lunedì, febbraio 14, 2011

LA MORTE DI ROSA AMODIO: la sua colpa di essere stata una Ausiliaria della RSI


Savona: ecco la verità sull'omicidio di Rosa Amodio
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Nel triangolo rosso della morte, Savona fu un importante sito di assassini a sfondo politico, anche ad anni di distanza dal 25 aprile 1945, gli ex partigiani comunisti continuarono a regolare i conti, ammazzando decine di persone.



Rosa Maria Amodio è una giovanissima maestra elementare, poco più che ventenne aderisce al Corpo delle Ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana, e questo suo gesto suggella la sua condanna a morte. Infatti viene condannata a morte dalla Corte di Assise Speciale, che non era altro che un tribunale creato allo scopo di dare una parvenza di legalità a tante esecuzioni arbitrarie e attuate in fretta per legalizzare vendette personali e altri omicidi di presunti fascisti o spie fasciste, spesso assolutamente innocenti delle accuse ascritte loro.



Rosa Maria Amodio, su suggerimento di amici e parenti, dopo il 25 aprile 1945, decide di allontanarsi prudentemente da Savona per evitare di subire le solite gesta degradanti che i partigiani comunisti riservavano alle ragazze appartenenti al corpo delle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana : il taglio dei capelli e la verniciatura di rosso del capo in piazza davanti ad una folla di bestie inferocite e anche, in luogo più isolato, lo stupro di gruppo, spesso secretato da una pallottola alla nuca.



Comunque Rosa Amodio, riesce con il suo allontanamento da Savona ad evitarsi nell'immediato questa terribile sorte, poi appena la burrasca passa, torna a Savona e inizia ad insegnare in una scuola elementare. Rosa è una ottima insegnante, i suoi giovani scolari ne sono contenti, la direzione pure, ma i partigiani comunisti non demordono e attendono con freddezza omicida l'opportunità di " giustiziare " Rosa Maria.



La ragazza, coraggiosa e determinata, non sospetta nulla, ma i suoi carnefici la seguono in attesa di poter agire e infatti l'opportunità si presenta il 14 agosto 1947, a ben 3 anni di distanza dalla fine della guerra.



Mentre la ragazza in bicicletta, sta percorrendo il tratto di strada che congiunge Zinola a Savona, una manciata di chilometri , alla altezza del quartiere delle fornaci, notoriamente comunistizzato, nel tardo pomeriggio intorno alle ore 18, viene affrontata da uno squadrone della morte, formata da tre persone, una delle quali impugna una pistola automatica calibro 22, munita di silenziatore, un arma che verrà usata molte volte dai carnefici rossi per eliminare tante persone, colpevoli di non essere comuniste : vanno ricordati infatti, Wingler Giuseppe aderente alla Repubblica Sociale Italiana, , Lorenza Ernesto ufficiale delle Brigate Nere, Amilcare Salemi commissario di Pubblica Sicurezza inviato a Savona per indagare.



La pistola era impugnata dal boia, e coperta da un quotidiano piegato che la celava alla vista dei pochi passanti.



La ragazza ferma la bicicletta e a muso duro affronta a viso aperto i tre assassini da lei sicuramente riconosciuti, che senza alcuna pietà , la ammazzano, vigliaccamente, con una sequenza di colpi e poi la finiscono con un ultimo colpo alla nuca.



La giovane donna è distesa a terra, sull'asfalto, in una pozza di sangue, mentre i tre criminali si allontanano con calma. Per diversi minuti il corpo della ragazza, giacque in mezzo alla strada accanto alla bicicletta, poi qualcuno vinta la paura si avvicinò e coprì con un lenzuolo il cadavere crivellato di colpi.



Nessuno vide, nessuno parlò, in un quartiere come quello decisamente comunista e dominato da una banda di ex partigiani comunisti che imponevano la loro legge sulla legge della civile convivenza.



L'arma non fu mai ritrovata, e un processo farsa negli anni successivi, portò alla condanna di un mitomane che si spense in carcere di tubercolosi, mentre i veri assassini vivevano in libertà tra onori e prebende politiche nella città di Savona.



L'unico che non si piegò al tragico destino della morte della Rosa Maria Amodio fu il suo fidanzato, il quale per conto suo proseguì nelle indagini e dopo un anno dalla morte della sua ragazza, qualcuno gli imbottì la porta di casa di tritolo per convincerlo a desistere dalle sue ricerche a carattere personale. Evidentemente si era troppo avvicinato agli assassini della Rosa Maria, assassini noti come la banda della pistola silenziosa.



Ecco come il 14 agosto del 1947, si poteva fionire ammazzati in una strada di una tranquilla città di provincia come Savona.





roberto nicolick

3 commenti:

  1. Tre fucili per una donna. E credi che destra non ci siano mostri??

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  2. Hanno fatto bene! Morte agli invasori nazisti ed ai traditori fascisti!

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  3. deficente comunista assassino

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.