domenica, gennaio 31, 2021

Germana Stefanini Vigilatrice Carceraria

 


Germana Stefanini

Vigilatrice Carceraria

Roma

28 gennaio 1983


Negli anni 80, i gruppi eversivi che si richiamavano ad una utopica rivoluzione comunista, iniziarono a colpire con feroce determinazione il personale che lavoravano negli istituti penitenziari, considerati parte integrante dello stato imperialista che loro intendevano “disarticolare”.

Inoltre molti terroristi erano detenuti per cui nella loro ottica distorta chi era addetto alle attività penitenziarie doveva essere colpito senza pietà.

Uno dei loro più feroci ed inumani omicidi è quello di Germana Stefanini, operatrice penitenziaria addetta semplicemente al controllo dei pacchi in arrivo ai detenuti ristretti presso il carcere di Rebibbia, Roma.

Il 28 gennaio del 1983, un gruppo di terroristi delle BR seguirono la Stefanini fino alla porta di casa ,sotto la minaccia delle armi la sequestrarono e nel suo appartamento sottoponendola ad un “processo del popolo” che durò diverse ore, la povera donna fu interrogata dai criminali sul suo lavoro che in realtà era molto semplice e non aveva implicazioni organizzative importanti all'interno del carcere, le sue parole e quelle dei sequestratori vennero registrate su una audiocassetta che in seguito verrà trovata dagli inquirenti, assieme ad altri ciclostilati deliranti e fanatici, in cui si predicava la lotta armata contro lo “stato imperialista” .

La povera donna implorò fra le lacrime, inutilmente pietà, ma i terroristi dimostrando assenza completa di umanità, dopo averla derisa, la assassinarono con un colpo di pistola alla nuca abbandonando il suo corpo nel cofano di una Fiat 132 a ritrovata nel Quartiere Tiburtino.

La vittima era conosciuta come una persona buona e disponibile all'interno del carcere e il suo omicidio fece nascere una reazione spontanea di sdegno di moltissime detenute. Le verrà assegnata alla memoria la Medaglia d'oro al Valor Civile alla memoria.

Gli assassini della Stefanini nella loro rivendicazione si qualificarono come appartenenti ai nuclei per il potere del proletariato armato, ex pantere rosse e successivamente gruppo criminale legato a prima linea e poi alle BR, una delle tantissime sigle della galassia sovversiva ed eversiva, che agì per qualche tempo in Italia spargendo sangue in modo specifico a Roma e contro il personale organico al Ministero di Grazia e Giustizia.

In seguito alle indagini saranno arrestati Francesco Donati, Carlo Garavaglia e Barbara Fabrizi, rinviati a giudizio verranno condannati dalla Corte di Appello di Roma all'ergastolo.

giovedì, gennaio 28, 2021

La strage di Contrada Feudo Gela ( CL )

 


La strage di Contrada Feudo

Gela ( CL )

28 gennaio 1946

brigadiere Vincenzo Amenduni,

carabinieri Vittorio Levico 29 anni, Emanuele Greco 25 anni, Pietro Loria 22 anni e Mario Boscone 22 anni, Mario Spampinato, Fiorentino Bonfiglio e  Mario La Brocca




Il comprensorio di Gela, è ricco di pozzi, denominati buche di assaggio, a causa delle numerose miniere di zolfo, nel caso che sto per esporre ebbero la stessa macabra funzione delle foibe del confine orientale Italiano. Nel 1946, era operativa una caserma dei Carabinieri a Contrada Feudo Nobile, presidiata da nove militari, li comandava un Brigadiere Pugliere, Vincenzo Amentuni di 39 anni, tutti gli altri Carabinieri erano poco più che ventenni e avevano stabilito un ottimo rapporto con la popolazione del luogo, con frequenti incontri di calcetto, partite di bocce e scambi di visite, la caserma era diventata un centro di aggregazione sociale tra i ragazzini del posto e gli stessi militari.

