lunedì, febbraio 02, 2015

Savona: Roberto Nicolick 'L'orrore delle Foibe' - Quotidiano online della provincia di Savona

Savona: Roberto Nicolick 'L'orrore delle Foibe' - Quotidiano online della provincia di Savona



L’orrore delle foibe

La lunga
fila di prigionieri, legati per i polsi tra di loro con del filo di ferro,
risale a piedi scalzi il sentiero scosceso che port all’orrido in cima alla
collina, i sassi feriscono i piedi dei poveretti che lasciano una lunga traccia
di sangue, ma guai a fermarsi oppure a lamentarsi.
E’
notte, una gelida notte  nell’immediato
dopoguerra, una notte senza luna. L’orrido è profondo un centinaio di metri è conosciuto
dagli abitanti del posto, come “foiba”, un termine derivato dal latino “fovea”,
una ferita nella roccia ad andamento irregolare, largo alla sommità, stretto al
centro e ancora largo al fondo, praticamente una clessidra, un inghiottitoio
che in effetti inghiotte come un mostro insaziabile centinaia di persone, molte
ancora vive.
 In moltissime occasioni i partigiani di Tito,
prima e soprattutto dopo, la fine della seconda guerra mondiale, vi
trascinavano i loro prigionieri, come bestie al macello, solo perché di etnia
Italiana, non importa se innocenti da qualsiasi colpa.I condannati non erano
neppure fascisti, però facevano parte della struttura sociale e civile della
Venezia Giulia e della Dalmazia, insegnanti, funzionari, finanzieri,
carabinieri, militari, commercianti, sacerdoti, impiegati, andavano eliminati
in vista della occupazione delle ex terre italiane.
I
partigiani Titini perseguivano un perverso progetto di pulizia etnica, con grande
efficienza e con odio criminale, che derivava da ordini superiori e da un
sadismo senza precedenti, che non faveva provare loro alcuna pietà o rimorso
per i gesti orrendi che compivano su questi poveretti. Nella foiba finivano
tutti, purchè Italiani: uomini, ragazzi, vecchi, anche donne e giovinette che
prima di essere gettate, generalmente subivano stupri di gruppo.
La fila
di morituri, qualcuno seminudo, arriva al ciglio della foiba, di cui non si può
scorgere il fondo perché è troppo profonda, qualcuno piange, i vecchi sono
rassegnati, gli uomini ancora vigorosi forse hanno opposto una qualche
resistenza perché hanno il viso tumefatto reso irriconoscibile dalle violente
percosse degli aguzzini Titini.
Alcune
donne singhiozzano a capo chino , anche a loro hanno legato i polsi con il filo
di ferro, lo hanno stretto con le pinze e il cavo è penetrato nella carne
provocando dolori lancinanti, ma è ben poca cosa rispetto a quello che queste
donne hanno dovuto subire dalle bestie in divisa Titina.
Se
qualcuno cade sul sentiero, viene prontamente afferrato e trascinato in alto ,
verso la fine vicina. Appena il primo dei condannati giunge al bordo
dell’inghiottitoio, i partigiani comunisti, urlano tutto il loro odio nel  dialetto gutturale, imbracciano i loro fucili
mitragliatori e  sparano a raffica
sull’inizio della fila. E’ un gesto preciso che ha uno scopo: i primi cadono
nel vuoto e trascinano nell’orrido tutti gli altri che sono ancora vivi e che
subiranno traumi mortali cadendo sul fondo del burrone, dopo un volo di decine
di metri. Corpi vivi con corpi morti, legati fra di loro, in un tragico impasto
di di morte e poi di decomposizione. Uno dei boia Slavi, sghignazzando estrae
una granata, toglie la sicura e la fa cadere in basso, dove si trova il mucchio
di corpi. L’esplosione finisce dei feriti, smembra altri corpi, seminando altro
dolore e disperazione, urla di agonia salgono verso il cielo.
Ma non è
finita, la strage diventa pantomina, questi assassini Slavi sono stati contadini
e vivono delle loro arcaiche superstizioni, portano con loro una carogna di un
cane, rigorosamente nero e lo gettano sul fondo sul cumulo di corpi. Questa
bestia , nel loro immaginario, deve fare la guardia alle anime degli uccisi e
impedire che risalgano a perseguire i loro truci assassini
.
Questi
omicidi di massa sono  avvenuti, con le
stesse modalità, centinaia di volte a Basovizza, Monrupino, Barbana, Beca,
Brestovizza, Opicina, Casserova, Cernizza, Cocevie, Obrovo, Jurani, Ladruichi,
Pucicchi, Odolina, Semich, Treghelizza, Vines, Zavni , ecco le località
tristemente famose in cui si consumò l’infoibamento di almeno 16 mila persone,
in una contrada sventurata, che all’epoca dei fatti era intimamente Italiana e
da qualche decennio è diventata  terra straniera
, alienataci da ingiusti trattati condizionati dalla logica della Realpolitik.
Migliaia
di Giuliani e Dalmati, dopo aver visto e provato questo abominio sanguinario,
fuggirono dalle loro case, abbandonando tutto,  per non fare la fine bestiale degli infoibati
o, nella migliore delle ipotesi, essere inglobati in un sistema politico ,
quello Titocomunista, che negava ogni libertà anche quella più elementare.



Roberto
Nicolick

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