martedì, novembre 29, 2011
Droga in Birmania
A Muse, sul confine con la Cina, passano i grandi traffici delle mafie. E di lì partono le droghe dirette in Occidente via Hong Kong
Federico Varese per “La Stampa“
RUILI (CINA)
Ruili è un nome quasi del tutto ignoto in Europa. Eppure merita di comparire in una lista dei luoghi chiave della globalizzazione criminale, come Gio- Ria Tauro in Calabria, Veleshta in Macedonia (lo snodo del traffico di esseri umani in Europa) e Ciudad del Este al confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, dove il mercato nero è legale e non esiste alcun sistema fiscale.
Ruili (140 mila abitanti) si trova sul confine cinese tra la provincia dello Yunnan e il Nord-est della Birmania, quel «triangolo d’oro» che a tutt’oggi è il secondo produttore al mondo di oppio dopo l’Afghanistan e dove operano centinaia di raffinerie di eroina e anfetamine. Tutti i resoconti sulle timide aperture verso la democrazia nella Repubblica di Myanmar (il nome ufficiale della Birmania) sembrano ignorare l’ipoteca che produttori e trafficanti di droga hanno e continueranno ad avere sul futuro del Paese. «Quello che vedrai a Ruili non lo potrai osservare da nessun’altra parte in Cina» ci dice la tassista, sorpresa di trovare un italiano da queste parti. Sulla strada che porta in città ci sono quattro posti di blocco dell’esercito.
Non stupisce che il governo cinese abbia mobilitato l’esercito. Uomini d’affari birmani attraversano il confine per comprare i prodotti venduti nelle decine di piccoli garage adattati a negozi sulla strada che porta al confine, mentre i cinesi comprano giada grezza da lavorare nei laboratori della zona, legname, minerali e animali esotici. Altri trasportano eroina e anfetamine birmane attraverso il check point che separa Ruili dalla città birmana gemella Muse e da lì la merce prosegue per il Sud del Paese, raggiunge Canton e il porto di Hong Kong e infine l’occidente. Il mercato degli esseri umani è uno dei più fiorenti: nelle centinaia di bordelli si possono trovare giovani birmane alla ricerca di una vita migliore o vendute dalle proprie famiglie, mentre gang cinesi rapiscono ragazze di là dal confine e le vendono come mogli in Cina. Questo è il luogo della prima epidemia di Aids nel Regno di Mezzo, e continua ad avere il più alto tasso di persone infette dell’intero paese.
È anche una zona strategica per il futuro energetico della Cina: qui approderà un oleodotto del valore di 2 miliardi di dollari, che trasporterà il petrolio del Medio Oriente dal Golfo del Bengala attraverso la Birmania, evitando al greggio di passare per lo stretto di Malacca, infestato di pirati; e qui arriverà gran parte dell’energia idroelettrica prodotta dalle sessantacinque dighe che il regime comunista ha costruito in Birmania negli ultimi anni.
Attività legali e illegali sono legate in maniera inestricabile, in questa parte del mondo. I contratti per l’estrazione della giada nelle miniere birmane di Hpakant sono stati ottenuti da un trafficante di droga, Wei Hsueh-kang, il quale è allo stesso tempo un rispettato uomo d’affari in Cina, il comandante di un esercito indipendentista in Birmania e un ricercato dalla giustizia americana che offre due milioni di dollari per informazioni utili alla sua cattura. Secondo Ko-lin Chin, uno studioso birmano che ha svolto lavoro sul campo in queste zone, Wei Hsueh-kang è il trafficante più importante del triangolo d’oro, dove gestisce diverse raffinerie. Pur essendo di origine cinese, è riuscito a ottenere la fiducia delle milizie locali e, con i proventi della droga, ha fondato nel 1988 un gruppo imprenditoriale con vasti interessi – costruzioni, agricoltura, estrazione della giada, dei minerali e del petrolio, elettronica, telecomunicazioni – e uffici di rappresentanza in Cina e in Myanmar.
Con l’apertura della Cina all’economia di mercato nel 1989, la Birmania è diventata la mèta di uomini d’affari senza scrupoli che si sono gettati sul Paese nella speranza di farsi d’oro. Secondo una stima, più di un milione di imprenditori cinesi hanno attraversato la frontiera e si sono stabiliti in Birmania negli Anni 90. Alcuni sono tornati in patria con la tasche piene, ma la maggior parte non ha avuto successo ed è rimasta bloccata in un Paese sottosviluppato, corrotto e inospitale. Avevano però una carta da giocare: grazie ai loro contatti in Cina, potevano importare la tecnologia necessaria per raffinare l’eroina e per produrre le pastiglie di anfetamine. I laboratori di raffinazione nascosti nella giungla birmana del Kachin (la stessa zona dove sorgono le miniere di giada) sono oggi più di cento. I produttori vendono la droga ai trafficanti che la trasportano al di là del confine. Le milizie autonomiste e le unità dell’esercito regolare hanno il ruolo di protettori locali, ma allo stesso investono in questo business. Molti trafficanti hanno comprato case e ristoranti a Ruili. Un boss della droga, ci dicono, ha appena fatto un grosso investimento per costruire dei campi da golf a qualche chilometro dal centro. È anche il padrone del nostro albergo.
I trafficanti non sono membri di gruppi criminali tradizionali, ma uomini d’affari insospettabili per i quali la droga costuitusce solo un aspetto della loro attività. L’immagine di una piovra mondiale, di una gigantesca multinazionale del crimine perfettamente integrata, che sposta centinaia di chili di sostanze stupefacenti, è fuorviante. Questo commercio viene condotto da network flessibili che non dipendono dalle mafie tradizionali, e l’esistenza di contatti tra comunità cinesi sparse in tutto mondo rende più facile le attività criminali transnazionali. Tutti i giorni, andando all’Università di Oxford dove insegno, passo difronte alla casa dove Aung San Suu Kyi visse negli Anni 70 e prego il mio Dio che il premio Nobel possa tornare presto a guidare il suo Paese. Eppure il futuro di Myanmar passa anche per le strade scalcinate di Ruili, per le distese coltivate a oppio del Triangolo d’Oro, per le milizie indipendentiste che non sembrano disposte a cedere le armi, e per le centinaia di raffinerie clandestine gestiste da mercanti di morte cinesi. Se mai tornasse a essere una democrazia, potrà questo Paese evitare il destino di guerra e violenza di molte parti dell’America Latina?
Federico Varese per “La Stampa“
RUILI (CINA)
Ruili è un nome quasi del tutto ignoto in Europa. Eppure merita di comparire in una lista dei luoghi chiave della globalizzazione criminale, come Gio- Ria Tauro in Calabria, Veleshta in Macedonia (lo snodo del traffico di esseri umani in Europa) e Ciudad del Este al confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, dove il mercato nero è legale e non esiste alcun sistema fiscale.
Ruili (140 mila abitanti) si trova sul confine cinese tra la provincia dello Yunnan e il Nord-est della Birmania, quel «triangolo d’oro» che a tutt’oggi è il secondo produttore al mondo di oppio dopo l’Afghanistan e dove operano centinaia di raffinerie di eroina e anfetamine. Tutti i resoconti sulle timide aperture verso la democrazia nella Repubblica di Myanmar (il nome ufficiale della Birmania) sembrano ignorare l’ipoteca che produttori e trafficanti di droga hanno e continueranno ad avere sul futuro del Paese. «Quello che vedrai a Ruili non lo potrai osservare da nessun’altra parte in Cina» ci dice la tassista, sorpresa di trovare un italiano da queste parti. Sulla strada che porta in città ci sono quattro posti di blocco dell’esercito.
Non stupisce che il governo cinese abbia mobilitato l’esercito. Uomini d’affari birmani attraversano il confine per comprare i prodotti venduti nelle decine di piccoli garage adattati a negozi sulla strada che porta al confine, mentre i cinesi comprano giada grezza da lavorare nei laboratori della zona, legname, minerali e animali esotici. Altri trasportano eroina e anfetamine birmane attraverso il check point che separa Ruili dalla città birmana gemella Muse e da lì la merce prosegue per il Sud del Paese, raggiunge Canton e il porto di Hong Kong e infine l’occidente. Il mercato degli esseri umani è uno dei più fiorenti: nelle centinaia di bordelli si possono trovare giovani birmane alla ricerca di una vita migliore o vendute dalle proprie famiglie, mentre gang cinesi rapiscono ragazze di là dal confine e le vendono come mogli in Cina. Questo è il luogo della prima epidemia di Aids nel Regno di Mezzo, e continua ad avere il più alto tasso di persone infette dell’intero paese.