In quella zona era purtroppo frequente il banditismo e la guerriglia separatista, in particolare c'era una banda molto feroce che imperversava , il suo capo era un certo Salvatore Rizzo il quale tra dicembre e gennaio del 46, organizzò un agguato per eliminare la presenza dei Carabinieri che dava fastidio ai suoi traffici, fu simulata una denuncia per pascolo abusivo, quattro militari più il brigadiere effettuarono un sopraluogo e sulla via del ritorno scattò l'agguato, i carabinieri si trincerarono in una cascina e impegnarono i banditi in un conflitto a fuoco, terminate le munizioni si dovettero arrendere al gruppo di fuorilegge. Quindi i banditi attaccarono la caserma che espugnarono dopo un violento conflitto a fuoco, anche qui fecero prigionieri altri tre carabinieri, tutti gli 8 uomini di legge furono portati legati con il fil di ferro ed imbavagliati nel covo della banda, mentre il comando della legione Carabinieri inviava uomini e mezzi per liberare i sequestrati. Il capo banda iniziò una trattativa per fare uno scambio di prigionieri, infatti si voleva la liberazione di un altro bandito Concetto Gallo. La trattatva fallì e Rizzo decise di assassinare gli ostaggi, condotti a coppie, sino al feudo Rigiulfo, nel territorio di Mazzarino, qui in una delle foibe locali, dette appunto buca di assaggio, prima sciolti delle corde, denudati e falciati a colpi di mitra e gettati nella buca profonda quindici metri. Dopo qualche mese, uno degli assassini Giuseppe Milazzo fu preso ed interrogato, dopo ore di interrogatori confessò e guidò gli inquirenti sino alla fossa dove erano occultati i Carabinieri. Milazzo sarà in seguito condannato all'ergastolo.

Ancora oggi viene periodicamente officiata una Santa Messa in memoria di questi giovani che servirono lo Stato e caddero trucidati da feroci banditi separatisti



Carabiniere Carmine Apuzzo, appuntato Salvatore Falcetta


 

Carabiniere Carmine Apuzzo, appuntato Salvatore Falcetta

Alcamo Marina

27 gennaio 1976

La mattina del 28 gennaio 1976, l'On. Almirante aveva in programma un incontro pubblico ad Alcamo Marina, Trapani, alle sette del mattino arrivò in città, la sua scorta giunse nei pressi del presidio territoriale dei Carabinieri, la caserma Alkamar e notò la porta blindata della stazione socchiusa e con evidenti segni di effrazione, gli agenti della scorta all'interno trovarono i due militari che la presidiavano morti.

Subito diedero l'allarme, dalle indagini emerse che nottetempo, qualcuno con la fiamma ossidrica aveva forzato la porta metallica della casermetta, al cui interno i Carabinieri Carmine Apuzzo e l'appuntato Salvatore Falcetta stavo dormendo, dopo essere entrato aveva crivellato di colpi i due militari .

Le indagini sul duplice omicidio furono a dir poco particolari, comunque le ipotesi investigative erano indirizzate sulle BR o sulla mafia locale, i terroristi rossi non rivendicarono mai il duplice omicidio, a tutt'oggi è un crimine senza responsabili. All'epoca, quattro persone furono arrestate, uno morì, due si diedero alla latitanza e il quarto scontò 22 anni di carcere fino a quando una revisione del processo lo prosciolse per non aver commesso il fatto, un giornalista che si era interessato al caso fu ucciso dalla mafia e un testimone che aveva accusati i quattro, poi prosciolti, si impiccò in carcere nonostante fosse privo di una mano. E' ancora ora un mistero Italiano, rimane il fatto che due servitori dello Stato persero la vita in circostanze da chiarire.

domenica, gennaio 24, 2021

Guido Rossa , Giovanni Falco e Giovanni Ceravolo caduti in nome dei loro ideali e valori

 

Oggi 24 gennaio è l'anniversario di due gravissimi atti terroristici , le vittime furono persone per bene , che credevano fermamente in valori come onestà, coerenza, senso del dovere e rispetto per la vita umana, valori evidentemente non condivisi dai loro assassini, sto parlando di Guido Rossa e degli operatori della polizia, Giovanni Falco e Giovanni Ceravolo

