lunedì, febbraio 16, 2009

FOIBE : TOMBE SENZA NOMI E SENZA FIORI

FOIBE: TOMBE SENZA NOMI E SENZA FIORI DOVE REGNA IL SILENZIO DEI VIVI E IL SILENZIO DEI MORTI.

I PARENTI DELLE VITTIME ATTENDONO A DISTANZA DI ANNI CHE SIA FATTA GIUSTIZIA E CHIAREZZA SULLA TRAGEDIA, ( da poco sono state aperte le indagini dal coraggioso giudice Pititto ),

MA PURTOPPO SI ATTENDE ANCORA........., ANZI LO STATO ITALIANO COSA FA? CONTINUA A PAGARE LA PENSIONE MINIMA A 32 MILA PERSONE RESIDENTI NELL'EX JUGOSLAVIA SPENDENDO 16 MILIARDI DI VECCHIE LIRE AL MESE, IN SEGUITO AL RICONOSCIMENTO AI FINI CONTRIBUTIVI DEL PERIODO MILITARE SVOLTO NELLE FILE PARTIGIANE. UNA NOTIZIA CHE FA SEMPLICEMENTE RABBRIVIDIRE E RENDE ANCORA PIU' NECESSARIO RIEMPIRE, SENZA CALCOLI STRUMENTALI, QUESTA PAGINA BIANCA DEL NOSTRO PASSATO.

L'INPS: E' LA LEGGE CHE CI COSTRINGE A PAGARE. L'istituto si difende "a noi non interessa la fedina penale" E i titini sotto accusa contrattaccano: "mai fatto niente di male. Comunque, pensate ai crimini commessi in Jugoslavia dai fascisti".


INPS paga ogni mese 32 mila pensioni minime a persone residenti nell'ex jugoslavia, sborsando complessivamente quasi 200 miliardi di vecchie lire l'anno. E tra i titolari di pensione ci sono anche personaggi che sono indagati dal giudica Pititto per gli eccidi delle Foibe. Ma com'è possibile una cosa del genere? " siamo obbligati dalla legge a versare queste pensioni", sostiene Vittorio Spinelli dall'ufficio stampa dell'INPS. Si, perchè in base ad una direttiva della comunità europea è riconosciuto ai fini contributivi il periodo militare svolto nelle file partigiane. "Inoltre", soggiunge Spinelli, "la dichiarazione dei contributi non è mai accompagnata dalla fedina penale. Si tratta di un'assicurazione e in quanto tale asettica. Se tra gli aventi diritto risultano anche dei criminali di guerra, titini o nazisti che siano, dobbiamo continuare a pagarli essendo la pensione un diritto che non si può revocare per questi motivi".

Uno dei titolari di pensione INPS che risultano indagati a Roma è Ciro Raner, che vive a Crikvenica, cittadina turistica della Croazia. "Non ho fatto del male a nessuno", dice respingendo ogni accusa. "Negli anni trenta ho giocato a calcio in serie A con la Spal, la Fiorentina il Catania. Per l'italia ho prestato servizio militare, ero un sergente di sanità, diligente e discilinato", spiega Raner, giustificando così, con il servizio militare con la successiva lotta partigiana nelle file di Tito, la pensione INPS. Testimoni ancora in vita lo indagano come il brutale comandante del lager di Borovnica, un campo che non aveva niente da invidiare a quelli nazisti.

Negava di essere coinvolto nella tragica, storia delle foibe anche Mario Toffanin, responsabile del massacro della malga di porzus, in friuli, e finito nelle maglie dell'inchiesta romana per la sua collaborazione con il IX corpus di tito. "Giacca", come era chiamato in battaglia, viveva a Skofije, in Slovenia, a un paio di chilometri dal confine con l'otalia. "ma quale genocidio", protestava così. "io sono stato graziato da Pertini nel 1978. Sono un uomo libero, vado a Trieste quando mi pare, per trovare mio figlio."


