venerdì, febbraio 07, 2020

in occasione della Giornata del Ricordo 2020


La pulizia etnica delle foibe
L'olocausto degli Italiani al confine Orientale

La lunga fila di prigionieri, stretta ai polsi con del filo di ferro che segna la carne, risale a piedi nudi il sentiero scosceso che conduce all’orrido in cima alla collina, i sassi e i rovi lacerano le estremità degli sventurati che lasciano una lunga traccia di sangue, i loro guardiani gli hanno sottratto anche le scarpe , tanto a loro non serviranno più, ma guai a fermarsi oppure a lamentarsi, i calci dei fucili calano sulle teste di chi osa parlare.
E’ notte, una gelida e buia notte  nell’immediato dopoguerra, una notte senza luna. L’orrido è profondo un centinaio di metri è conosciuto da chi ci abita vicino, come “foiba”, dal latino “fovea”, una fessura minacciosa nella roccia ad andamento irregolare, largo alla sommità, stretto al centro e ancora largo al fondo, a forma di una clessidra, un inghiottitoio che in effetti inghiotte come un mostro insaziabile centinaia anzi migliaia di persone, molte ancora vive, condannata a morire sommersi da altri corpi nell'umido del sangue delle altre vittime di questo olocausto.
 In moltissime occasioni i partigiani di Tito, prima e soprattutto dopo, la fine della seconda guerra mondiale, vi trascinavano gli Italiani, come bestie al macello, non importa se innocenti da qualsiasi colpa. Magari non erano neppure fascisti, però Italiani che facevano parte della struttura sociale e civile della Venezia Giulia e della Dalmazia, del confine orientale italiano, insegnanti, funzionari, finanzieri, carabinieri, militari, commercianti, sacerdoti, impiegati, civili che andavano eliminati in vista della occupazione delle ex terre italiane per creare la grande Yugoslavia.
I miliziani Titini perseguivano un perverso progetto di pulizia etnica, con grande efficienza e con odio criminale, che derivava da direttive precise e da una ferocia simile a quella manifestata dai nazisti verso gli Ebrei. E quindi nessuna pietà o rimorso per i gesti orrendi che compivano su questi poveretti. Nella foiba finivano tutti, purchè Italiani: uomini, ragazzi, vecchi, anche donne e giovinette che prima di essere gettate, generalmente subivano stupri di gruppo, anche i comunisti , purchè Italiani erano “infoibati” senza alcun riguardo per la loro fede politica, anche se pochi mesi prima avevano combattuto fianco a fianco contro i Tedeschi.
La fila di morituri, qualcuno seminudo, arriva al ciglio della foiba, di cui non si può scorgere il fondo , qualcuno singhiozza, i vecchi sono rassegnati, gli uomini ancora vigorosi forse hanno opposto una qualche resistenza perché hanno il viso tumefatto reso irriconoscibile dalle violente percosse degli aguzzini Titini.
Alcune donne piangere dirottamente a capo chino , anche a loro hanno legato i polsi con il filo di ferro, lo hanno stretto con le pinze e il cavo è penetrato nella carne fragile provocando dolori lancinanti, ma è ben poca cosa rispetto a quello che queste donne hanno dovuto subire prima, Norma Cossetto ne è solo un esempio, uno dei tanti.
Se qualche prigioniero incespica sul sentiero, viene prontamente afferrato e trascinato in alto , verso la fine vicina. Appena il primo dei condannati giunge al bordo dell’inghiottitoio, i miliziani con la stella rossa sulla pilotka in seguito denominata titovka in onore di Tito, imprecano vero i poveretti, spianano i loro fucili mitragliatori e  sparano a raffica sull’inizio della fila. E’ una tattica che ha le sue ragioni : i primi uccisi dalla raffica, cadono nel vuoto e trascinano come una collana orrenda, tutti gli altri che sono ancora vivi e che cadendo sul fondo del burrone, dopo un volo di decine di metri rimarranno feriti.
Corpi vivi con corpi morti, legati fra di loro, in un tragico impasto prima di dolore e poi di morte e infine di decomposizione.
Uno dei miliziani di Josip Broz detto Tito, sghignazzando impugna una granata, toglie la sicura e la getta in basso, dove si trova il mucchio di corpi. L’esplosione finisce i feriti, smembra altri corpi, seminando altro dolore e disperazione, urla di agonia salgono verso il cielo.
Poi la strage diventa pantomina, questi assassini Slavi sono stati contadini e vivono con convinzione le loro arcaiche superstizioni, hanno reperito una carogna di un cane, rigorosamente nero, e lo scagliano sul cumulo di corpi. Questo animale morto , nel loro irreale, farà da guardiano alle anime degli assassinati e impedirà che risalgano a perseguire i loro truci assassini, affinchè possano dormire tranquilli.
Questi omicidi di massa sono  avvenuti, con le stesse modalità, centinaia di volte a Basovizza, Monrupino, Barbana, Beca, Brestovizza, Opicina, Casserova, Cernizza, Cocevie, Obrovo, Jurani, Ladruichi, Pucicchi, Odolina, Semich, Treghelizza, Vines, Zavni , ecco le località tristemente famose in cui si consumò l’infoibamento di almeno 30 mila Italiani, in un territorio, che all’epoca dei fatti era intimamente Italiano e da qualche decennio è diventata  terra straniera.
Migliaia di Giuliani e Dalmati, dopo aver visto e provato sulla loro carne questa pulizia etnica, fuggirono in Italia, abbandonando tutti i loro beni,  per non finire nelle foibe o, nella migliore delle ipotesi, essere inglobati in un sistema politico , quello Titocomunista, che negava ogni libertà anche quella più elementare.

Roberto Nicolick