È anche una zona strategica per il futuro energetico della Cina: qui approderà un oleodotto del valore di 2 miliardi di dollari, che trasporterà il petrolio del Medio Oriente dal Golfo del Bengala attraverso la Birmania, evitando al greggio di passare per lo stretto di Malacca, infestato di pirati; e qui arriverà gran parte dell’energia idroelettrica prodotta dalle sessantacinque dighe che il regime comunista ha costruito in Birmania negli ultimi anni.
Attività legali e illegali sono legate in maniera inestricabile, in questa parte del mondo. I contratti per l’estrazione della giada nelle miniere birmane di Hpakant sono stati ottenuti da un trafficante di droga, Wei Hsueh-kang, il quale è allo stesso tempo un rispettato uomo d’affari in Cina, il comandante di un esercito indipendentista in Birmania e un ricercato dalla giustizia americana che offre due milioni di dollari per informazioni utili alla sua cattura. Secondo Ko-lin Chin, uno studioso birmano che ha svolto lavoro sul campo in queste zone, Wei Hsueh-kang è il trafficante più importante del triangolo d’oro, dove gestisce diverse raffinerie. Pur essendo di origine cinese, è riuscito a ottenere la fiducia delle milizie locali e, con i proventi della droga, ha fondato nel 1988 un gruppo imprenditoriale con vasti interessi – costruzioni, agricoltura, estrazione della giada, dei minerali e del petrolio, elettronica, telecomunicazioni – e uffici di rappresentanza in Cina e in Myanmar.
Con l’apertura della Cina all’economia di mercato nel 1989, la Birmania è diventata la mèta di uomini d’affari senza scrupoli che si sono gettati sul Paese nella speranza di farsi d’oro. Secondo una stima, più di un milione di imprenditori cinesi hanno attraversato la frontiera e si sono stabiliti in Birmania negli Anni 90. Alcuni sono tornati in patria con la tasche piene, ma la maggior parte non ha avuto successo ed è rimasta bloccata in un Paese sottosviluppato, corrotto e inospitale. Avevano però una carta da giocare: grazie ai loro contatti in Cina, potevano importare la tecnologia necessaria per raffinare l’eroina e per produrre le pastiglie di anfetamine. I laboratori di raffinazione nascosti nella giungla birmana del Kachin (la stessa zona dove sorgono le miniere di giada) sono oggi più di cento. I produttori vendono la droga ai trafficanti che la trasportano al di là del confine. Le milizie autonomiste e le unità dell’esercito regolare hanno il ruolo di protettori locali, ma allo stesso investono in questo business. Molti trafficanti hanno comprato case e ristoranti a Ruili. Un boss della droga, ci dicono, ha appena fatto un grosso investimento per costruire dei campi da golf a qualche chilometro dal centro. È anche il padrone del nostro albergo.
I trafficanti non sono membri di gruppi criminali tradizionali, ma uomini d’affari insospettabili per i quali la droga costuitusce solo un aspetto della loro attività. L’immagine di una piovra mondiale, di una gigantesca multinazionale del crimine perfettamente integrata, che sposta centinaia di chili di sostanze stupefacenti, è fuorviante. Questo commercio viene condotto da network flessibili che non dipendono dalle mafie tradizionali, e l’esistenza di contatti tra comunità cinesi sparse in tutto mondo rende più facile le attività criminali transnazionali. Tutti i giorni, andando all’Università di Oxford dove insegno, passo difronte alla casa dove Aung San Suu Kyi visse negli Anni 70 e prego il mio Dio che il premio Nobel possa tornare presto a guidare il suo Paese. Eppure il futuro di Myanmar passa anche per le strade scalcinate di Ruili, per le distese coltivate a oppio del Triangolo d’Oro, per le milizie indipendentiste che non sembrano disposte a cedere le armi, e per le centinaia di raffinerie clandestine gestiste da mercanti di morte cinesi. Se mai tornasse a essere una democrazia, potrà questo Paese evitare il destino di guerra e violenza di molte parti dell’America Latina?
domenica, novembre 27, 2011
La cartiera burgo di Mignagola, un luogo di atrocità fatte dai partigiani comunisti
Tra fine aprile e i primi di maggio del 1945 la “Cartiera
Burgo” di Mignagola di Carbonera venne adibita dai partigiani comunisti a campo
di concentramento e luogo di tortura di “fascisti o presunti tali” rastrellati
nella zona o arresisi a guerra finita - Nei massacri di quei giorni solo un
centinaio di vittime vennero identificate in quanto i corpi di molti uccisi
vennero gettati nel fiume Sile sparendo per sempre - Il boia della cartiera era
il sanguinario “Falco” (Gino Simionato da Sambughè) che in una sola azione
massacrò a colpi di vanghetto trentaquattro prigionieri finendoli poi a colpi di
mitra - Le agghiaccianti testimonianze dei superstiti sulle torture ai
prigionieri e la crocefissione del sottotenente della GNR Gino Lorenzi - I
rapporti dei carabinieri: «Si uccideva senza nemmeno prender nota del nome delle
vittime» - Gli intrecci tra resistenza e delinquenza comune nell'impressionante
serie di crimini che sconvolse il circondario - Le responsabilità dei partigiani
della “Wladimiro” nei massacri - La storia dell'oro della Banca d'Italia
sequestrato a Olmi di S. Biagio a sette triestini trucidati in cartiera e
spartito tra partigiani cattolici e comunisti - Al termine dell'istruttoria
sugli eccidi i colpevoli, noti e ignoti, vennero amnistiati in quanto
responsabili di crimini «commessi in lotta contro il
fascismo»
|
Questo è
il racconto dei crimini e delle infamie perpetrate dalla banda del “Falco”, una
delle più feroci formazioni comuniste operanti durante la resistenza nella zona
a cavallo dei comuni di Breda di Piave, Carbonera e S. Biagio di Callalta, sulla
destra del fiume Piave, poco distante da Treviso. Il suo nome è legato
soprattutto ai massacri avvenuti all'interno della “Cartiera Burgo” di Mignagola
di Carbonera dove, tra la fine di aprile e la prima decade di maggio del 1945,
furono sterminate non meno di tre-quattrocento persone.
Nella zona, in combutta col “Falco” ma anche in maniera autonoma,
operano diverse bande — gruppuscoli o cani sciolti — accomunati quasi tutti
dalla stessa matrice criminale. C'è il gruppo di Antonio Sponchiado
(“Fortunello”), la squadra di Luigi Pagotto (“Romi”), il gruppetto di Dino
Piaser (“Balilla”), la banda di Dionisio Maschio (“Piton”), quella di Sebastiano
Pastrello (“Russo” o “Biscotto”). C'è poi Luigi Pozzi, il furbo, defilato,
imprendibile “Volpe”, coordinatore occulto e supervisore di molte
imprese.
Gino Simionato, detto “Falco”, nativo di Sambughè di Preganziol,
classe 1920, arriva nella zona presumibilmente nel settembre del '44 con alle
spalle una militanza nella Brigata “Mazzini”, operante nei dintorni di
Valdobbiadene. Uomo rozzo e violento, egli si impone subito per la sua feroce
determinazione, riuscendo a raggruppare intorno a sé una banda di suoi simili
così dipinti in un rapporto dei carabinieri del 1951:
«Simionato Gino, detto “Falco” -
... Godeva cattiva stima ed era poco amante del lavoro con tendenza a procurarsi
i mezzi economici con attività illegale. Di carattere presuntuoso e arrogante, è
sempre stato allontanato dai vicini e non è mai stato in buona considerazione
della popolazione. Antecedentemente al reato ha tenuto mediocre condotta
morale... Era diffamato come incline a commettere furti... Tenore di vita
vizioso...
Bisetto Carlo, detto “Canea”
(“Zebra”) - ... Risulta di cattiva condotta morale e politica e viene
ricordato tra gli elementi sanguinari del periodo partigiano. Il reo si è dato
alla delinquenza per motivi politici e il suo carattere è risultato sanguinario
e crudele... La condotta susseguente al reato stesso risulta pessima... Operaio
presso la Cartiera Burgo, dai conoscenti viene ricordato come persona
pericolosa. Il suo carattere è violento e sanguinario.
Benedetti Alfonso (“Ferro”) - ...
Carattere violentissimo, con tendenza a delinquere... Di carattere
insubordinato... Sebbene giovanissimo e poco istruito, era divenuto, durante il
periodo della liberazione, commissario di una brigata di partigiani e in tale
qualità partecipò e fece parte di un tribunale partigiano. Anche dopo la
liberazione ha tenuto una condotta pessima, tanto è vero che, vistosi
abbandonato da tutti, è stato costretto a emigrare in Francia...