I "PRESUNTI" INFOIBATORI PAGATI DALL'INPS - CIRO RANER - NERINO GOBBO - FRANCO PREGELY - GIORGIO SFILIGOI - OSCAR PISKULIC - GIOVANNI MOTIKA - GIUSEPPE OSGNAC - GUIDO CLIMICH - GIOVANNI SEMES - MARIO TOFFANIN



CIRO RANER
Età: 83 anni Residente: Croazia. Incarico: comandante nel 1945-46 dei Lager di borovnica vicino Lubiana. Testimonianze: il racconto di un sopravvissuto, deposizione scritte degli x deportati e un documento del ministero degli affari esteri. Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità. 50 milioni circa di arretrati. Dal maggio 1945 al Marzo 1946 Ciro Raner comandò il campo di concentramento di Borovnica dove sono stati deportati oltre duemila italiani, in gran parte militari che si erano arresi. " eravamo in fila con uno scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola. Subito la guardia Partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace. Arrivò il Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca", racconta Giovanni Prendonzani, sopravvissuto a Borovnica e ancora in vita a Trieste dove ha rilasciato la sua testimonianza ai carabinieri. Sempre nel lager di Borovnica: "il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martirizzati col seguente sistema: presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un filo di ferro fissato per il lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato. dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie. Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize ( sentinelle ) che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto"; Questo racconto è riportato sul documento n. 62, archiviato nella stanza 30 al primo piano del ministero degli affari esteri e consegnato al giudice Pititto.


NERINO GOBBO
Età: 79 anni. Residente: Slovenia. Incarico: nel maggio-giugno 1945 responsabile di Villa segrè a trieste luogo di tortura delle milizie jugoslave. Testimonianze: denuncia alle autorità alleate, riportata negli annali del comitato di liberazione nazionale dell'Istria, sentenza della Corte d' Assise di trieste che lo condanna in contumacia a 26 anni di reclusione. Pensione INPS: 532.500 lire per tredici mensilità. 30 milioni circa di arretrati Nerino Gobbo, conoscito come il comandante "Gino", ricopriva l'incarico di commissario del popolo delle milizie di Tito, che con il IX corpus avevano occupato il capoluogo giuliano il primo maggio 1945. Fino a metà gigno fu responsabile di villa segrè di Trieste. Silva Spagnol, membro del comitato di liberazione nel capoluogo giuliano, denunciava agli alleati nel 1946 la scomparsa della professoressa di lettere del liceo Petrarca, Elena Pezzoli, membro della resistenza. " Il 20 maggio 1945, Elena Pezzoli era tradotta in macchina dagli agenti in borghese a Villa Segrè, sede del commissariato del secondo settore dipendente dalla difesa popolare (le milizie degli occupanti titini). (...) la Pezzoli fu torturata nella notte del 21 maggio e si sono uditi i lamenti e i rumori di cinghia (...). Il giorno 9 giugno la Pezzoli era scomparsa e con lei il comandante Gino, Nerino Gobbo", si legge nella denuncia acquisita dalla magistratura di Roma. Acquisita pure la sentenza del 17 gennaio 1948 della corte d'Assise di Trieste, in cui i giudici scrivevano: "Dopo qualche giorno tutta la squadra si trasferiva a dipendenze del commissario del popolo Gino di nome Nerino Gobbo. (...) Come risultò dalle deposizioni dei testi tutti i detenuti venivano bastonati e seviziati, taluni costretti a bastonarsi a vicenda a persino a mettere la testa nel secchio delle feci". Gobbo fu condannato in contumancia a 26 anni di reclusione.



