mercoledì, luglio 15, 2015

La battaglia della cascina Spiotta di Arzello -Melazzo ( AL )



Labattaglia della  Cascina Spiotta
Arzello di Melazzo ( AL)

Il mio scooter percorre la provinciale da Savona in direzione di Acqui Terme, il sole dardeggia implacabile, il termometro segna 38 gradi, un forte calore quasi tangibile sale dall’asfalto, svolto a sinistra per Melazzo, dopo circa due chilometri  giro nuovamente a sinistra, imboccando una salita in pendenza elevata che porta ad una costruzione ad un piano, con l’intonaco bianco, recintata da un alto muro con un ingresso protetto da un cancello in ferro battuto, poco più in là scorgo una edicola sacra con una Madonna.
Una stradina interna con delle giare allineate, conduce davanti ad una casa isolata in mezzo ad un parco in salita:  ecco la cascina Spiotta, località Arzello di Melazzo, un luogo dove nel giugno del 1975 avvenne  una parte importante della storia degli “anni di piombo”, cioè del conflitto che contrappose lo Stato ad un gruppo armato , organizzato e spietato di terroristi, le Brigate Rosse.
Noto che la posizione è molto rilevata rispetto alla pianura sottostante, tanto da poter osservare agevolmente il traffico della provinciale da Savona e da Acqui Terme e oltre, per circa un chilometro di distanza. La cascina ora, appare completamente ristrutturata, un tempo, non tanto lontano, era una base operativa delle BR, acquistata dai terroristi rossi nel 1972 per pochissimi milioni,da Mara Cagol una dei leader delle Bierre, l’acquisto all’epoca avvenne sotto falso nome.
 Alcuni abitanti del posto raccontano  che un personaggio, dai tratti somatici simili a  Renato Curcio, altro capo carismatico e cofondatore delle Bierre, spesso si recava in auto, sul colle prospiciente la Spiotta, il Monte Crescente, da dove si godeva una vista prospettica molto maggiore sul territorio sottostante.
Il monte Crescente  è tuttora occupato da una antica e strana fortificazione a forma esagonale, denominata Tinazza, oltrechè una cascina diroccata. Secondo alcuni testimoni, il capo brigatista, accompagnato da una donna, sui trenta anni  frequentava il posto con una  assiduità. Inoltre alcuni forestieri che potevano essere ascritti anch’essi al gruppo terroristico, erano stati notati ad acquistare alimenti nei paesi limitrofi : Ponti, Montechiari, Calamandrana, Strevi etc.
 Curci e Mara Cagol , essendo una coppia potevano e volevano apparire come in cerca di privacy, ma  stranamente avevano un comportamento freddo e distaccato, e soprattutto non si scambiavo effusioni come invece facevano le altre coppiette che frequentavano la zona, inoltre, sempre a detta di alcuni sul sedile posteriore dell’auto si poteva notare un binocolo. La zona era comunque strategica e non scelta a caso.
 Un’altra voce mai confermata infatti, parla di un tunnel che collegherebbe la sommità del monte Crescente con i pressi della Cascina Spiotta . Leggende a parte, la cascina Spiotta era stata scelta come base da cui partire per rapire un giovane imprenditore, figlio di una nota e ricca famiglia Piemontese, i Gancia, della omonima azienda di Canelli: il giovane era Vallarino.
 I Brigatisti valutavano, per la liberazione di Vallarino Gancia, di pretendere un miliardo in prima battuta e mezzo miliardo in caso di ritardo nel pagamento della prima tranche, dimostrando in questo caso, un bello spirito imprenditoriale.
La cellula brigatista che avrebbe detenuto il Gancia, presso la cascina, era formata da Mara Gagol, la moglie di Curcio, e un altro terrorista. Le BR,nell’immediatezza del sequestro Gancia,  avevano creato anche una sorta di pattugliamento della zona, effettuato da auto su cui viaggiavano uno o due fiancheggiatori, non coinvolti direttamente nel rapimento, con il compito di segnalare tempestivamente la presenza dei Carabinieri.
I fatti successivi, almeno nella versione ufficiale sono noti e riportati dai media : La casualità mise i bastoni fra le ruote dei terroristi, il giorno stesso del sequestro, due fiancheggiatori delle BR, incaricati di controllare il territorio, ebbero un incidente stradale tra Canelli e Cassinasco.
Per il timore di essere identificati dalla polizia , si offrirono  di pagare i danni, senza passare attraverso le assicurazioni e si allontanarono velocemente, dopo aver firmato una dichiarazione di responsabilità,  senza aspettare i rilievi della Polizia Municipale, creando nei presenti molti sospetti. Uno dei due, Massimo Maraschi, venne poi fermato dai Carabinieri a Canelli, che immediatamente  si dichiarò “prigioniero politico “. Questo soggetto era già noto al Nucleo anti terrorismo del Gen. Dalla Chiesa. Tutto ciò insospettì molto gli investigatori che si misero in stato di all’erta, in previsione di qualche azione terroristica, non meglio precisata.
Dopo qualche ora, scattò comunque il sequestro del giovane Gancia, che avvenne con le seguenti modalità : fatto rallentare da un finto cantiere stradale, fu tamponato da  un’auto dei terroristi che con un martello mandarono in frantumi il lunotto posteriore della sua auto, sotto la minaccia di un mitra, venne  trascinato fuori  e caricato su un’altra auto, quindi portato alla Spiotta. I fatti successivi avvennero con una rapidità incredibile.