Cadonà Silvio (“Senna” o
“Secco”) - ... Di carattere violento, dedito al vizio e alle bevande
alcooliche. Anche antecedentemente al reato ha sempre mantenuto una condotta
scorretta e da tutti malvisto per il suo carattere violento. Durante la
liberazione faceva parte di una formazione partigiana operante nella zona di
Mignagola di Carbonera ed era da tutti temuto per il suo pessimo carattere...».
A un certo punto, alla cartiera si dovette smettere di uccidere e
ciò, per i partigiani, fu doloroso, angosciante. Nella speranza forse di poter
presto ricominciare, si premurarono di occultare, nella proprietà di “Villa Dal
Vesco”, a Breda di Piave, ben sessantaquattro quintali di armi e munizioni, la
cui presenza fu però denunciata alle autorità militari da una popolazione ormai
esausta delle loro imprese terroristiche.
Di quello
che accade a Mignagola e a Treviso dopo le stragi parleremo più avanti. Vediamo
ora, a completamento e a conforto di quanto esposto, le testimonianze rese dai
superstiti ai magistrati nel primo dopoguerra o, proprio di recente, su nostro
invito.
Egidio Callegari, nella sua deposizione in
tribunale, disse di avere incontrato, verso la fine del mese di aprile, mentre
si trovava a S. Maria del Rovere, la signorina Armida Spellanzon, ex ausiliaria
della GNR, e di averla accompagnata a recuperare delle valigie lasciate in
custodia dalla parrucchiera del paese. Costei li condusse a “Villa Mocellin” e
li consegnò ai partigiani che, dopo averli condotti in una stanza, li
interrogarono. Ricorderà Callegari: «Io subii maltrattamenti, fra i quali un
calcio che mi colpì dietro la schiena. La signorina fu coperta di improperi,
ingiurie e altro. Le fu detto pure che, piuttosto di fare l'ausiliaria, sarebbe
stato meglio fare la troia. Successivamente fummo prelevati e portati al Comando
dei partigiani nella cartiera di Mignagola. Lì fummo separati: lei in una
stanza e io in un'altra. Qui subimmo altro interrogatorio dal comandante “Sauro”
(Marcello Caldato -
n.d.a.). Io ebbi in seguito il permesso di
uscita, la signorina no. Questa fu prelevata e portata in uno stanzone; fu messa
insieme ad altre persone che colà attendevano. Qui furono tutti trucidati;
potevano essere in tutto una quindicina. Intesi i colpi di mitra. Prima della
sparatoria intesi una voce che gridava: “Tutti a morte!”, seguita da un urlo
emesso, immagino, dalle persone rinchiuse nello stanzone. Sentii distinta la
voce della signorina: “No!, no!”. Dopo non sentii altro. Dalla stanza dove ero
stato rinchiuso vidi dalla finestra, caricati su di un carretto trascinato a
mano, sei o sette cadaveri che venivano portati via».
Francesco Grifoni, altro superstite della
cartiera, così deporrà: «Nei giorni immediatamente successivi alla liberazione,
nell'aprile 1945, venni arrestato perché avevo prestato servizio come
maresciallo nella GNR e tradotto nei locali della cartiera Burgo sita in
Mignagola, a cinque chilometri da Treviso. In detta località, ove furono
concentrati circa duemila fascisti o ritenuti tali, furono commesse dai
partigiani atrocità e sevizie di ogni genere. Si calcola che almeno novecento
persone furono uccise senza nemmeno la parvenza di un processo. Io giunsi alla
cartiera il 30 aprile, insieme a un gruppo di una trentina di arrestati e, al
momento dell'introduzione nello stabilimento, il capo dei partigiani addetto a
riceverci ci prendeva a schiaffi, pugni e calci in modo che parecchi di noi
rimasero pesti e sanguinanti. Altri due partigiani fecero togliere a tutti le
scarpe, lasciandoci a piedi nudi e dicendo che le scarpe servivano a loro. A me,
oltre le scarpe, furono tolti il denaro che avevo indosso, l'orologio d'argento,
la penna stilografica e l'accendisigaro di metallo. La stessa sorte subirono i
miei compagni di prigionia. Gli stessi due partigiani, armati di scudiscio, ci
costrinsero a ballare con i piedi nudi sui vetri in modo che alcuni finirono per
avere i piedi sanguinanti. La nostra condizione divenne ancora più dolorosa
quando cominciarono ad affluire dalla montagna i componenti di varie brigate di
partigiani i quali venivano sistematicamente a visitarci per cercare di
riconoscere qualcuno dei responsabili delle persecuzioni da essi subite. E in
tal modo essi sfogavano il loro rancore su di noi innocenti, tempestandoci di
pugni e calci, tanto che dopo qualche giorno eravamo tutti pesti, contusi e
tumefatti. Una sera, nel recarmi alla ritirata per un bisogno, vidi i cadaveri
di tre persone impiccate a una sbarra di ferro. Nessuna contabilità e nessun
inventario venivano fatti dei valori che ci venivano requisiti. Le brigate che
agivano nella zona di Treviso erano la “Garibaldi” e la “Matteotti”, composte da
comunisti e guidate da ufficiali slavi che erano particolarmente sanguinari.
Ricordo che un capitano russo (Walter
Sadicov - n.d.a.), che indossava una giacca
nera e aveva dei denti d'oro e che seppi, là dentro, che in precedenza aveva
ucciso i due agenti di PS a nome Lupo e Mignona in località Carbonera, si
aggirava per i locali della cartiera e uccideva coloro le cui facce non gli
piacevano. Nessun registro era tenuto delle persone che entravano e uscivano.
Nessuno ebbe a chiedermi un documento di identificazione al momento
dell'ingresso al campo. Mi fu chiesto il nome e cognome, ma nessuno si preoccupò
di registrarlo. Durante la notte, nei vari reparti dello stabilimento, che era
molto vasto, si sentivano le grida delle persone che venivano giustiziate
sommariamente e le raffiche dei colpi di arma da fuoco. Un giorno il capitano
russo, senza alcun motivo, girando per i locali cominciò a inveire contro di
noi, chiamandoci vigliacchi, e ci afferrò, alcuni, per i capelli, dandoci dei
vigorosi colpi sulla testa col calcio di una grossa pistola che impugnava. In
seguito a quei colpi, un capitano dell'Esercito repubblicano a nome Mollica, che
era prigioniero con noi, ebbe un forte choc e rimase in condizioni disperate,
tanto che fu portato fuori dal campo e non fu più veduto. Ritengo sia morto. Il
sottotenente della GNR Enzo Spinelli, ventiquattrenne, che aveva la famiglia a
Reggio Calabria, fu ucciso dallo stesso capitano russo con un colpo di
rivoltella alla tempia. Io pure fui colpito dal calcio della pistola del russo,
che mi produsse lesioni alla testa che guarirono in una decina di giorni. Il
comandante del battaglione partigiani che operava intorno a Treviso, e che
faceva parte della Brigata Garibaldi, si chiamava Piovesan, era un ex
carabiniere e abitava a Vascon di Carbonera. Egli comandava il reparto che per
primo si concentrò nella cartiera di Mignagola. Egli dava gli ordini che
venivano eseguiti dai suoi gregari. Gli altri capi, che erano particolarmente
feroci e che operavano insieme al capitano russo, erano Falco e Volpe. Un
giorno, da un gruppo di cinquanta persone fui portato insieme ad altri quattro
per essere fucilato, perché si diceva da parte dei partigiani che un gruppo di
fascisti, resistendo a essi, aveva ucciso due dei loro. Fortunatamente per noi,
proprio al momento dell'esecuzione, giunse un commissario di brigata senza un
braccio, che poi seppi essere un ex capitano d'aviazione, il quale sospese
l'esecuzione stessa in quanto i fascisti responsabili erano stati catturati.
Insieme a noi furono catturate alcune donne del servizio ausiliario. Esse furono
violentate da alcuni partigiani che menavano vanto di tali loro
imprese».
Successivamente il Grifoni, dopo quattro giorni di prigionia, fu
portato in carcere a Treviso, dove rimase detenuto per alcuni mesi. Processato,
venne poi condannato a un anno di carcere per collaborazionismo.
Altro superstite che deporrà davanti al giudice istruttore è
Riccardo Guain, classe 1908, guardia
giurata, che presta servizio fino al 26 aprile lungo il tratto dei binari che
collegano la cartiera Burgo alla linea ferroviaria Treviso-Portogruaro-Trieste,
a protezione dei carri di carbone in sosta che egli non permette a nessuno di
avvicinare. «Il 27 aprile — ricorderà Guain — venni arrestato da alcuni elementi
partigiani della zona di Treviso e precisamente da certi Aldo Fabris, Antonio
Sponchiado e da altri due individui di cui non ricordo il nome. Venni rinchiuso
in un locale della cartiera Burgo assieme a tanti altri arrestati e precisamente
assieme a undici individui di Trieste tra cui una donna incinta. Detti triestini
l'indomani del mio arrivo vennero fucilati in un cortile della stessa cartiera.
