lunedì, febbraio 14, 2011

LA STRAGE DELLA FAMIGLIA TURCHI: anche questa fu Resistenza ??


Dopo il 25 aprile 1945, la scia di omicidi a sfondo politico, a Savona, si allunga sempre più…questo fatto, realmente accaduto ha come protagonisti una innocente famiglia, i Turchi appunto, ed un gruppo di partigiani comunisti che non verranno mai identificati


Dopo il 25 aprile 1945, la scia di omicidi a sfondo politico, a Savona, si allunga sempre più…questo fatto, realmente accaduto ha come protagonisti una innocente famiglia, i Turchi appunto, ed un gruppo di partigiani comunisti che non verranno mai identificati.

Con il favore delle tenebre, cinque uomini armati, risalivano un sentiero di Ciantagalletto, che nella zona detta dei Ciatti, del quartiere rosso di Lavagnola, portava ad un casolare isolato. I cinque armati, non erano sicuramente fascisti, perché era al 29 maggio 1945. Erano sicuramente qualcosa d’altro: e ci si arriva per logica deduzione, all’indomani della Liberazione, avvenuta il 25 aprile 45, l’unica forma di potere organizzato e armato, dominante, era unicamente quello delle formazioni partigiane, nella fattispecie a Savona, quelle comuniste… I cinque uomini, camminavano in silenzio , senza fumare per non essere segnalati dalle braci delle sigarette e dall’odore di fumo, avanzavano con circospezione, senza produrre alcun rumore…per non mettere in allarme le persone che abitavano nella cascina Berta, le quali non potevano immaginare il pericolo imminente.

Alla cascina Berta, oltre al bestiame ci abitavano dei Cristiani: Flaminio Turchi di anni 56, il capofamiglia, un uomo forte e senza timori, sua moglie, Caterina Carlevari, e le tre giovani figlie, Giuseppina, Pierina e Maria, rispettivamente di 25, 23 e 20 anni, tre ragazze piene di vita dedite unicamente ad aiutare la famiglia nella conduzione della casa agricola…

Infatti l’attivita’ lavorativa del nucleo famigliare era legata prevalentemente alla agricoltura. I cinque “banditi”, arrivano alla casa inaspettati, solo il cane dei Turchi li sente e abbaia sentendo gli intrusi, ma viene immediatamente freddato da una pistolettata nell’aia del casolare, i predoni fanno irruzione nella casa a piano terra e da subito sparano contro i componenti della famiglia Turchi disarmati e quindi indifesi che non hanno alcun scampo. Tutti vengono colpiti dalle raffiche omicide, senza alcuna distinzione, giovani e vecchi…

Tutti, quasi tutti i Turchi, muoiono all’interno della cucina, tutti cadono lì tra i mobili della cucina, sotto il tavolo, tra le sedie impagliate di legno in un lago di sangue tranne la giovane Maria, poco più che ventenne, la quale ferita mortalmente si trascina , nel bosco, al buio…lasciandosi dietro una scia di sangue…i cinque assassini, rinunciano ad inseguirla, e iniziano a depredare la casa, oramai popolata da cadaveri . La povera ragazza, ferita a morte, si lamenta disperatamente, per tutta la notte, prima di morire…e nessuno le presta il minimo soccorso. La spoliazione, completa, della casa, viene completata dopo 48 ore circa dalla strage. Arriva una squadra di sciacalli, che come in altri casi, porta via tutto, mobili, quadri, suppellettili, Lì accanto a qualche centinaio di metri, una squadra di operai della manutenzione delle Funivie, ode le raffiche e poi i colpi isolati di grazia, subito non se la sentono di andare a vedere…ci vanno all’alba, quando gli assassini sono andati via: i corpi sono oramai freddi, il sangue e’ ovunque nella cucina, il cane giace nel cortile…gli operai osservano e seguono la scia di sangue sino al bosco, e trovano il corpo della povera Maria, morta senza soccorsi per dissanguamento.

