mercoledì, febbraio 24, 2010


La mutilazione dei genitali femminili è una pratica tremenda che riguarda 130 milioni di donne in tutto e che viene considerata, sbagliando, legata alla religione islamica anche se in realtà non è così; infatti viene giustificata da una società patriarcale che crede che la donna sia portatrice insana di male e dunque, per essere purificata, le debbano essere "ritoccati" gli organi genitali.Mutilazioni genetiche, e infibulazione, che si riflettono sull'intera condizione di vita di una donna, costretta a patire le pene dell'inferno la prima notte di nozze, durante il parto, nella gestione della vita quotidiana a causa dello sviluppo di disturbi che spesso portano alla morte, specie nelle bambine.Gli effetti psicologici delle mutilazioni genetiche sono ancora più difficili da classificare e vanno dall'ansia al terrore, accompagnati da senso di umiliazione permanente.L'Unione Europea vieta la mutilazione genetica dal 2001 e l'Italia ha deciso di approvare un'apposita legge nel 2006 in base alla quale rischia da 4 a 12 anni di carcere chiunque "in assenza di esigenze terapeutiche, cagioni una mutilazione degli organi genitali femminili. Si intendono come pratiche di mutilazione la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo". La pena aumenta di un terzo se a subire la mutilazione è stato un minore o se il fatto è stato commesso per fini di lucro.Hannah Koroma di Amnesty ricorda in questo modo la sua infibulazione: "subii la mutilazione quando avevo 10 anni. Mia nonna mi disse che mi portavano al fiume per una cerimonia particolare e che dopo avrei ricevuto molto cibo da mangiare. Ero una bambina innocente e fui condotta, come una pecora, al massacro. Entrate nella boscaglia fui condotta in una casupola buia, e spogliata. Fui bendata e denudata completamente. Due donne mi trascinarono nel luogo dell’operazione. Fui costretta a sdraiarmi sulla schiena da quattro donne robuste, due mi afferrarono saldamente ciascuna gamba. Un’altra si sedette sul mio petto per impedire che la parte superiore del mio corpo si muovesse. Mi ficcarono a forza un pezzo di stoffa in bocca per impedirmi di urlare. Poi fui rasata. Quando l’operazione iniziò, cominciai a lottare. Il dolore era terribile ed insopportabile. Mentre mi divincolavo fui mutilata malamente e persi molto sangue. Tutte quelle che prendevano parte all’operazione erano mezze ubriache. Altre danzavano e cantavano ,


Fui mutilata con un temperino spuntato".

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Claudio Benvenuti Varazze 17 novembre 1981 Claudio è un giovane di 24 anni, appartiene a quella schiera di ragazzi che vivono e fanno vivere anche agli altri, i problemi della tossicodipendenza. La madre , vedova da circa due anni, e il fratello minore lo trovano morto alle sette del mattino, con il petto squarciato da un colpo di doppietta caricata a pallettoni, riverso a terra nel cucinino del piccolo appartamento di Varazze dove si trovava da solo. L’arma è una calibro 12, regolarmente denunciata e già di proprietà del padre della vittima deceduto due anni prima. L’arma si trovava in casa ma ad una attenta ricerca non si trova più, qualcuno dopo averla usata l’ha portata via. Non era un rapporto facile quello della madre e del fratello minore, le liti con Claudio erano frequenti e proprio quella notte, i due, dopo l’ennesima lite, erano andati a dormire da una zia della vittima. Il foro di ingresso è esteso con i bordi anneriti dalla combustione dello sparo, quindi lo sparo è avvenuto da distanza ravvicinata. La morte risalirebbe all’alba, intorno alle 5 del mattino. Qualcuno tende ad avvalorare la tesi del suicidio. Tuttavia alcuni particolari creano delle perplessità agli inquirenti: Claudio era in procinto di testimoniare ad un processo in cui un suo conoscente era alla sbarra con l’accusa di spaccio di stupefacenti, poco prima di morire in queste strane circostanze, avrebbe scritto un biglietto, trovato accanto al cadavere, in cui scagionava l’imputato dalle accuse. Claudio non fu l’unico tossicodipendente a perdere la vita in quel periodo e in circostanze tragiche. Su Savona aleggiava l’ombra sempre più tangibile dell’ala più dura e violenta dell’ndrangheta che non esitava a togliere di mezzo chiunque potesse nuocerle.