Rimasi detenuto per otto giorni e fui oggetto, da parte di Aldo Fabris e degli
altri due di cui non ricordo i nomi, a numerose sevizie e torture. Venni
ripetutamente bastonato a sangue e varie volte mi fu sputato in bocca; mi
facevano mangiare della carta e altre simili cose. Come ho sopra detto, a
torturarmi erano in tre persone tra cui il Fabris e altri due di cui mi riservo
di fare il nome. Posso però dire che gli stessi sono nativi e residenti nel mio
stesso paese, cioè Carbonera. Detti individui mi riferirono poi che erano stati
comandati e pagati dallo Sponchiado per torturarmi a sangue. Dopo otto giorni
fui rimesso in libertà dagli stessi individui che ebbero ad arrestarmi. Durante
il periodo di detenzione, oltre ad aver visto fucilare gli undici triestini di
cui sopra, ho assistito alla fucilazione di tante altre persone che con me si
trovavano detenute. Le esecuzioni venivano fatte in un cortile dello
stabilimento stesso ed eseguite da un gruppo di elementi partigiani tra cui era
Aldo Fabris e gli altri due individui del mio stesso paese e di cui, ripeto, mi
riservo di fare i nomi. Devo aggiungere che tutte le persone che venivano
arrestate, me compreso, venivano depredate di ogni loro avere. A me furono
portate via la penna stilografica, la giacca e una cinta da pantaloni. A un
colonnello del distretto di Treviso venne asportata la somma di lire 260.000
circa e così per tutti coloro che si trovavano con me rinchiusi nel locale della
cartiera predetta».
Quando il Guain, per intervento di un parente operaio in cartiera,
torna a casa, non ha un centimetro di pelle intatta: è tutto una piaga
sanguinante e impiegherà mesi a rimettersi in salute. In seguito si arruolerà
nell'Arma dei carabinieri e in tale veste renderà la sua deposizione. Ma
confiderà ai suoi congiunti che, fra i torturatori, c'erano anche Zaffalon,
Battistella, Sponchiado e la “staffetta” Trevisi.
Le
medesime traversie del Guain subisce Giulio Trevisan, anni 45, macellaio, padre
di sette figli, residente a S. Biagio di C. Prelevato da casa il 27 aprile da
Gino Simionato (“Falco”), Silvio Cadonà (“Senna”) e Bisetto e portato in
cartiera, venne pestato a sangue e torturato: gli viene perfino riempita la
bocca di carta alla quale viene poi dato fuoco, ed è sottoposto a continue finte
fucilazioni per terrorizzarlo e costringere i suoi a pagare per riaverlo vivo.
La figlia maggiore si offre di prendere il suo posto. Invano. C'è chi lo vede,
il 28 o il 29 aprile, in cartiera, sdraiato per terra accanto al Guain,
semisvenuto e gemente, con un fazzoletto legato intorno al viso che gli regge la
mandibola gonfia e slogata. I congiunti non ricordano più quante volte i
partigiani si siano recati a trovarli per chiedere loro denaro e bestie
macellate a riscatto del poveretto che, quando viene liberato, è ormai un rudere
che non si regge in piedi. Non si rimetterà più né fisicamente né psichicamente
perché, ciò che ha visto e subìto in quegli orribili, infernali giorni, lo ha
sconvolto per sempre e incubi spaventosi lo perseguiteranno giorno e notte.
Morirà nel 1950 in una casa di cura, dopo cinque anni di sofferenza.
Chi invece riesce a evitare anche le torture è il maresciallo
dell'esercito Giovanni Zanette di Treviso. Sfollato a
Cavriè di S. Biagio, il 30 aprile sta tornando in città col carro delle sue
masserizie. In piazza a Cavriè viene catturato da alcuni partigiani, fra i quali
spicca per bruttezza Aldo Borsato (“Iena”). Lo Zanette, trasportato in
camionetta nella cartiera, viene quasi subito liberato da Luigi Pozzi (“Volpe”),
del quale sta per diventare suocero. Si saprà poi che il maresciallo faceva il
doppiogioco.
Quelle che seguono adesso sono altre testimonianze di superstiti,
rese solo di recente da coloro che vissero l'inferno di quei giorni alla
“Cartiera Burgo”.
Scrive Benito Guidato, ex sottotenente della GNR
di stanza a Oderzo presso il collegio Brandolini: «... Dal 30 aprile ai primi di
maggio 1945 sono rimasto nascosto presso una famiglia di Oderzo e solo dopo le
notizie allarmanti delle fucilazioni a Ponte della Priula sono andato via
assieme ad altri commilitoni. Il 3 maggio fui catturato a Saletto di Piave e
ricordo come un incubo di essere stato portato prima a Villa Dal Vesco di Breda
e poi nella cartiera di Mignagola dai partigiani del “Falco” e messo
direttamente al muro già tappezzato di carne umana e sangue fresco di precedenti
fucilazioni: solo un contrordine da parte di un partigiano ci salvò da sicura
morte. Insieme ad altri militi fui rinchiuso nella nota stanza e sottoposto a
maltrattamenti, ingiurie e altro, dopo essere stato spogliato di tutto. Ricordo
in modo particolare che, per colpire, veniva usata una canna di bambù con
inserito un tubo di ferro e uno scudiscio impugnato da una
partigiana».
Il Guidato fu poi portato in un collegio a Treviso dal quale, dopo
15 giorni, riuscì a fuggire dirigendosi verso Bergamo.
Ricorda Carlo Coraluppi, altro superstite: «Il
30 aprile, nella tarda mattinata, fui catturato nelle vicinanze della caserma
Salsa, assieme ad altri due militi e a un paio di ausiliarie, da un grosso
gruppo di cosiddetti partigiani i quali ci portarono all'interno della
caserma... Ci raggiunsero in breve tempo altri prigionieri, finché, è
pomeriggio, caricati su di un camion, fummo portati al “campo di concentramento”
di Mignagola/Cartiera... Trovammo grande affollamento di gente, fra i quali
qualche volto conosciuto e fino ad allora insospettabile che cominciò a inveire
contro di noi, finché, messi in fila, fummo ben pestati da un gruppetto di
partigiani che ci sputarono anche addosso (a qualcuno in bocca; a me chiesero di
porgere la mano su cui sputarono). Di corsa ci fecero entrare, sempre in mezzo
alla folla, nei locali della cartiera, e anche durante quel breve tragitto si
sentirono in dovere di colpirci in qualsiasi modo. Rintanati in una stanza e nel
corridoio, fummo chiamati a uno a uno in un altro locale ove subimmo un
interrogatorio a suon di botte. A me, che dissi di essere di Mogliano, una
donna, che faceva parte della mezza dozzina di persone che sedeva dietro un
lungo tavolo e che forse erano la corte di giustizia, chiese se conoscevo il
“Falco” e precisò il nome: Gino Simionato di Sambughè. Poiché risposi
negativamente, mi assicurò, ridendo, che presto l'avrei conosciuto. Portati
quasi tutti in uno stanzone, dove erano stati ammucchiati, contro una parete,
tavoli e sedie, fummo depredati di quanto avevamo (orologi, catenine e
soprattutto soldi). A me portarono via persino il piastrino di riconoscimento
militare. A tutti furono fatte togliere le scarpe che non rivedemmo più.
Partigiani entravano di continuo nella stanza e tutti cercavano qualche
“criminale”; non trovandolo, picchiavano tutti. Particolare accanimento ci mise
nei pestaggi un certo Giovanni Brambullo (“Dante”) che usava, per spaccare
teste, una vanghetta di tipo militare. Nello stesso stanzone erano rinchiusi
anche una decina di militari tedeschi, quasi tutti ufficiali, che non furono
toccati e che protestarono vivacemente contro i maltrattamenti inflitti agli
italiani, soprattutto quando qualcuno di questi, sbattuto a suon di botte da un
angolo all'altro, finiva addosso ai tedeschi stessi. Questi tedeschi rimasero
con noi forse un paio di giorni e un loro medico si prodigò a medicare in
qualche modo — sfidando le ire dei partigiani — i feriti più gravi, usando — non
c'era altro — dei rotoli di carta della cartiera. Furono poi portati via, sempre
con i dovuti riguardi. Sentivamo continuamente raffiche di colpi di fucile e
qualche guardiano ci gratificava avvisandoci che presto sarebbe toccato anche a
noi. Nel gruppo di cui facevo parte, e che ogni tanto si ingrossava per nuovi
arrivi o diminuiva per partenze per destinazione ignota, c'era un Pianca
(Emilio - n.d.a.) che ogni tanto veniva portato fuori e rientrava in condizioni
pietose: fra l'altro gli infilarono un pugnale in un braccio, rigirandolo nella
ferita. Fu poi definitivamente portato via e certamente ucciso... Altro
massacrato di botte fu un giovane brigatista, di S. Lazzaro o S. Trovaso,
accusato nientemeno di avere avuto in dotazione un fucile che egli chiamava
“Ciàpa”. Fu trascinato fuori ormai morente, lasciandosi dietro una lunga scia di
sangue. Di sangue era abbondantemente intrisa la poca paglia su cui bivaccavamo.