Guido Rossa

24 gennaio 1979

Genova

Sono passate da poco le 6.30 quando, il 24 gennaio del 1979, l’operaio e delegato Cgil Italsider,  Guido Rossa sale sulla sua Fiat 850 per raggiungere il lavoro. Non sa che le BR lo hanno condannato ad essere punito nella loro logica perversa, semplicemente per aver fatto il suo dovere di cittadino e cioè aver denunciato un fiancheggiatore dei terroristi rossi, Francesco Berardi che divulgava dei volantini delle BR all'interno della sua fabbrica , l'Italsider di Genova.

Rossa fu l'unico del consiglio di fabbrica che ebbe il coraggio di sottoscrivere la denuncia venne quindi lasciato solo dai suoi compagni in un momento molto delicato, con il suo gesto di grande animo firmò la sua condanna a morte.

Un commando di tre brigatisti lo sta aspettando a bordo di un furgone parcheggiato sotto casa sua . Il gruppo di fuoco era formato da Lorenzo Carpi, Riccardo Dura e Vincenzo Guagliardo. Il primo a sparare è Gagliardo, il secondo è Carpi , sempre non mortalmente ma a questo punto interviene Riccardo Dura, capo riconosciuto della colonna Genovese, nome di battaglia “Roberto”, con una passata militanza in Lotta continua, considerato responsabile degli omicidi del Magistrato Francesco Coco e del Commissario di Polizia Antonio Esposito, Dura da volutamente il colpo di grazia a Rossa confermando una ferocia non comune e contravvenendo alle direttive del comitato dirigente delle BR. Rossa muore all'interno della sua auto, coraggiosamente come è vissuto, tentando di opporsi ai suoi assassini , la sua morte sgretola le certezze granitiche, di migliaia di operai che non troppo inconsapevolmente appoggiavano l'attività criminale delle BR, i quali si rendono conto anche se tardivamente della qualità scellerata di questi soggetti.

Mai prima d'ora le BR avevano assassinato un operaio, in più comunista e delegato sindacale della CGIL, lo sdegno della società civile e ideologizzata è enorme, fu sicuramente una presa di posizione tardiva e ipocrita, infatti negli anni precedenti, nessuno nel mondo operaio aveva fatto una piega quando a cadere sotto il piombo brigatista, c'erano carabinieri, poliziotti, magistrati e giornalisti, ora che la vittima era un operaio le cose cambiavano ottica. I Brigatisti rossi avevano appaiato nel loro odio feroce e distruttivo un operaio ai poliziotti e ai magistrati. Al di la di tutto Guido Rossa fu un esempio di coraggio civile e di impegno etico, al suo funerale partecipò tutta Genova, ci furono i soliti discorsi dei soliti politici tanto bravi a tessere le lodi chi aveva perso la vita per dei valori in cui credeva, ma certamente da morto Guido Rossa contribuì a infliggere un duro colpo alle BR, un colpo da cui inizierà la loro fine come era giusto che fosse. Le più belle parole che vennero spese al Suo funerale furono quelle di Don Gallo che lo definì “un uomo inedito”.


Agenti di pubblica sicurezza Giovanni Falco e Giovanni Ceravolo

Empoli 24 gennaio 1975


Alla sera del 24 gennaio del 1975 ,tre agenti del commissariato di Empoli su ordine della Questura di Firenze si presentarono in Via Boccaccio a Empoli in casa di Mario Tuti, laureato in architettura e di professione geometra presso l'ufficio tecnico del comune di Empoli, la scusa è quella di controllare la sua collezione di armi, in realtà essi avevano in tasca il mandato di cattura per la strage dell'Italicus spiccato dalla Procura di Firenze.