FRANCO PREGEIJ
Età: 80 anni. Residente: Slovenia. Incarico: commissario politico del IX corpus del maresciallo Tito a Gorizia. Testimonianze: denuncia dei familiari delle vittime e documento del PCI. Pensione INPS 569.650 lire per tredici mensilità. 45 milioni circa di arretrati. Dal primo maggio al 9 giugno 1945. il comandante "boro", alias Franco Pregeij fu il commissario politico del IX Corpus dell'esercito partigiano jugoslavo, che aveva occupato Gorizia. Dei 900 italiani deportati dal capoluogo isontino, 665 non tornarono più a casa. Fra gli scomparsi anche Licurgo Olivi e Augusto Sverzutti, entrambi esponenti del comitato di liberazione. "La mattina del 5 maggio 1945 furono invitati a salire su una macchina, sulla quale c'era anche il professore Mulitsch e il commissario Boro. Giunti in piazza della Vittoria il professor Mulitsh fu fatto scendere mentre la macchina proseguì verso il palazzo Coronini ( comando del IX Corpus titino a Gorizia), Da allora non sono più tornati" questo hanno denunciato i familiari di Sverzutti nel 1946 alla questura del capoluogo isontino. Emilio Mulitsch, responsabile del CLN di Gorizia, ha confermato la vicenda con una relazione conservata nell'ufficio storico del PCI ( documento 4004, pag. 1-4, reg C). Lo studioso pordenonese Marco Pirina ha trovato negli archivi sloveni i numeri di matricola di Sverzutti (n. 1728) e Olivi (n. 1799), deportati nel carcere di Lubiana, un ex manicomio. L'ultima registrazione del 30 dicembre 1945 indica che i prigionieri sono stati trasferiti verso "ignote destinazioni". L'intera documentazione è nei fascicoli della Procura di Roma.


GIORGIO SFILIGOI
Età: 74 anni. Residenza: Slovenia. Incarico: collaboratore del IX corpus jugoslavo. Testimonianze: esposto alla procura di Gorizia del commissario di pubblica sicurezza di Cormons. Pensione INPS: 571.850 lire per tredici mensilità. 20 milioni circa di arretrati " Sergio " era il nome di battaglia di Sfiligoi, che dal 1944 al '45 fu utilizzato come "deportatore" di italiani dal IX Corpus del Maresciallo Tito. " il 29 aprile 1945 (...) Sfiligoi Giorgio prelevò. preso le proprie abitazioni le seguenti persone: Brurnat marino, Bullo Giuseppe, Tavian Giovanni, Ronea Enrico, Gasparutti rodolfo e Pascolat francesco. All'insaputa del locale comitato di liberazione furono trasferiti, la notte del 30 aprile a (...) mons. Angelo Magrini si recò in Idria, ove ottenne la liberazione dei catturati, i quali fecero ritorno a cormons presso le loro abitazioni. Nella notte del 6 maggio 1945, i predetti sventurati furono nuovamente prelevati dallo Zulian Nerino, dal Mariani Clodoveo e dallo Sfiligoi Giorgio e trasportati - a mezzo di un autocarro - a caporetto e là consegnati allo Zulian Mario che li freddò" ciò è quanto si legge nell'esposto del commissario di pubblica sicurezza di Cormons del 10 maggio 1949 acqusito agli atti.


OSCAR PISKULIC
Età: 83 anni. Residente: Croazia. incarico: capo dell'ozna, la polizia segreta di Tito, a fiume dal 1943 al 1947 Testimonianze: familiari delle vittime, un membro del CLN di fiume e documenti vari.
Oscar piskulic, detto "Zuti", fu dal 1943 al 1947 il capo della temuta ozna, la polizia segreta jugoslava di Fiume. L'avvocato Augusto Sinagra, che con la sua denuncia ha avviato l'inchiesta sul genocidio delle foibe, accusa proprio Piskulic e altri funzionari dell'ozna, fra i quali gli Italiani Norino Nalato e Giuseppe Domancich. Alla procura di Roma sono stati consegnati 553 nomi di connazionali uccisi o scomparsi nel capoluogo quarnerino e dintorni, dal 3 maggio alla fine dei 1945. " I familiari di alcuni degli uccisi essendosi recati, spinti dall'angoscia, alla sede dell'Ozna a Fiume dove erano raccolti i cadaveri, avevano constatato che i funzionari a cui si erano rivolti erano medesimi individui che erano penetrati nelle loro case per prelevare i congiunti poscia uccisi. (...) In tal modo l'uomo e la donna che avevano diretto il prelevamento dell'ex deputato della costituente Sincich vennero identificati nel capo dell'ozna Oscar Piskulic e nella sua amante (...)" si legge nella testimonianza di Luksic Lanini, membro del CLN di Fiume, consegnata alla Procura di Roma. Il figlio Giuseppe Sincich, interrogato recentemente dal pubblico ministero Pititto, ha confermato le responsabilità di Piskulic sottolineando che suo padre "era un democratico, un economosta, perseguitato dai fascisti, ma i democratici a quel tempo davano molto fastidio".
Da Adnkronos del 28 novembre 2000 Roma - Gli atti del procedimento a suo carico sono solo in lingua Italiana e non Croata. Così Oskar Piskulic, imputato nel processo sulle Foibe che si tiene alla Corte d'Assise di Roma, ha fatto ricorso al tribunale di Strasburgo per violazione della convenzione Europea dei diritti dell'uomo. La corte d'assise ha infatti rigettato l'eccezione di nullità delle notifiche e dell'ordinanaza di contumacia, mentre gli atti pervenuti a Piskulic sono in lingua italiana e non in lingua croata, come specificamente previsto - sottolinea il legale Livio Bernot - dalla Convenzione, anche alla luce della più recente normativa.


