martedì, dicembre 30, 2008

ORRIBILE LASCIARE MORIRE GLI STAMBECCHI DI FAME



Rivolta contro i guardaparco
CARLO GRANDE
TORINOGli uomini del Parco nazionale del Gran Paradiso e il veterinario del Parco, Bruno Bassano, sono stati chiari: «Chi visita l’area protetta in questo periodo non si stupisca di trovare animali in difficoltà nei fondovalle: non disturbateli, non cercate di interagire ad esempio dando loro da mangiare, perché questo non li aiuterebbe. Anche se può sembrare crudele, bisogna accettare questa forma di selezione naturale». Allarme rosso, dunque: l’inverno, come ha scritto ieri La Stampa, farà strage di animali sulle montagne. Pensando ai disagi e alle fatiche solite dei montanari, quello degli animali può essere un problema secondario. Ma incontrare un capriolo in difficoltà, un camoscio, o una volpe, e non aiutarlo è comunque un atteggiamento che ripugna a chiunque abbia un minimo di sensibilità. «Non condivido il “dovere“ di accettare la teoria naturalistica della riserva, creata e gestita dagli interessi dell’uomo - ha scritto Anna Maria alla Stampa - L'inverno con molta neve fa spostare gli animali, cercano aiuto e chi trovano? Dei teorici che li lasciano morire di fame. Mi dicono che caprioli, madre e figli, stanno sul bordo di una pista da sci, per fame, a guardare gli umani divertirsi. Aspettano cibo. Gli animali sconfinano, per sopravvivere, sono in ogni caso in balia dell’uomo, aiutiamoli». Che fare, se ci troviamo davanti una volpe, un camoscio che muore? «In un ambiente protetto – sottolinea il veterinario Bruno Bassano - gli unici fattori di regolazione dei selvatici sono rappresentati proprio dalla riduzione stagionale degli alimenti, dai predatori e dalle malattie. In poche parole, ogni volta che abituiamo un animale ad alimentarsi col nostro cibo facciamo del bene all’individuo singolo ma andiamo contro i meccanismi della selezione naturale. Dunque volpi, stambecchi, camosci, eccetera, non devono ricevere il nostro aiuto se non in particolari circostanze, decise per un fine di conservazione». Gabriele Salari, scrittore ambientalista, è perplesso: «Nella mia esperienza, osservando i forestali, posso dire che la cerva Jona, il cerbiatto Fiore e tanti altri ungulati sono stati salvati da morte certa dai forestali nei nostri parchi...». Addirittura «inferocito» lo scrittore e viaggiatore Paolo Rumiz: «Tutta questa inflessibilità nei confronti degli animali! Perché nessuno si preoccupa della falcidia del primo animale della montagna, l’uomo? Abbiamo ogni tipo di animale invasivo, in quota: bestie costruttrici di piste dove la neve non arriverà mai salvo quest’anno eccezionale, ladri di fiumi e sorgenti, criminali che lasciano piloni di skilift abbandonati e alberghi a pezzi come in Libano, dopo aver finito con le speculazioni immobiliari. Allora voglio licenza di caccia contro questa gente per ripristinare una selezione naturale e non artificiale sulla montagna». Giorgio Celli è etologo e animalista. «E’ dilemma pascaliano - dice - E’ vero, bisogna lasciare che la selezione naturale faccia il suo corso, ma l’uomo ha inventato la pietà...”. Celli tentenna: “Certo, Darwin, la lotta per la vita...Ma se un piccolo di camoscio viene giù e ha fame, l’impulso più elementare per l’uomo è aiutarlo...Io lascerei la scelta ai singoli...Guardi, sarò spudorato: se incontro un piccolo di camoscio io lo nutro».


Da La Stampa del 30 dicembre 08.


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