Non sapevano che Mario Tuti, all'apparenza tranquillo e mite, era un personaggio di rilevante pericolosità, in grado di maneggiare con perizia armi individuali e capace di svolgere attività militare offensiva, inoltre era il capo del Fronte nazionale rivoluzionario quindi con delle motivazioni politico ideologiche , secondo alcuni investigatori poteva anche avere delle responsabilità nella strage dell' Italicus.

Tuti intuì il pericolo, capì che l' arresto era imminente e sparò con un mitra. Uccide il brigadiere Leonardo Falco anni 52 e l' appuntato Giovanni Ceravolo di anni 44 sul pianerottolo della sua abitazione e ferisce gravemente l'appuntato Arturo Rocca di anni 50 che era di supporto ai suoi due colleghi, dopo aver sparato Mario Tuti fugge in Francia, lasciando in un lago di sangue tre fedeli servitori dello Stato, in seguito sarà coinvolto in altre vicende di sangue.

Su questa operazione di servizio vi sono molti punti da chiarire, il capo pattuglia in quel momento era senza l'arma di ordinanza, inoltre i tre agenti inviati erano di Empoli come lo stesso terrorista che conoscevano di vista, inizialmente non erano questi operatori che dovevano compiere l'arrestro ma bensì altri agenti del nucleo antiterrorismo della Questua di Firenze che ben conoscevano le caratteristiche del soggetto che avrebbero arrestato.

Nella strada dove sorge la casa che vide la morte dei due agenti e il ferimento del terzo , nel 2019, nella ricorrenza del fatto di sangue, il Comune di Empoli volle ricordare i due agenti caduti, una pietra di inciampo in ottone con sopra incisi i nomi dei due agenti per ricordare a tutti quelli che passano in quel punto il valore del dovere e dello spirito di servizio sino al più alto sacrificio.





sabato, gennaio 23, 2021

Carabinieri Euro Tarsilli, Giovanni Savastano

 Carabinieri Euro Tarsilli, Giovanni Savastano

21 gennaio 1982
Monteroni D'Arbia
Il 21 gennaio del 1982, un gruppo di terroristi di prima linea, dopo una rapina ad una banca alla periferia di Siena, salivano su un bus della linea Siena Montalcino, sulla SS Cassia, il Maresciallo dei CC Agusto Barra, affiancato dai Carabinieri Ausiliari Euro Tarsilli e Giovanni Savastano, appartenenti alal stazione territoriale di Monteroni D'Arbia informati via radio della rapina, fermavano il bus per controllare i passeggeri intuendo che i terroristi potevano avere scelto per metodo di fuga tale mezzo. Mentre il capo pattuglia faceva scendere a terra i passeggeri, uno di essi sceso in strada ed usando come scudo indiretto i suddetti, estraeva repentinamente un'arma e raggiungeva con numerosi colpi i tre militari, uccidendo Tarsilli e Savastano.
Il Maresciallo benchè ferito rispondeva al fuoco e abbatteva uno dei terroristi ferendone un'altro, quindi si metteva al riparo continuando il conflitto con gli altri cinque terroristi superstiti che fuggivano per i campi. Nel corso di ulteriori battute furono tutti tratti in arresto e risultarono appartenenti al gruppo terroristico denominato prima linea già protagonista di altri gravi delitti.
Il Maresciallo Barra fu insignito della Medaglia D'Argento al V.M. , mentre i due Carabinieri caduti furono insigniti della Medaglia D'oro al V.M. Avendo sacrificato la propria vita al servizio della collettività.



lunedì, gennaio 11, 2021

Brigadiere di Pubblica Sicurezza Filadelfio Aparo, 11 gennaio 1979, Palermo

 


Brigadiere di Pubblica Sicurezza Filadelfio Aparo, 11 gennaio 1979, Palermo

Il brigadiere Filadelfio Aparo, classe 1935, faceva parte della sezione catturandi della Questura di Palermo, quel nucleo di poliziotti tenaci e competenti, che avevano il compito di seguire le tracce dei ricercati sino alla loro cattura. Un compito difficile e pericoloso, soprattutto quando i ricercati erano criminali mafiosi con all'attivo numerosi omicidi. I suoi primi servizi li compie presso le Questure di Bari, Taranto e Nettuno poi approda alla sezione antirapine di Palermo e infine per le sue capacità di segugio e per la grande conoscenza del territorio, alla squadra mobile di Palermo, sezione catturandi, il suo soprannome era “il radar” in quanto nessun latitante poteva sperare di sfuggirgli a lungo.