IVAN MOTIKA
Età: 92 anni Residente: croazia Incarico: pubblico accusatore per l'Istria dal 1943 al 1947. Testimonianze: familiari delle vittime. L'8 settembre del 1943 l'esercito italiano era allo sbando su tutti i fronti. In Istria ne approfittarono i partigiani di Tito conquistando diverse cittadine. Ivan Motika ricopriva il ruolo di " giudice del popolo ", che decideva il destino degli Italiani. " Il castello di Pisino era diventato in quei giorni prigione e quartier generale dei partigiani di tito, il cui luogotenente (...) era tale Ivan Motika; nel castello si svolgevano i cosiddetti "processi" del "tribunale del popolo", presieduto dallo stesso Motika, che sentenziava a decine o centinaia le condanne a morte degli italiani. (...) Il 30 ottobre i resti dei due congiunti (padre e zio dell'estensore di questa testimonianza, imprigionati da Motika) furono riportati alla luce da una cava di bauxite a villa Bassotti. (...) " Erano nudi, le mani legate con il filo spinato ed erano stati tagliati i genitali e levati gli occhi. In tutto si recuperarono 23 salme" così si legge nella deposizione della procura di trieste di Leo Marzini, che racconta di aver incontrato in quei giorni tremendi, lo stesso Motika per chiedergli spiegazioni: " non fece nulla per limitare le sue responsabilità e si limitò a dire che forse si era trattato di un errore". La deposizione raccolta a Trieste è stata inviata alla procura di Roma assieme ad altre testimonianze, fra le quali spicca quella di Nidia Cernecca che ricorda ancora il padre decapitato su ordine di Motika, soprannominato " il boia di Pisino".


GIUSEPPE OSGNACCO
Età: 79 anni Residente: Slovenia. Incarico: comandante militare della banda partigiana Beneska ceta dal 1944. Testimonianze: deposizione al processo contro Beneska ceta e testimonianze varie. Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità, 30 milioni d'arretrati. Giuseppe Osgnacco, detto "josko", ex sergente dell'esercito italiano, era il comandante militare della banda partigiana Beneska ceta fin dal 13 agosto 1944. La formazione operò nelle valli del Natisone con l'obiettivo dichiarato di annettere più territorio possibile della Venezia Giulia alla jugoslavia di Tito. Nel 1959 fu istruito un processo contro gli appartenenti alla Beneska ceta, ma l'amnistia promulgata da Palmiro Togliatti nel 1946, fece si che fosse dichiarato il non luogo a procedere. Nella nuova inchiesta della Procura di Roma i reati di strage ai danni della popolazione italiana, con finalità di PULIZIA ETNICA, non pssono andare in prescrizione. Le testimonianze raccolte da Giuseppe Vasi, un udinese che ha dedicato gran parte della sua vita a ricostruire i drammatici giorni della guerra sui confini orientali, sembrano confermare che la Beneska ceta passava quasi sempre per le armi i prigionieri. "Sono state almeno 40 le persone ammazzate nei boschi circostanti le valli del Natisone tra militari tedeschi, fascisti e anche civili". Ma la sorte più ingrata toccò a due giovani carabinieri, secondo la testimonianza oculare di Giovanni Lurman consegnata alla procura di Roma. " I partigiani ordinarono loro di spogliarsi (...), li legarono mani a piedi e li spinsero nella buca (...). Loro piangevano dentro e più buttavano terra e sassi si sentiva che urlavano" racconta il testimone che ammette di averli disseppelliti personalmente un mee dopo, all'arrivo delle truppe "alleate" (1945), riscontrando che almeno uno dei militari non aveva la pur minima ferita e quindi era morto dopo essere stato sepolto vivo.