Passarono così quattro giorni, con l'intermezzo della festa del 1° maggio,
durante la quale fummo allietati da una banda che in cortile suonava fino
all'ossessione le quattro note di “Bandiera Rossa”, frammiste a continue
raffiche di mitra e colpi isolati. Non mangiammo, non dormimmo e alla latrina ci
si andava scortati. E quanti poveracci orinavano sangue! Il 4 maggio finalmente
fummo portati all'interno di un capannone. Era ormai indifferente a tutti se ci
avessero fucilati. Forse era preferibile! Ci diedero invece da mangiare un
risotto che quelli che riuscirono a ingoiarlo trovarono ottimo. A qualcuno
restituirono le cose di minor valore sequestrate. Ci fecero lavare un po' alla
meglio e ci caricarono su di una vecchia corriera, sul cui tetto, sui
parafanghi, sui predellini, sul cofano, salirono partigiani armati fino ai
denti, col “Falco” in testa armato di una grossa mitragliera. Eravamo forse una
trentina. Alcuni altri furono liberati. Altri ancora rimasero e non so che fine
abbiano fatto. Scaricati alle porte di Treviso, legati le mani dietro la schiena
con fili di ferro, catene, corde, spaghi e uniti tutti da una lunga corda,
scalzi, insanguinati, laceri, dovemmo attraversare la città in mezzo alla canea
che ci insultava, ci sputava addosso e ci colpiva. A me e a Santarelli (un
milite di Lucca grande e grosso, ma ridotto in condizioni pietose) un vecchietto
continuò per una cinquantina di metri a sbatterci sulle gambe la bicicletta,
definendoci traditori. In piazza Duomo, prima, e poi nel cortiletto esterno
delle carceri facemmo lunghe soste per concederci alle foto ricordo dei militari
americani, con i partigiani in posa e la faccia feroce. Finalmente (pensa un
po'... finalmente) fummo fatti entrare nel carcere e tenuti per tutta la notte —
eravamo in una trentina — in una stanzetta, in piedi, pigiati in modo che coloro
che svenivano (e ce n'erano tanti ridotti al lumicino) dovevano stare ritti,
sostenuti dagli altri...».
Più avanti, il Coraluppi cita alcuni episodi che, in quei giorni di
barbarie, gli consentirono di nutrire un barlume di speranza nei riguardi della
dignità umana: «Il brigadiere Moretti, di Lucca, anziano, sicuramente
ultracinquantenne, durante l'interrogatorio affermò con fierezza di essere
fascista e squadrista e di esserne orgoglioso. Fu pestato a sangue. Moretti (era
infermiere senz'altro valido e umano), per mesi, nell'infermeria della caserma
Salsa, aveva curato meglio che se fosse un figlio un giovane partigiano
catturato ferito e condannato a morte. Gli evitò la morte... Il milite Sbrana,
pure di Lucca, alla notizia trionfalmente portataci dai partigiani che Mussolini
era stato assassinato e appeso a piazzale Loreto (ci mostrarono il giornale), si
scagliò violentemente su di loro investendoli di insulti e di botte e affermando
che a Mussolini stesso avrebbero dovuto fare un monumento in ogni piazza
d'Italia. Gli fu letteralmente spaccata la testa, fasciata poi in qualche modo
con la solita carta. Un partigiano, credo guardiano della cartiera, una notte
impedì a una torma di esagitati ubriachi l'ingresso al nostro stanzone, dove
volevano fare la loro parte di giustizia sommaria. Rischiò la vita. Anche il
parroco di S. Maria del Rovere, don Gino Longo, penetrò in cartiera e, incurante
degli insulti e delle minacce, ci portò, oltre alla benedizione, il suo conforto
e l'assicurazione del suo interessamento. Gliene sono sempre stato grato. Anche
lui rischiò la vita. Posso dire che la grande maggioranza dei prigionieri si
comportò dignitosamente... C'è da dire che entrò anche tanta gente che con i
fascisti non aveva nulla a che fare: anche qualche reduce dai campi di
concentramento in Austria e Germania, pescato senza documenti. Catturati con me
furono i militi Paolo Matteo Fumei, di Treviso, e Primo Giovannetti, di Lucca.
Uscirono vivi e liberi. C'erano pure numerosi militi della GNR di Lucca, oltre
ai citati, dei quali non ricordo il nome: erano bravi soldati, fieri e
coraggiosi».
Carlo Coraluppi, fra Mignagola, carceri di Treviso, detenzione
presso la caserma De Dominicis e vari campi di concentramento controllati dagli
inglesi, rimase prigioniero un anno esatto.
L'affermazione di Coraluppi, secondo il quale era sufficiente esser
trovati dai partigiani sprovvisti di documenti di riconoscimento per venir
portati in cartiera ed eliminati, trova riscontro in varie testimonianze, tra le
quali quella di R. M. Costui, venuto a conoscenza in quei giorni che un
suo cognato di Mignagola era stato fermato e tradotto alla “Burgo” per non aver
potuto provare la sua identità, si recò subito in cartiera dove gli dissero che
il suo parente era già stato avviato alla volta di Casier con un camion carico
di prigionieri. Si diresse allora a Casier col “Falco” — che ben conosceva per
essere stato costretto più volte in passato a ospitarlo a casa sua — riuscendo a
sottrarre il cognato da sicura morte.
A proposito di Casier, va ricordato che questo paese sulle rive del
Sile fu teatro durante la guerra civile di un numero imprecisato di eccidi. Qui
i fascisti venivano fucilati e gettati nelle acque del fiume; la corrente
provvedeva poi a portarli lontano, facendo perdere ogni traccia. Umberto Crosato ricorderà che un certo
Antonio Pol era specialista nel mettere un fez in testa ai fascisti legati,
fissandovelo poi a martellate con dei chiodi che perforavano la testa dei
condannati e facendo quindi rotolare i corpi nel Sile. Ma il Sile fu teatro
anche di altri nefandi episodi. Molti prigionieri, mentre ancora si
agitavano negli spasimi dell'agonia, furono
crocefissi a delle tavole di legno e gettati nel fiume. È opinione comune che la
stragrande maggioranza degli assassinati, dei quali più si rinvennero i corpi,
siano spariti per sempre inghiottiti dalle acque di questo fiume.
Particolarmente significativa è la testimonianza resa da Ruggero Benussi, altro scampato ai
massacri della cartiera. Benussi, figlio del presidente della Provincia di
Treviso, dopo varie peripezie che lo videro, dopo l'8 settembre, prima
volontario della GNR in quella città, poi allievo ufficiale a Padova, quindi
ufficiale paracadutista in Montenegro e in Slovenia (era nato a Fiume), decorato
di varie onorificenze germaniche e della RSI, nell'aprile del 1945, colpito da
forte attacco di itterizia, si trovava ricoverato nell'ospedale di Treviso
(sezione staccata di S. Artemio) diretto dal professor Tronconi, che diventerà
poi sindaco di Treviso. La mattina del 29 aprile venne avvertito dal professor
Tronconi che suo padre era stato arrestato dai membri del CLN; il medico lo
consigliò di vestirsi e di nascondersi nella sua abitazione, sita nel giardino
del nosocomio, dove già era ospitata la famiglia di Benussi. Anche perché, gli
disse, certamente i partigiani sarebbero andati a cercarlo in ospedale dove,
specie fra gli infermieri, c'erano parecchi elementi di sinistra. Così egli
fece, ma alle ore 13,30 irruppe nella sua stanza un gruppo di persone, tra cui
uno alto con barba quadra, in divisa caki, con stivaloni e dei gradi rossi
(Pietro Lovadina, “Barba” -
n.d.a.), e altri, vestiti mezzo in borghese
e mezzo in divisa tedesca. Quello che tutti gli altri chiamavano “Falco” prese
subito a interrogarlo sulla sua attività di soldato e sul suo passato; un altro
lo picchiò col nastro della mitraglia. A un certo momento se ne andarono: «Non
sappiamo cosa farcene — dissero — di un cinese mezzo morto». “Falco” aggiunse
anche: «Ti lascio stare perché probabilmente avranno già ammazzato tuo padre e
ne basta uno in famiglia».