Aparo quel giorno, l'11 gennaio 1979, era contento e non lo nascondeva, infatti aveva conseguito la promozione a Brigadiere, quella mattina salutò la moglie e il figlio, che dal balcone, lo guardarono uscire dal portone della sua abitazione al numero 25 di piazza Anelli a Palermo, i killer della mafia lo aspettavano in strada, armati di un fucile a canne mozze e una pistola calibro 38, con queste armi iniziarono a colpirlo ripetutamente da direzioni diverse, Aparo tentò di estrarre la sua pistola di ordinanza ma non ci riuscì e cadde sull'asfalto mentre sua moglie e il figlio urlavano la loro disperazione dal balcone. Gli assassini salirono a bordo di una Fiat 128 rossa che partì sgommando. Quando il figlio arrivò sulla strada, Aparo era già morto ucciso dalla pioggia di proiettili accanto a lui c'era un vicino di casa che al momento della aggressione si trovava accanto al Brigadiere.


domenica, gennaio 10, 2021

Angelo Sorino Maresciallo di Pubblica Sicurezza, Palermo 10 gennaio 1974

 

Angelo Sorino era un Maresciallo della P.S. , Pubblica Sicurezza, ma soprattutto era poliziotto nell’anima perchè credeva fermamente nella Legge, nel diritto e nel fatto che i delinquenti dovessero finire in galera. Dopo 54 anni di onorato servizio nell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza poteva andare pensione e seguire finalmente la famiglia e i quattro figli, invece aveva accettato, su richiesta della Amministrazione, di prestare servizio ancora per otto mesi.

Il maresciallo Angelo Sorino, 57 anni, si era ritrovato così in forza al quartiere San Lorenzo di Palermo, uno dei più inquinati dalla mafia , fino al 1 gennaio 1973.

Non era sicuramente un uomo da scrivania ma bensì un ottimo investigatore, con un vero e proprio schedario nella sua mente, un attento e profondo conoscitore della mafia, dei suoi uomini, dei suoi capi e dei metodi che la mafia usava per raggiungere i suoi obiettivi, quindi era un uomo molto pericoloso per l'”onorata società”

Finalmente per Sorino arriva la pensione aveva messo in armadio la sua uniforme ma non la sua propensione ad essere poliziotto ed a osservare con occhio attento tutto quello che accadeva attorno a ui, decifrando faqtti che ad alcuni potevano essere insignificanti ma che a lui esperto investigatore, avevano un significato molto preciso nel quadro della attività mafiosa .

Girando per il quartiere, andando al mercato o al bar, chiacchierava con tutti, e soprattutto ascoltava ogni parola anche la più insignificante , annotando mentalmente ogni sfumatura del linguaggio dei mafiosi e accumulando informazioni che poi passava ai colleghi della Questura di Palermo.

Informazioni utilissime a ostacolare i clan di quella zona di Palermo, il suo agire non passò inosservato e i boss locali decisero di eliminarelo in quanto pericoloso per gli aderenti alla mafia.

il 10 gennaio 1974, era un lunedì piovoso, l'ex maresciallo al riparo del suo ombrello stava rientrando a casa proprio nel quartiere San Lorenzo, fu avvicinato alle spalle da un sicario mafioso armato di un revolver calibro 38 che vigliaccamente gli esplose diversi colpi, il maresciallo ai primi colpi si girò e tentò di riparasi con l'ombrello aperto poi cadde . Prima di fuggire il sicario sparò ancora un paio di colpi, poi salì su una auto che lo attendeva con il motore acceso. La mafia con i suoi metodi di macelleria aveva assassinato un fedele servitore dello Stato ma soprattutto una persona per bene.