domenica, dicembre 20, 2009

«I soldi ci sono stati offerti»

«I soldi ci sono stati offerti»

20 dicembre 2009
| Giovanni Ciolina
Alberto Parodi

Franco Caurso e Corrado Benini, arrestati in flagrante con due buste da 5mila euro ciascuno dopo un’ispezione in un’azienda di Cairo, saranno interrogati domani dal gip.

Caruso con i carabinieri

«Non abbiamo chiesto soldi, ma ci sono stati offerti».

È l’abbozzo di linea difensiva dei due ispettori Asl arrestati per tangenti, Franco Caruso e Corrado Benini (57 anni entrambi), trapelato ieri mattina durante i colloqui in carcere con i loro avvocati Simona Perrone e Franco Aglietto. Domani mattina alle 9 e 30 è previsto l’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari Emilio Fois. I due ispettori sarebbero stati quindi corrotti dal titolare della Ecolvetro, secondo la loro versione. Un aspetto non secondario dal punto di vista giudiziario con pene eventuali più miti. Una disponibilità quindi ad ammettere di aver preso soldi, ma offerti, secondo una prima valutazione strategica difensiva, nella speranza di poter ottenere la detenzione ai domiciliari.


Soldi. Le buste con dentro 5 mila euro ciascuna sono state prese, come accertato dai carabinieri e ammesso dagli stessi funzionari Asl. L’assessore cairese avrebbe cercato poi di ridimensionare il suo ruolo nella vicenda, descrivendosi come un accompagnatore del collega. Domani davanti al giudice dovranno cercare di giustificare oltre alle due buste con dentro 5 mila euro ciascuno, anche i 4 mila euro trovati nella loro auto di servizio dai carabinieri. Che nel frattempo grazie ad un’intercettazione ambientale avevano seguito il dialogo in diretta tra imprenditori e funzionari venerdì mattina, che ha fatto pendere per l’accusa di concussione, e l’arresto. Ulteriori soldi lasciati nell’auto di servizio dell’Asl con cui si erano recati alla Ecolvetro. Troppi. L’ipotesi investigativa dei carabinieri del nucleo operativo di Savona, coordinati dal capitano Orlando Pilutti, è che quei soldi fossero stati incassati da altri imprenditori taglieggiati in un giro preliminare. Ad insospettire gli inquirenti il fatto che in base alle normative gli ispettori Asl che si occupano di prevenzione e sicurezza nei cantieri non possono maneggiare denari o proventi di sanzioni per conto dell’azienda per cui lavorano. Infine gli ulteriori 22 mila euro in contanti trovati a casa di Benini a Millesimo, in cassaforte. La provenienza? Nessuna risposta per il momento ha deciso il suo avvocato Franco Aglietto.

Ecolvetro. Venerdì scorso, il mattino dell’arresto, poco dopo le 10 e 30 circa, all’appuntamento in azienda con i due ispettori Asl, che avevano lasciato detto il giorno prima ai colleghi dell’ufficio di Carcare della visita programmata allo stabilimento che recupera il vetro, c’era tutto lo stato maggiore Ecolvetro. Dall’ingegner Luigi Orlando, amministratore delegato, insieme ai soci Attanasio e Pietro Casetta. Oltre al direttore tecnico dello stabilimento Lorenzo Artoni e a quello amministrativo Andrea Sanguinetti che però non hanno avuto contatti diretti con Caruso e Benini. Non era un caso.

I manager dell’azienda infatti si fanno vedere raramente a Cairo per la gestione diretta del sito demandata ai quadri intermedi. L’antefatto che spiega la presenza in azienda dei big, con i carabinieri appostati, risale ad una quindicina di giorni prima. Un «giovedì», hanno spiegato i diretti interessati ai carabinieri. Gli ispettori Asl infatti si erano già recati alla Ecolvetro, per controllare un cantiere di una ditta esterna per la posa di pannelli solari, fotovoltaici nel sito. In quell’occasione il contatto tra Benini -Caruso e l’ingegner Orlando. Da lì l’avviso di un ritorno per controllare lo stabilimento Ecolvetro. Da quel giorno gli addetti alle manutenzioni sapevano della visita programmata in via Della Resistenza, località Vesima.

Il sistema.

Non solo la Ecolvetro, ma anche ulteriori piccole e medie imprese avrebbero subito secondo i carabinieri le attenzioni di Caruso e Benini. Gli imprenditori e i titolari delle ditte oggetto di visite Asl per i controlli su manutenzioni, protezioni e sicurezza del cantiere, venivano avvisati preliminarmente, secondo le accuse. «Veniamo il tal giorno». Si sapeva prima. Così da permettere la sistemazione di eventuali manchevolezze sulla sicurezza e dispositivi di protezione. Soldi e favori, in cambio secondo gli inquirenti. Non soltanto soldi, ma anche lavori edili, in nero, di ristrutturazione che venivano indicate a chi voleva sdebitarsi con gli ispettori Asl. Semplici cortesie offerte spontaneamente? Favori, lavoretti manuali, non fatturati, al fine di evitare sanzioni.

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.