Nel
pomeriggio però, verso le 16, quello che l'aveva picchiato la mattina, preso
forse da rimorso, ritornò assieme ad altri energumeni e lo invitò a
seguirli.
«Mi fece indossare — ricorda Benussi — sopra il pigiama i calzoni e
una giacca e, mentre mi stavo mettendo le calze, mi disse che bastavano le
scarpe, perché di calze non avevo più bisogno. Colpendomi con pugni e manrovesci
mi portarono in strada dove c'era un piccolo camion che aspettava e dove c'erano
altre persone e tanti partigiani. Mi fecero salire colpendomi col calcio dei
mitra sulle reni e mi ammucchiarono con gli altri. C'era un vecchio con una
divisa nera che si teneva gemendo una mano sull'occhio destro, mentre col
fazzoletto insanguinato cercava di fermare l'emorragia. Mi venne l'istinto di
aiutarlo, ma un altro mi disse: “Lascia perdere, gli hanno fatto schizzare
l'occhio con un pugnale”. La testa mi si annebbiò e persi conoscenza. Mi
sveglio, non so esattamente quanto tempo dopo, e mi trovo tra le mura di cinta
di uno stabilimento. In un piccolo piazzale ci fanno scendere. Alcuni di noi
sono feriti e si lamentano. Su un lato c'è una grande porta aperta e ci fanno
entrare in una stanza dove ci chiudono senza luce. Da una piccola finestra entra
un po' d'aria e io mi avvicino a questa apertura per guardare fuori, ma un
prigioniero mi ferma e mi dice di non espormi. Ci guardiamo ammutoliti, saremo
una decina, forse di più. Tra questi c'è uno che zoppica e gli chiedo se è stato
ferito; mi dice di aver avuto da ragazzo la poliomielite e di esser rimasto
così. Mi dice di chiamarsi Rino (è il
Carniato già incontrato - n.d.a.) e di aver
fatto il fattorino presso la Federazione. Mentre cerchiamo di familiarizzare per
farci coraggio, entrano tre persone col mitra e un pacco di giornali che buttano
a terra. Uno di loro viene chiamato “Ferro” (Alfonso Benedetti - n.d.a.)
dagli altri due. Questi prende un giovane in borghese e gli fa levare i calzoni,
mi sembra di colore marrone, e una maglia grigia e lo lascia così seminudo,
mentre un altro suo compagno comincia a percuoterlo col calcio del mitra. Un
prigioniero di circa trent'anni, alto e magro, si lancia in difesa del giovane,
ma viene freddato da una raffica di mitra. Cade vicino a me e il sangue cola
dalla faccia orrendamente sfracellata. Tutti urliamo. “Ferro” leva le scarpe al
caduto e fa per andarsene, ma prima di uscire raccoglie gli indumenti presi al
giovane e spara una raffica a casaccio che colpisce due di noi in modo non
grave. Dopo poco viene dentro un altro e ci dice di portar fuori i morti.
Nessuno si muove. I due feriti si lamentano: uno è stato colpito a un braccio e
l'altro al ventre. Il partigiano esce e chiama altri compagni. Si sentono
continuamente spari. Entrano altri partigiani e fanno prendere da alcuni di noi
il cadavere di quello colpito in faccia e il ferito al ventre che si lamenta e
non è più in grado di muoversi. Viene fatto prelevare per i piedi e trascinare
fuori. Io sono in un angolo insieme a quello spogliato, e ci stringiamo vicini.
Sentiamo una raffica e poi i partigiani se ne vanno. Restiamo soli e uno si leva
la camicia per fasciare il braccio del ferito che perde sangue. Si sentono
sempre raffiche e colpi singoli. A un tratto sentiamo delle urla. Vengono i
partigiani e ci fanno uscire per unirci ad altri prigionieri che ci aspettano
fuori. Uscendo, noto per terra i corpi del primo caduto e vicino quello del
ferito al ventre, al quale hanno sparato una raffica in faccia. Un partigiano
chiamato “Barba” dagli altri (Enrico Chiarin
- n.d.a.) mi dice di rientrare a prendere
il pacco di giornali. Eseguo e torno fuori. Ci uniscono al gruppo di prigionieri
di prima, che presentano tutti segni di bastonature alla faccia. Si muovono a
stento e si lamentano. Io accuso sempre di più nausea allo stomaco e cammino con
difficoltà perché ho le scarpe un po' grandi e sono senza calze. Un partigiano
mi vede e dice a un compagno che “Mandrake” mi sta cercando. Un prigioniero mi
dice che stiamo all'interno della cartiera Burgo di Mignagola: un nome che
resterà per sempre impresso nella mia mente. Mentre passiamo vicino a un grande
mucchio di carbone, un partigiano chiama Rino, il poliomielitico, e,
schernendolo, gli dice: “Tu che sei bravo a camminare, sali su quel mucchio di
carbone. Se arrivi in cima sei salvo!”. Il poveretto comincia a salire, ma
scivola sempre, finché una raffica di mitra lo abbatte. Siamo terrorizzati. Ci
buttano all'interno di una piccola stanza dove c'è della paglia in terra: è
umida. Ci fanno sedere sopra. Sento che i calzoni mi si appiccano al terreno.
Tocco con la mano, perché mi sembra lubrificante. Una lieve luce accesa in alto
illumina l'ambiente. Sollevo la mano imbrattata di una poltiglia maleodorante.
“È sangue!”, grida un altro e siamo sempre più terrorizzati. Io ho una sete da
impazzire. Poi entra un gruppo di partigiani che ci dicono che è arrivata l'ora
di cena e ci ordinano di mangiare i giornali che ci hanno fatto portare dentro.
Ci guardiamo stupiti. Uno di noi si mette perfino a ridere. I feriti alla faccia
si lamentano, ma non si muovono o quasi. Allora i partigiani cominciano a
colpirci col calcio del mitra. Io vengo colpito alla mascella destra e sento che
una parte di dente mi si è rotta. Sputo il pezzo d'osso insieme a sangue, e in
quel momento mi buttano in mano un giornale e mi obbligano a mangiarlo. Vedo che
si tratta della rivista tedesca “Signal”. Faccio piccoli pezzi e li mastico a
lungo fino a che li sento poltiglia. È difficile ingoiarli, ma continuo insieme
agli altri, mentre i partigiani, che stanno bevendo dei fiaschi di vino, si
stanno ubriacando. A un tratto un partigiano mi trasferisce in una saletta dove
vedo attrezzature per i pompieri e lì mi interrogano. Faccio fatica a parlare
perché ho sete. Chiedo da bere. Hanno parecchi fiaschi di vino dai quali bevono
a garganella. Prendono una gavetta sporca e versano del vino. Stupisco, vedendo
che non mi danno da bere dal fiasco come fanno loro. Penso che faccio loro
schifo per come sono così giallo. Ma non è questo il motivo. Nella gavetta dove
c'è il vino a me destinato, a turno, sputano e poi l'ultimo, tra le risate
generali, ci orina dentro. Mi rifiuto di bere, ma mi danno un forte pugno e sono
costretto a farlo. Mi fa schifo, ma provo anche un certo sollievo, perché ho
tanta sete. Cominciano l'interrogatorio tra insulti e ceffoni. Rispondo poco e
frammentariamente perché la nausea sale più forte e comincio a rimettere. Mi
sbattono con la faccia su quanto ho rimesso e uno dice: “Facciamolo fuori!”.
Allora decidono di portarmi nella stanza dov'ero stato prima con gli altri
prigionieri. Mi chiudono dentro al buio e non vedo nulla, perché ormai è notte.
Cerco di trovarmi un posto dove sdraiarmi, ma mi accorgo di non essere solo,
allungo le mani mentre un fetore mi colpisce e sento nuovamente il desiderio di
vomitare. Sotto le mani trovo degli indumenti bagnati e attaccaticci e... sotto
dei corpi inerti. Mi pare di sognare, non capisco niente e mi sembra
d'impazzire... Sono stato tutta la notte a pregare, a pensare, vomitare e
cercare di rendermi conto di quanti corpi erano chiusi con me in quella
stanza... La mattina dopo mi svegliai quando c'era già il chiaro del giorno.
Sentii spari e poi, finalmente, la porta si aprì. Un partigiano venne dentro e
si stupì nel vedermi vivo tra tutti quei morti. Erano tutti i prigionieri
rinchiusi con me la sera precedente, prima che mi trasferissero nel locale dei
pompieri. Mi chiese come mai ero lì vivo e poi mi disse di andare fuori con lui.