Arrivò il prete di Lavagnola che benedisse le cinque salme, le quali caricate su di un carretto, vennero portate al Camposanto di Zinola, qui furono seppellite e rimasero sino al 89, dopo di chè vennero trasportate a Genova, presso il Cimitero di Staglieno, dove tuttora si trovano. I carabinieri stranamente non aprirono nessun tipo di indagine o di inchiesta, a tutt’oggi, nessuno sa nulla di nulla. Nessuno vide nulla, nessuno parlò, nessuno sentì…bocche cucite a quei tempi…per una delle tante stragi compiute a ridosso del 25 aprile 45. Gli anni passarono, i fori dei proiettili erano bene in vista, sui muri della cucina dove avvenne la strage.

La casa abbandonata, fu invasa dalla vegetazione e poi venne demolita. Al suo posto c’e’ ora una nuova palazzina. Ci fu un fatto propedeutico alla strage : due delle ragazze, furono prese e rapate dai partigiani perchè sospettate di frequentare i i giovani militari della San Marco. Il padre, andò su tutte le furie, si recò subito a protestare con determinazione presso il locale CNL Ecco cosa accadde dopo… e gli assassini, godettero di coperture, appoggi, onori e quant’altro. Erano dalla parte vincente.

La magistratura dovrebbe fare luce sulla strage della Famiglia Turchi, e riaprire un fascicolo pieno di polvere e soprattutto di omissioni…tanti nomi eccellenti verrebbero a galla, anche se la morte ha già fatto Giustizia per conto suo.

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Margherita Catanese 27 giugno 1979 Savona Angelo Catanese, salì sul treno a Salerno in direzione di Savona, da tempo oramai non era più lui, uomo di grande intelligenza con una laurea in ingegneria, soffriva di una sindrome depressiva molto grave, a seguito di questa malattia aveva subito alcuni ricoveri in strutture psichiatriche a Nocera Inferiore, e questo lo aveva irritato molto, Angelo infatti attribuiva la responsabilità della sua malattia ai suoi parenti. Covava in lui un desiderio di vendetta, quando salì sul treno aveva nel borsello una pistola. Appena sceso a Savona, si recò al quartiere La Rusca, al civico 5 interno 4, dove lui sapeva abitasse la zia, Margherita, che riteneva corresponsabile della sua malattia oltreché dei suoi ricoveri. La zia , nubile, viveva da sola in un appartamento alla Rusca, il quartiere collinare di Savona, economicamente benestante conduceva una esistenza tranquilla e senza problemi. La donna lo accolse cordialmente e lo fece accomodare in cucina senza sospettare nulla. Quasi subito Angelo estrasse la pistola che si era procurato e sparò cinque colpi che la uccisero , poi si alzò , sollevò il corpo della vittima e dopo averla sistemata su una sdraio , uscì dall’appartamento, raggiunse la stazione e salì sul primo treno in direzione sud, voleva infatti tornare a Salerno. I vicini della zia, sentirono gli spari e videro l’uomo uscire dalla casa sporco di sangue, allarmati avvisarono la polizia che rinvenne il cadavere della donna. Dopo quattro giorni di ricerche giorni fu raggiunto dalla polizia in una pensioncina di Salerno dove si era nascosto e arrestato. Al momento dell’arresto aveva ancora gli abiti sporchi di sangue, ad una richiesta di spiegazioni sulle macchie , disse che era stato morso da un cane randagio, poi decise di collaborare e rese ampia confessione agli inquirenti. Ammise anche il suo rancore nei confronti dei parenti. Sottoposto in carcere a perizie psichiatriche venne riconosciuto non penalmente perseguibile per vizio totale di mente e quindi non venne rinviato a giudizio e si dispose il suo inserimento in una casa di cura adeguata per un periodo non inferiore a dieci anni.