacuore
1944
luglio



Antefatti
Il pomeriggio del 15 di luglio del 1944, tre partigiani della Valsessera, probabilmente del distaccamento Pisacane, raggiunsero l'abitato di Crevacuore un centro abitato tra Vercelli e Biella, e incontrarono per la strada Margherita Ricciotti coniugata Giubelli, moglie di un militare delle BBNN, in quel momento assente, con la figlia Alfa di 10 anni.
Il capo di questa pattuglia , tale Aurelio Bussi, partigiano comunista, ferma la donna e affrontandola le dice “questa è la tua ultima ora, Voialtri Ricciotti siete stati sempre la mia rovina. Mi avete fatto correre; siete una manica di fascisti e delinquenti” quindi la schiaffeggia forse per restituirle uno schiaffo precedentemente ricevuto da lei durante una manifestazione fascista durante la quale egli, comunista militante, si era rifiutato di scoprirsi il capo.
La figlia di Margherita, Alfa di appena 10 anni strilla spaventata dalla violenza della scena a cui è costretta ad assistere. Le due sventurate sono portate su per la salita che porta al cimitero, dietro ordine di Bussi, uno dei tre, tale Walter Marchesini afferra la bimba piangente che si aggrappa disperatamente alla gonna della madre e la trascina via nonostante Margherita urla che non vuole separarsi dalla figlia.
La porterà in seguito da dei parenti. Carlo Calvi e Ugo girardi dopo un centinaio di metri sostano e il Calvi spara un colpo alla nuca alla Ricciotti mentre il Girardi la finisce con una raffica di mitra davanti al Bussi che guarda con malcelata gioia. Mentre Alfa viene allontanata sentirà chiaramente gli spari della spietata esecuzione della madre.
Non è finita, Bussi che è lo spietato regista di questo omicidio, tenterà anche di nascondere il corpo della Margherita , poi nello stesso giorno e luogo, il cimitero di Crevacuore, farà uccidere anche il fratello della Margherita, Calimero Ricciotti.
Sono persone di fede fascista , gente che egli odia e che vuole eliminare. Il suo odio non ha limiti, Calimero aveva una relazione con una donna del luogo , Caterina Bollazzi, che appena apprende della morte del suo uomo, va in piazza a gridare che andrà dai Fascisti a denunciare gli assassini , anche lei farà la stessa fine di Margherita e del suo uomo sempre per mano dei sicari di Bussi.
Come al solito tutti questi omicidi verranno rubricati come atti di guerra e coperti da amnistia, gli assassini cammineranno liberi e il maresciallo dei Carabinieri, Vito Giacomin che indagò su questi reati fu minacciato e delegittimato dai comunisti che tentarono addirittura di farlo passare per un alcolista.

Passano gli anni

La piccola Alfa Giubelli cresce con un dolore insanabile nel cuore, profondamente traumatizzata da quello che ha vissuto, a 16 anni si trasferisce ad Alzo Pella sul lago D'Orta, si sposa giovanissima, con una brava persona e tenta di sopravvivere, ma la tragedia che ha vissuto la perseguita, le sue notti sono popolate dagli incubi dove rivive la strage della mamma, ogni tanto torna al suo paese natio dove tutti cercano di dimenticare quegli anni , per convenienza o per paura .
Nel 1956, Guido Aurelio Bussi l'assassino dei suoi cari a 54 anni, è eletto sindaco di Crevacuore per il PCI, Alfa che ha 22 anni , ha il dolore di leggere il nome dell'assassino della madre sui manifesti elettorali e su quelli che egli firma come sindaco , il suo strazio si ripresenta in modo lacerante, è troppo.
Il 7 marzo 1956, prende la pistola del marito , una Browning 7,65, raggiunge Crevacuore da Borgomanero con il bus, tutti la vedono attraversare il paese, è alta, bruna, di bella presenza e non passa inosservata, alle 19 circa si presenta nella cooperativa di consumo e chiede dove può trovare il sindaco e la indirizzano ad Azoglio, una frazione di Crevacuore dove vive a pensione presso casa Perolini con la sua amante, una certa Rina, a piedi raggiunge Piazza Chiesa al civico numero 1, incontra una donna che le indica la padrona della casa, Elvira Perolini a cui chiede dove può trovare il sindaco, lei di buon grado entra e lo chiama, l'ex capo partigiano responsabile di tante esecuzioni sommarie, esce ha un tovagliolo con cui si netta la bocca, probabilmente era a cena, incuriosito guarda avanti a sé, la ragazza avanza anch'essa nella sua direzione, giunta ad un passo di distanza estrae la pistola dal cappotto , la punta e spara un colpo che centra Bussi allo stomaco, lui capisce chi la donna e la respinge colpendola ripetutamente con violenti pugni, la preme contro la parete dell'androne, lei quasi sopraffatta dalla stazza dell'uomo cade seduta mentre egli la sovrasta, ma il suo proposito di vendicare la mamma e lo zio è troppo forte, continua a sparare e abbatte Bussi giustizia è fatta , si alza e si allontana quasi correndo e raggiunge in autostop la caserma dei Carabinieri , si consegna dichiarando quello che ha fatto e soprattutto le ragioni del suo gesto.

Il processo

Dal processo a cui fu sottoposta Alfa Giubelli, emerse che sua madre Margherita e lo zio Calimero e la fidanzata dello zio, erano fascisti ma non avevano mai fatto nulla di male, inoltre si tratteggiò con chiarezza la figura spietata della cosiddetta vittima, Bussi, il quale a guerra finita, costituì addirittura un tribunale del popolo per giudicare una trentina di prigionieri e poter compiere una serie di esecuzioni sommarie dettate solo dall'odio ideologico e da motivi personale, come in quel periodo era prassi. Bussi in tale veste si era associato ad altri due soggetti simili a lui, Battista Calvi e Gino Gozzi. Ci volle un intervento di un esponente del CNL, Giuseppe Bertinotti, per scongiurare una strage e trattarli come prigionieri di guerra. In seguito Bussi divenne ostile a Gozzi e lo minacciò dicendogli”ricorda che con me l'hanno pagata tutti “ a cui Gozzi, consapevole delle gesta compiute dal Bussi rispose “ io non sono come quelli che tu facevi portare lassù e poi li facevi uccidere, per te le porte della prigione devono ancora aprirsi. Se ti presenterai personalmente per uccidermi io non avrò paura ma io so che tu mandi gli altri ad uccidere per conto tuo”. Il processo si concluse con una condanna a 5 anni, tre mesi e 10 giorni per la povera Alfa che al termine dovette anche trascorrere qualche mese in una casa di cura. Finalmente i suoi sonni non furono devastati da incubi terribili in cui l'omicida della madre passeggiava tranquillo ossequiato da tutti come primo cittadino.

Roberto Nicolick