Un informatore aveva segnalato la presenza di personaggi sospetti, probabilmente brigatisti rossi alla Spiotta, inoltre sul tetto della cascina si notava anche una antenna ricetrasmittente e ogni tanto si sentivano delle raffiche, segno di addestramento con armi automatiche.
In base a questa informativa i Carabinieri, iniziarono a battere il territorio e la Compagnia di Acqui inviò in zona una pattuglia di Carabinieri, tre in uniforme e uno in borghese, su un’auto priva di contrassegni , una 127 blu. Facevano parte della pattuglia il Tenente Rocca, il Marescialli Catafi e gli appuntati D’alfonso e Barberis. Dopo aver controllato alcune cascine di Arzello, arrivarono alla Spiotta ed entrarono nel cortile, trovandovi due autovetture parcheggiate. Tre componenti la pattuglia salirono a piedi sino alla cascina, mentre un quarto, il Barberis, bloccava la strada in discesa poco più in giù in attesa di ordini.
Gli occupanti della casa, furono colti di sorpresa dalla presenza dei Carabinieri, forse perché il brigatista di sentinella si era addormentato. Mentre l’ufficiale aggirava la casa, scorse una donna dietro le persiana del primo piano che lo osservava, contemporaneamente  il maresciallo Catafi bussò all’ingresso a piano terra che si aprì e apparve un uomo alto e snello, il quale chiese cosa stesse succedendo. Il Sottufficiale chiese all’uomo di uscire per qualificarsi, e a quel punto accadde l’inferno: l’uomo tolse la sicura ad una bomba a mano, SRCM, e la scagliò contro il tenente che nel frattempo si era avvicinato al suo sottufficiale , il Tenente Rocca  alzò il braccio sinistro in un gesto istintivo. La granata esplose e gli tranciò di netto l’avambraccio ferendolo anche all’occhio sinistro.
Quindi tre brigatisti, un uomo e due donne uscirono correndo nel cortile, ingaggiando un conflitto a fuoco con il Maresciallo Cattafi, ferito dalle schegge della bomba, sempre muovendosi velocemente colpirono mortalmente l’appuntato D’Alfonso, salirono sulle loro auto e scesero verso la provinciale per Acqui trovandosi la strada sbarrata dall’auto civetta dei Carabinieri presidiata dall’appuntato Barberis che intimò loro l’alt, spianando la pistola di ordinanza
I tre finsero di arrendersi, ma lanciarono un’altra bomba , il carabiniere la evitò abbassandosi di scatto e sparò al terzetto, una donna  cadde colpita, mentre gli altri due fuggivano nel bosco facendo perdere le proprie tracce. Su una delle due auto si trovarono delle tracce di sangue, segno che l’uomo era stato ferito.
Più su, finito la scontro a fuoco, il Maresciallo Catafi trascinava il tenente ferito verso la strada per Melazzo  fermava l’auto del portalettere e vi caricava Rocca  portandolo all’ospedale di Alessandria. Arrivavano rinforzi da Acqui Terme e Alessandria che irruppero nella cascina, liberando Vallarino Gancia che vi era tenuto prigioniero.
 Il bilancio di quella che sarà definita la battaglia di Arzello, fu pesante, un carabiniere caduto, un altro ferito gravemente e uno più leggermente, mentre i Brigatisti avevano perso una importante base operativa e soprattutto avevano perso un capo , Mara Cagol, la donna che in Val di Non, aveva sposato Renato Curcio, una donna con un curriculum terroristico di spicco, che aveva addirittura  partecipato  all’assalto del Carcere di Casale Monferrato per fare evadere suo marito ivi detenuto.
La Spiotta venne prima sequestrata e poi messa in vendita e comprata da un ignoto acquirente.
Il comandante della pattuglia dei Carabinieri , il Ten. Rocca gravemente ferito prese un braccio e un occhio, fu decorato al Valor militare e in seguito raggiunse il grado di Generale dell’Arma Benemerita, analoga decorazione ed encomi ebbero gli altri componenti la pattuglia.
Da anni, a inizio giugno, qualcuno che nessuno vede mai oppure finge di non vedere, sale la collina e depone un mazzo di rose rosse sul cancello della cascina Spiotta.
A Melazzo, nel 95, un tentativo di intitolare la scuola locale al Carabiniere D’Alfonso, provocò delle polemiche pretestuose da parte di un pensionato il quale affermò che l’intitolazione avrebbe potuto creare pericoli di attentati all’edificio scolastico.
Maraschi , il guidatore imprudente delle BR, fu l’unico ad essere processato e condannato a 27 anni di carcere anche se non fu presente materialmente al conflitto a fuoco.
Su questa vicenda un giornalista scrisse un libro. Questa vicenda illuminò in tutta la sua pericolosità il fenomeno terroristico delle Bierre e di altri soggetti con le medesime finalità eversive. Molti servitori dello Stato caddero nell’adempimento del loro dovere. Lo Stato e le forze dell’ordine dovettero iniziare una profonda riorganizzazione per poter affrontare questi gruppi e per poterli disarticolare, dopo anni di indagini, di scontri a fuoco e di processi, lo Stato Democratico ne uscì vittorioso, grazie ai suoi uomini che seppero agire con efficacia e con professionalità. 

