venerdì, agosto 17, 2018

Giuseppe Ciotta Brigadiere di Pubblica Sicurezza 12 marzo 1977

Giuseppe Ciotta
Brigadiere di Pubblica Sicurezza
12 marzo 1977
La stelle a cinque punte, emblema di odio del terrorismo rosso delle Bierre, fa la sua prima apparizione a Lainate ( Milano ) sulla pista di prova della Pirelli il 25 gennaio del 1971. Il fatto che si autodefinissero Brigate, e non gruppi o raggruppamenti o squadre, può far pensare ad una precisa e voluta assonanza con le più anteriori Brigate d'assalto Garibaldi.
Comunque a Torino, città con un humus sociale molto interessante per l'eversione rossa, nacquero e si svilupparono ben quattro “colonne” armate che attraverso attentati dinamitardi, rapimenti, attacchi armati dimostrativi, con o senza ferimenti e soprattutto omicidi di Agenti di polizia, di carabinieri, di agenti penitenziari, avvocati, giornalisti, guardie giurate, presunte spie e non ultimi funzionari FIAT.
Un gesto infame molto usato dai brigatisti rossi era la cosiddetta gambizzazione che consisteva nel colpire ad uno o entrambi gli arti la vittima prescelta rendendola spesso inabile.
Dopo la violenza contro il patrimonio, l'azione terroristica si esplica in modo più diretto contro le persone, colpevoli secondo le Bierre, di essere servi del sistema o meglio dello SIM , stato imperialistico delle multinazionali.
Siamo al 12 marzo del 1977, un sottufficiale della Pubblica Sicurezza, Giuseppe Ciotta, esce da casa sua in Via Gorizia, Quartiere Santa Rita, dove abita con la moglie e la figlia di due anni, una zona popolare di Torino, per recarsi al lavoro all'Ufficio politico della Questura.
Ciotta è un brigadiere che ha l'incarico di sorvegliare le attività politiche esterne alla Facoltà di architettura, al Politecnico e al Liceo Scientifico “Galileo Ferraris”, in tale veste aveva contribuito alla cattura della Professoressa Adriana Garizio, sospettata di essere una brigatista e condannata a tre anni per tale accusa.
Gli studenti lo conoscono e spesso si fermano a chiaccherare con lui. E' un operatore attento e intelligente, stimato dai giovani studenti che non lo vedono come un elemento alieno al loro ambiente, e questo può rappresentare un pericolo per l'eversione rossa che decide di colpirlo.
Ciotta è la prima vittima a cadere a Torino per mano di un gruppo, comunque riconducibile alle Bierre, che si autodefinisce attraverso un ciclostile “ Brigate combattenti “ in cui il suo omicidio è per vendicare un “compagno” morto a Bologna, lo studente Lo Russo.
Sono le 8 , il Brigadiere esce dal portone di ingresso di casa di Via Gorizia, entra nella sua 500 FIAT alza il viso sorridendo per salutare la moglie affacciata al balcone che lo saluta , la strada come ogni mattina lavorativa è piena di gente che esce , che sale sui bus e sui tram o in auto, per andare a scuola o al lavoro, appaiono come dal nulla, tre soggetti armati, uno di loro sfonda il vetro dell'auto con il calcio della pistola e spara tre colpi di rapida sequenza, uno raggiunge al cuore Ciotta che non ha il tempo di estrarre la sua arma di ordinanza e muore sul colpo.