GUIDO CLIMICH
Età: 78 anni Residente: Croazia. Incarico: responsabile dell'ozna di Pisino ( Istria ) nel 1945. Testimonianze: Associazione famiglie deportati in jogoslavia. Nome di battaglia "Lampo", Guido Climich era, alla fine della guerra, il temuto capo della polizia segreta di tito a pisino nella penisola istriana. L'associazione famiglie deportati in jugoslavia aveva racolto numerose dichiarazioni sulla sparizione degli italiani, poi consegnate alla questura di Gorizia. "mio figlio mechis Giovanni fu prelevato il 3\5\1945 dai partigiani titini (...). Con altri otto paesani furono interrogati da un funzionario dell'Ozna, guido climich (...). circa il 25 0 28 maggio furono portati a montona e racchiusi nelle carceri (...). Il 12 giugno 1945 un folto gruppo di prigionieri fu prelevato di notte. (...) pochissimi fecero ritorno e io non seppi più nulla di mio figlio" scriveva in uno stentato italiano Antonio Mechis il 25 giugno del 1949


GIOVANNI SEMES
Età: 83 anni. Residente: Croazia. Incarico: comandante militare di Zara e capo della Polizia segreta di tito dal 1944 al 1945. Testimonianze: documenti della regia marina e jugoslavi. Il generale Giovanni Semes, che occupò Zara il 31 ottobre 1944, era comandante militare della piazza e capo della polizia segreta di Tito nella zona. Il giornale croato " Narodni list " ha pubblicato, cinquant'anni dopo, il bando di fucilazione degli abitanti del quartiere di Borgo Erizzo e di altri zaratini. Ventinove italiani erano compresi nel bando firmato dal generale giovanni Semes, ma altri "settantrè non hanno avuto la fortuna di essere giudicati perchè sono finiti nella fossa marina dell'isola Lavernata nell'arcipelago delle Coronarie" scrive Ivjca Matesie in un'inchiesta giornalstica, acquisita agli atti dal pubblico ministero. Lo studioso Marco pirina ha segnalato alla procura di Roma la relazione del secondo reparto della regia Marina del 20 giugno 1945, conservata presso l'archivio centrale dello stato, che conferma quasi tragici fatti imputabili al generale Semes.


MARIO TOFFANIN
Deceduto nel 1999, Mario Toffanin che abitava in Slovenia, era comandante dei "gap" ( gruppi armati partigiani ) nell'alto Friuli e nella provincia di Gorizia. La sua storia è negli archivi del IX corpus di Tito: Toffanin, nome di battaglia "giacca", è il responsabile della strage delle malga Porzus sui monti friulani. Fra l'8 il 13 febbraio del 1945 massacrò con i suoi uomini, tutti partigiani garibaldini rossi, 22 combattenti della resistenza della brigata "Osoppo", che si opponeva all'annessione alla Jugoslavia della Venezia giulia. nel 1957 Toffanin fu condannato all'ergastolo per l'eccidio di Porzus, ma si nascose prima in jugoslavia e poi in Cecoslovacchia. Nel 1978 venne graziato dal presidente Pertini. La pensione INPS era VOS 04908917: nonostante le sanguinose azioni anti-italiane, ha ricevuto 672.270 lire di pensione dall'INPS fino alla morte. Questi sono solo alcuni dei nomi presenti nel "libro paga dell'INPS"

2 commenti:

  1. Bisogna ricordare veramente che i crimini commessi in Jugoslavia dai fascisti sono stati terribilmente crudeli.

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  2. il comunismo in Italia esiste ancora, mentre in alcuni paesi ex comunisti hanno proposto di renderlo illegale alla pari del fascismo e nazismo, e mi sembra più che giusto per come sono andati al potere, per come hanno esercitato il loro poteri, per quanti danni fanno ancora al nostro paese con la loro esistenza

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