Roberto Nicolick


2 commenti:

  1. alla spiotta i brigatisti erano due non tre,la Cagol un uomo che mai si è saputo chi fosse e i fiori ogni 5 giugno vengono depositati da persone comuni,come il sottoscritto,perchè sacrificarsi a 30 anni per i piu' deboli va sempre onorato.
    Ho comunque anche un pensiero per l'appuntato D'Alfonso,quel giorno a casa aveva una famiglia ad attenderlo.

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  2. Buongiorno, mi chiamo Enrico Gasperini e scrivo da Arezzo.
    Specifico nome e cognome perchè vedo che lei si è messo anonimo e non capisco la cosa.
    Ho letto la lettera di Mara Cagol scritta ai genitori per spiegare le sue scelte rivoluzionarie, scritto ampiamente condiviso in rete, non sto qui a pubblicare il link: mi riconosco nella prima parte delle sue parole, quando descrive una società disumanizzata e spersonalizzata dai ritmi di produzione, o meglio, di sfruttamento, con tante povertà diffuse. Il passaggio successivo, la violenza come risposta strutturale, no, è inaccettabile. Una violenza ideologica che non ha guardato in faccia a nessuno e , con i suoi metodi antidemocratici, ha travolto le tante persone oneste che stavano cercando di cambiare il paese (sindacalisti anche, ideologicamente assimilati a servi del potere). Ha fatto vittime anche tra quei deboli che diceva di voler tutelare. Forse questa deriva non le era ancora chiara in quella fase della lotta armata, ma in ogni caso la sua scelta era di campo, precisa, senza se e ma, il nemico era ben identificato.
    Non sono per niente sullo stesso piano Mara Cagol e Giovanni d'Alfonso, mi perdoni. Porti una rosa anche per quel povero carabiniere, ricordando nelle sue parole che non solo aveva una famiglia, ma che anche lui cercava di proteggere i più deboli. L'unica differenza è che stava dalla parte della legge e della democrazia. Un saluto

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