Lì c'era un camion con un gruppo di prigionieri tedeschi in divisa. Li fece
scendere, mi mise fra di loro e ci fece caricare i cadaveri sul camion. Ne
contai circa 25-28. Poi il camion partì. Avevo notato che quasi tutti i cadaveri
avevano la faccia sfracellata. Penso che li avessero sfigurati così per
impedirne in seguito l'identificazione. Poi, insieme ai tedeschi, venni condotto
in altra stanza più pulita e restai con loro tutta la giornata senza particolari
fatti da ricordare. Verso mezzogiorno ci portarono del pane e un bidone di acqua
sporca e mangiai con loro. Si sentivano continuamente movimenti di automezzi,
sparatorie, urla e canti di avvinazzati. Verso sera sentii parlare in inglese ed
ebbi un tuffo al cuore. Forse erano arrivati gli “alleati” a prelevarci e il
tormento era finito. Questo pensiero mi colpì così forte che mi misi a piangere.
Ci fecero uscire e vidi un camion americano con la stella bianca e dei militari
americani che parlavano con i partigiani. Fecero caricare tutti i prigionieri
tedeschi sul camion e mi lasciarono giù perché ero “fascista” e non c'entravo
con loro. E se ne andarono senza di me. Mi rinchiusero nuovamente in una stanza
e mi lasciarono solo fino al giorno dopo. Di tanto in tanto sentivo spari e
urla. La mattina dopo nella mia stanza vennero introdotti altri prigionieri
tutti in abiti borghesi, tranne uno, in divisa di sottotenente della GNR di nome
Gino. Aveva i baffetti neri e parlava in dialetto lombardo (Lorenzi - n.d.a.). Tra
questi prigionieri c'erano tre triestini dei quali non ricordo il nome, che
parlavano in dialetto fra di loro. Mi presentai come fiumano e familiarizzammo.
Tra di noi c'era un ragazzo che si lamentava continuamente per dolori al ventre.
Gli chiedemmo perché si lagnasse e ci disse piangendo che gli avevano fatto
mangiare un distintivo fascista (si trattava
certamente dell’agente di PS Nicola Monaco - n.d.a.). Lo consolammo e io gli dissi che da piccolo avevo ingoiato una
moneta e che poi l'avevo defecata dopo una purga. Si rideva fra di noi per farci
coraggio. Ricordo un signore di circa cinquant'anni che si esprimeva in perfetta
lingua, sicuramente un laureato; non volle dirci chi fosse. Cominciò a parlarci
con molta calma e ci incuteva coraggio, dicendoci che sarebbe arrivata
sicuramente l'autorità ufficiale a por fine al massacro. Ci era molto simpatico.
A un certo punto venne dentro un partigiano tutto mascherato di fazzoletti
rossi, bandoliere e armi di tutti i tipi. Rivoltosi al signore di prima gli
chiese: “Di che banda sei?”, e quello: “Della banda d'Affori”. Tutti scoppiammo
in una risata. Il partigiano s'infuriò e gli sputò addosso. Non dimenticherò mai
lo sguardo di questo nostro amico. Fulminò il partigiano che, bestemmiando, se
ne andò. Noi ci congratulammo con questo signore che stava diventando un po' il
nostro capo. Ma poco dopo il partigiano entrò con un altro chiamato “Barba”
(Enrico Chiarin - n.d.a.) e lo fecero uscire. Prima di uscire ci salutò, diede
l'impermeabile che portava sulle spalle al giovane che aveva dovuto ingoiare il
distintivo, dicendogli che ormai a lui non sarebbe servito più. Ci salutò dando
la mano a tutti, mentre i partigiani gli intimavano di far presto, e nell'uscire
ci disse: “Coraggio, lo facciamo per l'Italia!”. Quando poco più tardi uscimmo,
trovammo il suo corpo spogliato degli indumenti e intriso di sangue. Il giovane
lo coprì col suo impermeabile e noi ci avviammo coi partigiani in altra parte
dello stabilimento. Non riuscii mai a sapere chi fosse... Ci portarono davanti a
una vasca e ci fecero attendere. Vennero in circa una quindicina e cominciarono
a picchiarci con i bastoni. Tra i nuovi arrivati notai due che stavano in
disparte a parlare tra di loro. Io gridavo e dicevo che dovevano lasciarmi
perché dovevo andare da “Mandrake” (un
partigiano che aveva sentito nominare, ma del quale ignorava ogni cosa -
n.d.a.). E finalmente cessarono di colpirmi
e mi chiesero perché dovevo andare da “Mandrake”. E io inventai dicendo che lui
mi voleva perché ero suo amico e che per questo non ero stato ancora ammazzato.
Mi misero tra i due che avevo visto appartati e, dopo aver colpito a morte i
prigionieri, li finirono a colpi di mitra. Io restai allibito e svenni. Quando
rinvenni mi trovai a terra vicino a quei due partigiani che erano stati
testimoni del massacro senza intervenire in alcun modo e mi accorsi che stavano
parlando fra loro in lingua slava. Conoscendo il croato, mi misi a parlare con
loro: erano due prigionieri russi fuggiti e passati ai partigiani. Uno disse di
essere commissario politico della Brigata Wladimiro (il capitano Walter Sadicov - n.d.a.) che aveva operato sul Cansiglio. Parlammo insieme..., mi
portarono in una stanza..., mi fecero brindare al 1° maggio..., mi diedero uova
sode, del pane e del vino..., poi vennero a prendermi i partigiani italiani e
sempre dicevo che mi voleva “Mandrake”. Alla sera mi unirono ad altri
prigionieri e ricominciarono le legnate. Verso le 10 o anche più tardi
cominciarono a farci uscire uno alla volta e poi si udivano urla e spari e io
sempre aspettavo che giungesse il mio turno. A un tratto venne un partigiano e
mi chiamò: “Cinese, vieni fuori!”. Andai fuori con lui, ma ero assente, non
capivo quasi nulla, camminavo come un automa. Arrivai davanti a un gruppo di
partigiani, tra cui riconobbi quello che era venuto a prelevarmi a casa. Era
lui, “Mandrake” (Alfonso Moratto -
n.d.a.)! Mi fece levare le scarpe e rimasi
a piedi nudi. Mi fece levare i calzoni e la giacca e rimasi col pigiama che
avevo sotto il vestito, quando erano venuti a prelevarmi a casa dal letto dove
mi trovavo ammalato. Si misero a deridermi e mi dissero di correre nel cortile
illuminato. Non sentivo neanche il dolore ai piedi. Sentivo colpi singoli che mi
rincorrevano e io correvo mentre “Mandrake” sghignazzava. A un tratto, mentre
stavo per cadere, sentii raffiche fortissime e urla concitate e caddi a terra
inciampando. Quando mi rialzai, vidi i partigiani con le mani alzate, mentre un
gruppo di soldati inglesi li stava disarmando. Gli inglesi mi presero con loro
insieme agli ultimi prigionieri rimasti vivi e ci trasferirono in una loro
caserma...».
Verso la metà di maggio del 1945, al tribunale di Treviso giungono
le prime denunce dei familiari delle vittime. Sempre di quei giorni è anche un
rapporto dei carabinieri di quella città alla Procura che segnala il massacro
alla cartiera. In particolare vengono indicati dalla Benemerita i luoghi dove
alcuni uccisi risultano esser stati sepolti: «Nei pressi della cartiera di
Carbonera, nel campo di certo Moro Romeo, risultano sepolti, in una fossa
comune, cinque cadaveri. - Nell’appezzamento di terra sito dietro la chiesa di
Mignagola sono sepolti tre cadaveri. - Nel cimitero di Pezzan di Carbonera un
cadavere. - Nelle immediate adiacenze dell’abitato di Mignagola risulterebbe
sepolto un numero rilevante di cadaveri che il parroco del luogo vorrebbe far
ascendere a un centinaio. - Tra i comuni di Breda e Maserata risulterebbero
sepolti in un campo di granoturco circa trenta cadaveri».
Qualche giorno dopo, esattamente la mattina del 6 giugno, il
giudice istruttore Giovanni Berlanda, assistito da un cancelliere e alla
presenza del dottor Antonio Gardelin, procede all'esumazione e all'esame esterno
dei cadaveri sepolti nelle adiacenze della cartiera e in prossimità del raccordo
ferroviario. Presente è anche Vittorio Battistella, della cui attività di
becchino della banda partigiana si è già detto.