l'omicidio di Italicus




Don Virginio Icardi
“Italicus”
Don Icardi era un parroco , classe 1908, di Cassinelle (AL), entra in seminario ad Acqui Terme e viene ordinato sacerdote a luglio del 1926, ad appena 18 anni, inizia come vice parroco a Bistagno, poi parroco a Squaneto. In quel centro abitato, di poche centinaia di abitanti, con trentasei famiglie, povero di risorse ed isolato dal resto del mondo, Don Icardi, prete di grande valore etico ed ideale, si presta a favore della popolazione nei momenti più duri della guerra civile che insanguinò il basso Piemonte.
Ad Acqui c'era un forte contingente di militari Tedeschi e di Repubblicani accantonati nella caserma “Battisti”, mentre nelle zone rurali spesso operavano bande partigiane, quindi i civili della zona erano tra l'incudine dei rastrellamenti dei Tedeschi e dei Fascisti e le scorrerie dei partigiani.
Don Icardi fa una scelta , per meglio proteggere la popolazione del comprensorio che ruota attorno a Squaneto, Bistagno, Spigno Monferrato, grazie al suo carisma che esercita sulla popolazione locale, forma un reparto di patrioti, ne raccoglie una sessantina circa, li addestra e li organizza e li arma. Il suo reparto dispone di una mitragliatrice, di una quarantina di armi individuali e di alcune decine di bombe a mano.
Il suo reparto inizia ad agire tiene i contatti con i partigiani Mauri, che agivano nelle Langhe nel Monferrato e si astiene dal svolgere attività militari con le formazioni comuniste di base in Liguria e nella Valle Bormida, inoltre contribuisce al salvataggio di alcuni piloti di arerei da combattimento Britannici, abbattuti dalla flak Tedesca.
Rifiuta quindi il commissario politico che ha il compito di indottrinare i partigiani con la ideologia marxista. Anzi adotta come nome di battaglia Italicus a significare il suo rifiuto a ideologie straniere e lontane dalla realtà nazionale, la sua formazione prende il nome dal suo capo.
Questo lo mette in contrapposizione con i partigiani comunisti ma non solo, infatti il suo vescovo guarda con sospetto e con forte disapprovazione la sua opera di capo partigiano e alla fine lo sospende a “divinis”. Ma soprattutto Italicus tutela la popolazione locale, e impedisce che sia vittima di soprusi e “espropri”. La sola esistenza del reparto di Italicus impedisce ai partigiani comunisti di entrare nella sua zona di influenza e al tempo stesso tiene lontani i Tedeschi e i reparti repubblichini.
Ma qualcuno decide di creare il casus belli, una pattuglia di partigiani provenienti da Cairo Montenotte, arriva in zona e sequestra tre genieri Tedeschi distaccati ad Acqui che si stavano recando al mare, si era ad agosto del 1944. All'alba del 19 agosto 1944, da Acqui partirono ingenti reparti delle SS e della RSI, le truppe iniziarono un rastrellamento che interessò Malvicino, 45 civili furono presi in ostaggio e minacciati di essere fucilati se i tre genieri Germanici non fossero stati rilasciati. Era chiaro che chi aveva preso i tre tedeschi non li avrebbe mai rilasciati e in quel caso avrebbe provocato la rappresaglia delle SS che avrebbe innescato una spirale di odio senza fine, ma in fondo era proprio questo l'obiettivo dei partigiani comunisti, sangue chiama sangue.
In quella intervenne Don Icardi, che raggiunse il luogo dove i tre Tedeschi erano tenuti, fece firmare loro un documento in cui dichiaravano di essere stati trattati bene dai partigiani e pregavano i loro camerati di trattare con la stessa benevolenza gli ostaggi epoi di non fare loro violenza, poi convinse il partigiano noto con il nome di “biondino” di rilasciarli. Cosa che avvenne ma che firmò la sua condanna a morte.
Aveva impedito con giudizio, che gente innocente fosse uccisa ingiustamente per un gesto che non aveva nulla di militare o strategico, si trattava di tre semplici genieri, personale non combattente, la cui cattura ed eventuale uccisione, non avrebbe portato nessun vantaggio alla lotta di liberazione ma solo morti innocenti.
Questo suo gesto usciva dalla logica conflittuale e distruttiva dei partigiani comunisti, che non lo perdonarono, egli stesso percepì che il suo darsi da fare per salvare degli innocenti gli aveva fatto crescere l'odio attorno di chi non aveva interesse ad una pacificazione.
Infatti la sera del 2 dicembre 1944, mentre tornava da cenare con altri patrioti, a Pareto in località Isole, un gruppo di persone gli tese un agguato e Italicus fu assassinato a tradimento con una raffica di mitra ad appena 36 anni.
Chi lo rinvenne verso le 19, lo descrisse con scarponi, fasce chiare, pantaloni scuri, giaccone e sciarpa, era disteso sulla strada, in direzione di Miglio con il capo rivolto alla collina sovrastante.
Alle 21 circa giunse un commissario, Mariottini, il messo del comune e una guardia, raccolsero il corpo e con una lettiga di legno di quelle usate in campagna lo portarono alla Cappella di San Lorenzo.
Il Vescovo di Acqui vietò le esequie a Don Icardi, allora di fronte a tanta cattiveria, un suo ex nemico, il Generale Amilcare Farina, comandante della San Marco, lo fece inumare presso il cimitero delle Croci Bianche e fece benedire la salma dal Cappellano Militare il frate Giovanni del Monte.
Dopo la morte di Italicus chiunque si fosse interessato troppo per sapere i nomi degli assassini sarebbe stato minacciato di fare la stessa fine, accadde a sacerdoti suoi amici e anche alla sorella di Italicus.
A tutt'oggi i nomi dei suoi assassini non sono noti.

