La
pulizia etnica delle foibe
L'olocausto
degli Italiani al confine Orientale
La
lunga fila di prigionieri, stretta ai polsi con del filo di ferro
che segna la carne, risale a piedi nudi il sentiero scosceso che
conduce all’orrido in cima alla collina, i sassi e i rovi lacerano
le estremità degli sventurati che lasciano una lunga traccia di
sangue, i loro guardiani gli hanno sottratto anche le scarpe , tanto
a loro non serviranno più, ma guai a fermarsi oppure a lamentarsi, i
calci dei fucili calano sulle teste di chi osa parlare.
E’
notte, una gelida e buia notte nell’immediato dopoguerra, una
notte senza luna. L’orrido è profondo un centinaio di metri è
conosciuto da chi ci abita vicino, come “foiba”, dal latino
“fovea”, una fessura minacciosa nella roccia ad andamento
irregolare, largo alla sommità, stretto al centro e ancora largo al
fondo, a forma di una clessidra, un inghiottitoio che in effetti
inghiotte come un mostro insaziabile centinaia anzi migliaia di
persone, molte ancora vive, condannata a morire sommersi da altri
corpi nell'umido del sangue delle altre vittime di questo olocausto.
In
moltissime occasioni i partigiani di Tito, prima e soprattutto dopo,
la fine della seconda guerra mondiale, vi trascinavano gli Italiani,
come bestie al macello, non importa se innocenti da qualsiasi colpa.
Magari non erano neppure fascisti, però Italiani che facevano parte
della struttura sociale e civile della Venezia Giulia e della
Dalmazia, del confine orientale italiano, insegnanti, funzionari,
finanzieri, carabinieri, militari, commercianti, sacerdoti,
impiegati, civili che andavano eliminati in vista della occupazione
delle ex terre italiane per creare la grande Yugoslavia.
I
miliziani Titini perseguivano un perverso progetto di pulizia etnica,
con grande efficienza e con odio criminale, che derivava da direttive
precise e da una ferocia simile a quella manifestata dai nazisti
verso gli Ebrei. E quindi nessuna pietà o rimorso per i gesti
orrendi che compivano su questi poveretti. Nella foiba finivano
tutti, purchè Italiani: uomini, ragazzi, vecchi, anche donne e
giovinette che prima di essere gettate, generalmente subivano stupri
di gruppo, anche i comunisti , purchè Italiani erano “infoibati”
senza alcun riguardo per la loro fede politica, anche se pochi mesi
prima avevano combattuto fianco a fianco contro i Tedeschi.
La
fila di morituri, qualcuno seminudo, arriva al ciglio della foiba, di
cui non si può scorgere il fondo , qualcuno singhiozza, i vecchi
sono rassegnati, gli uomini ancora vigorosi forse hanno opposto una
qualche resistenza perché hanno il viso tumefatto reso
irriconoscibile dalle violente percosse degli aguzzini Titini.
Alcune
donne piangere dirottamente a capo chino , anche a loro hanno legato
i polsi con il filo di ferro, lo hanno stretto con le pinze e il cavo
è penetrato nella carne fragile provocando dolori lancinanti, ma è
ben poca cosa rispetto a quello che queste donne hanno dovuto subire
prima, Norma Cossetto ne è solo un esempio, uno dei tanti.
Se
qualche prigioniero incespica sul sentiero, viene prontamente
afferrato e trascinato in alto , verso la fine vicina. Appena il
primo dei condannati giunge al bordo dell’inghiottitoio, i
miliziani con la stella rossa sulla pilotka
in seguito denominata titovka
in onore di Tito, imprecano vero i poveretti, spianano i loro fucili
mitragliatori e sparano a raffica sull’inizio della fila. E’
una tattica che ha le sue ragioni : i primi uccisi dalla raffica,
cadono nel vuoto e trascinano come una collana orrenda, tutti gli
altri che sono ancora vivi e che cadendo sul fondo del burrone, dopo
un volo di decine di metri rimarranno feriti.
Corpi
vivi con corpi morti, legati fra di loro, in un tragico impasto prima
di dolore e poi di morte e infine di decomposizione.
Uno
dei miliziani di Josip Broz detto Tito, sghignazzando impugna una
granata, toglie la sicura e la getta in basso, dove si trova il
mucchio di corpi. L’esplosione finisce i feriti, smembra altri
corpi, seminando altro dolore e disperazione, urla di agonia salgono
verso il cielo.
Poi
la strage diventa pantomina, questi assassini Slavi sono stati
contadini e vivono con convinzione le loro arcaiche superstizioni,
hanno reperito una carogna di un cane, rigorosamente nero, e lo
scagliano sul cumulo di corpi. Questo animale morto , nel loro
irreale, farà da guardiano alle anime degli assassinati e impedirà
che risalgano a perseguire i loro truci assassini, affinchè possano
dormire tranquilli.
Questi
omicidi di massa sono avvenuti, con le stesse modalità,
centinaia di volte a Basovizza, Monrupino, Barbana, Beca,
Brestovizza, Opicina, Casserova, Cernizza, Cocevie, Obrovo, Jurani,
Ladruichi, Pucicchi, Odolina, Semich, Treghelizza, Vines, Zavni ,
ecco le località tristemente famose in cui si consumò
l’infoibamento di almeno 30 mila Italiani, in un territorio, che
all’epoca dei fatti era intimamente Italiano e da qualche decennio
è diventata terra straniera.
Migliaia
di Giuliani e Dalmati, dopo aver visto e provato sulla loro carne
questa pulizia etnica, fuggirono in Italia, abbandonando tutti i loro
beni, per non finire nelle foibe o, nella migliore delle
ipotesi, essere inglobati in un sistema politico , quello
Titocomunista, che negava ogni libertà anche quella più elementare.
Roberto
Nicolick