L'omicidio del Maresciallo Berardi a Torino da parte delle BR

Maresciallo di P.S. Rosario Berardi
Commissariato porta Palazzo
Torino
Rosario Berardi, maresciallo della polizia, nativo di Bari ma cresciuto a Ruvo di Puglia, già in servizio presso la Questura di Bari, padre di 5 figli, alle 7,30 del mattino del 10 marzo 1978, beve una tazza di caffè con la moglie e poi esce per recarsi al lavoro, ex appartenente alla Digos, dipartimento investigativo generale e operazioni speciali, aveva maturato una grande esperienza nel campo della lotta al terrorismo partecipando a numerose operazioni di servizio, con la scoperta di alcuni covi di brigatisti ed all'arresto di molti appartenenti alle bierre, fra cui Maurizio Ferrari.
Berardi, tranquillo e sereno, esce dal portone numero 1 di Via Manin, quartiere Vanchiglia, Torino, a piedi come al solito si dirige in Corso Belgio dove c'è la fermata del tram numero 7, che lo avrebbe portato al lavoro al Commissariato di Porta Palazzo dove attualmente prestava servizio.
In corso Belgio, un gruppo di brigatisti, quattro, di cui tre uomini e una donna, sono in agguato, armati, appostati in auto dalla mattina, una comune 128 FIAT di colore blu, posteggiata dalla parte opposta alla fermata del tram su cui sarebbe salito Berardi, molto probabilmente hanno studiato per settimane e forse per mesi le sue abitudini, l'autista tiene il motore acceso, perchè a poca distanza c'è il commissariato di polizia del quartiere Vanchiglia.
Quando Rosario Bersrdi esce dal portone di casa, in borghese e con la pipa tra i denti, il meccanismo omicida si mette in moto, una donna, Nadia Ponti “Marta” segnala l'arrivo della vittima ai suoi compagni che scendono dall'auto in tre, uno di essi, Patrizio Peci, “Mauro” ha un mitra nascosto sotto il soprabito e si muove parallelo alla vittima nella sua stessa direzione, in attività di copertura, gli altri due, Cristoforo Piancone “Sergio”, e Vincenzo Acella “Filippo”, attraversano in diagonale la strada e e si portano alle sue spalle, estraggono le loro armi, una Nagant MI 895 e una Beretta Serie 70, ed esplodono tre proiettili tutti andati a segno, con due pistole di diverso calibro.
Il maresciallo non riesce ad estrarre la sua pistola di ordinanza che custodiva nel borsello e cade a terra ferito gravemente ma ancora in vita, ha un gesto istintivo : con le mani cerca di ripararsi il volto.
La gente rimane paralizzata dal terrore ma non si può avvicinare alla vittima perchè il terrorista con il soprabito imbraccia il mitra e minaccia i presenti, gli altri due si avvicinano al maresciallo a terra e gli sparano altri quattro colpi al capo e ad un braccio, prima di risalire sull'auto i terroristi afferrano il borsello del maresciallo con dentro i suoi effetti personali, agendina dove il maresciallo custodiva i recapiti telefonici di una ventina di suoi ex collaboratori dell'antiterrorismo che ovviamente da quel momento sono in pericolo anch'essi e l'arma in dotazione, una Beretta calibro 9 con caricatore bifilare. La 128 sparisce nel traffico
L'azione si svolge in meno di un minuto. Un passante corre al Commissariato Vanchiglia e avverte della sparatoria, arriva un agente con la pistola in pugno che riconosce il maresciallo, ma non può fare altro che telefonare alla Croce Rossa, purtroppo Berardi arriva morto alle Molinette.
I posti di blocco non danno alcun risultato, i brigatisti si sono mossi in modo militare e con spietatezza fidando nella debolezza politica dello stato che non lascia libertà di azione alle forze di polizia.
In questura centrale la notizia arriva come una bomba e scatena il dolore e la rabbia degli agenti, dei sottufficiali e dei funzionari, Berardi era un operatore onesto, preparato e molto stimato dai suoi colleghi. La sua famiglia ne è sconvolta, come ne è colpita la città di Torino.
Il giorno successivo una telefonata all'ANSA, fa ritrovare alle 15, in una cabina telefonica di Via Cibrario un volantino delirante e pieno di odio, in cui le Bierre rivendicano l'omicidio del sottufficiale “nel quadro del più generale attacco alla struttura militare del nemico”.
Nel mega processo alle Bierre nella ex caserma Lamarmora, gli imputati tentano di leggere un analogo comunicato di rivendicazione ma il Presidente della Corte Giudicante glielo impedisce.
Le indagini investigative non porteranno a nulla, poi, due anni dopo, Patrizio Peci un terrorista pentito si autoaccuserà e farà una chiamata di correo nei confronti di Nadia Ponti, Vincenzo Acella e Cristoforo Piancone.