Vengono scavate tre fosse: la prima contenente un solo cadavere, la
seconda nove, la terza undici. Il riconoscimento avviene solo per le salme di
Pietro Mion, Luigi Mion, Candido De Biasi, Massimo Fontebasso e Rino Carniato;
gli altri sono irriconoscibili. Gli assassini hanno infatti provveduto, oltre ad
asportare vestiti e documenti, a cospargere sul volto delle vittime calce viva e
acido muriatico, al fine di rendere impossibile ogni identificazione. La ricerca
viene quindi sospesa per riprendere nuovamente il 7 giugno.
In quella data vengono scoperte altre due fosse — la prima con
undici cadaveri, l'altra con quindici — ma nessuno viene riconosciuto. Quindi,
nuova sospensione e ripresa degli scavi il giorno successivo, 8
giugno.
Nella sesta fossa vengono rinvenute venti salme, di cui due di
donna, con caratteristiche simili alle precedenti agli effetti della
riconoscibilità.
Dopo un'ennesima sospensione, si riprende a scavare il giorno 15
giugno, alle ore 10, alla presenza del giudice istruttore Mario Alberghetti.
Dalla settima fossa vengono riesumati undici cadaveri, nessuno dei quali viene
riconosciuto. I ricercatori si recano allora nel campo di proprietà di Romeo
Moro dove da una fossa (l'ottava) emergono altri cinque cadaveri.
In totale, dunque, ottantatré salme. Non si ha a tutt'oggi notizia
di ricerche e scavi effettuati dietro la chiesa e nei campi fra Breda e
Maserada, luoghi nei quali il citato rapporto dei carabinieri segnalava la
presenza di altre salme.
Intanto, a pagina 435 del registro dei morti della parrocchia di
Carbonera, il parroco don Ernesto Dal Corso annota: «Ad perpetuam rei
memoriam».
«Nella ricorrenza della liberazione dell’Italia dal Fascismo e
dai Tedeschi, cioè dal 27 aprile al 30 aprile 1945, in località Cartiera Burgo
di Mignagola di Carbonera, fu costituito un tribunale di partigiani (non so con
quanta legalità) presieduto da alcuni partigiani in parte di questa parrocchia
(Carbonera), quali Roberto Polo, Giovanni Brambullo, Antonio Sponchiado... e
altri in parte estranei, i quali giudicarono molti fascisti o indiziati
fascisti, molti dei quali furono uccisi a colpi di mitraglia o dentro le stanze
degli uffici della cartiera, oppure allineati lungo le mura. Quante siano state
le vittime, nessuno lo può accertare, perché nessuno poté essere presente, e
neppure l’assistenza del sacerdote, richiesta da parecchi sacerdoti e dal
parroco, fu permessa (i componenti il tribunale fantasma erano tutti comunisti).
Le salme, dopo essere state depredate del denaro e in parte degli indumenti... e
di tutti i documenti, furono sepolte lungo il tronco di ferrovia che va alla
cartiera, sotto un po' di terra e l’una sopra l’altra. Alcuni giorni dopo furono
risepolte in fosse lunghe e senza cassa, ma allineate. Per interessamento di sua
eccellenza il vescovo Mantiero, il Comando militare di Piazza ordinò la
riesumazione, e incaricati di ciò furono il medico provinciale dell’ospedale
militare, il tribunale e il parroco locale. Furono scavate in otto giorni ben
ottantatré salme e, poste in casse di legno, furono trasportate nel cimitero di
Carbonera, nella parte che va dal campanile alla strada, in tre fosse lunghe.
Dalle salme furono prelevati dei lembi di vesti, o altri indizi per
l’identificazione eventuale delle salme, cose che furono trasportate in busta
segnata con un numero, pari al numero della cassa, che si trova qui, in ospedale
militare. Le salme identificate furono pochissime, perché i documenti furono
bruciati dai componenti il tribunale. Furono identificati i quattro di Candelù,
uno da Pezzan, Carniato... Fra le salme ce ne sono due di donna. - Sac. Ernesto
Dal Corso».
Nel documento, consegnatoci con qualche mutilazione dall'attuale
parroco di Carbonera, sono contenute alcune inesattezze che lo stesso Dal Corso
provvederà a rettificare — come vedremo — nella successiva deposizione davanti
ai giudici trevigiani.
Riguardo poi all'accenno all'interessamento del vescovo di Treviso
per la riesumazione dei cadaveri, vi è da osservare che non si ha traccia di
interventi del prelato per far cessare i massacri dei quali non poteva non
essere a conoscenza. Ben diverso zelo monsignor Mantiero, come s'è visto,
profuse nella liberazione di alcuni sacerdoti arrestati per collaborazionismo
con i partigiani, oppure per la liberazione di venticinque ostaggi catturati dai
tedeschi a Carbonera dopo l'impiccagione da parte dei partigiani dei due
soldatini germanici che andavano a uova o, ancora, per la liberazione dei
“Falchi delle Grave” catturati dalla X MAS il 18 novembre 1944 a Maserada e
portati a Conegliano.
Il numero delle salme identificate, che al momento delle prime
esumazioni erano solo cinque, accrebbero via via nel corso degli anni. Siamo qui
in grado di fornire i nomi di parecchi trucidati, elenco evinto dalla
documentazione esistente presso il tribunale di Treviso, l'ufficio anagrafe del
comune di Carbonera e l'archivio privato del compianto consulente storico
Pieramedeo Baldrati di Como. A questo primo elenco ne segue un altro, con i nomi
di uccisi accertati la cui salma non fu identificata:
1. |
Annichiarico Fedele, anni 55, da Grottaglie (Taranto),
archivista, cap. 620° Com. Prov. GNR, ucciso ...?...
|
2. |
Brunelli Guido, anni 40, Forlì. operaio, Btg. “Romagna”,
ucciso 30 aprile 1945
|
3. |
Carniato Rino, anni 29, Carbonera, fattorino, ucciso 29
aprile 1945
|
4. |
Celussi Mario, anni 27, Monastier (Treviso), pescatore,
ucciso 2 maggio 1945
|
5. |
Collotti Gaetano, anni 28, Castelbuono (Palermo),
vicecommissario di PS, ucciso 28 aprile 1945
|
6. |
De Biasi Candido, anni 34, Maserada (Treviso), agricoltore,
ucciso 28 aprile 1945
|
7. |
Esci Giovanni, anni 46, Dolo (Venezia), operaio, ucciso 27
aprile 1945
|
8. |
Faedi Antonio, anni 23, Cesena (Forlì), falegname, milite
GNR, ucciso fine aprile 1945
|
9. |
Fontebasso Massimo, anni 50, Maserada, guardiano idraulico,
ucciso 28 aprile 1945
|
10. |
Galli Illio, anni 20, Treviglio (Bergamo), studente,
sottotenente “Romagna”, ucciso 4 maggio 1945
|
11. |
Lorenzi Luigi (Gino), anni 20, Bergamo, studente,
sottotenente “Romagna”, ucciso 4 maggio 1945
|
12. |
Manfredi Duilio, anni 22, Pescaglia (Lucca), operaio, ucciso
26 aprile 1945
|
13. |
Mariotti Augusto, anni 46, Mercato Saraceno (Forlì), ucciso
fine aprile 1945
|
14. |
Mariotti Candido, anni 20, nato in Francia, figlio del
precedente, ucciso fine aprile 1945
|
15. |
Menegaldo Angelo, anni 30, Monastier (Treviso), impiegato,
ucciso 2 maggio 1945
|
16. |
Mion Luigi, anni 37, Maserada, sottufficiale Marina, ucciso
29 aprile 1945
|
17. |
Mion Pietro, anni 46, Maserada, agricoltore, ucciso 28
aprile 1945
|
18. |
Montanari Lorenzo, anni 41, Cesena (Forlì), impiegato,
ucciso fine aprile 1945
|
19. |
Pessot Angelo, anni 44, Mansuè (Treviso), milite Brigate
Nere, ucciso 30 aprile 1945
|
20. |
Reffo Vasco, anni 19, Selvazzano Dentro (Padova), meccanico,
milite 620° Com. Prov. GNR, ucciso 30 aprile 1945
|
21. |
Scarano Rocco, anni 23, Lacedonia (Avellino), insegnante,
tenente GNR, ucciso 3 maggio 1945 (?)
|
22. |
Schileo Carlo, anni 23, Villorba (Treviso), meccanico,
ucciso 30 aprile 1945
|
23. |
Seliskar Rado, anni 32, Lubiana (Jugoslavia), ufficiale di
PS, ucciso 28 aprile 1945
|
24. |
Spellanzon Armida, anni 41, Vazzola (Treviso), impiegata,
ausiliaria GNR, uccisa 28 aprile 1945
|
25. |
Spinelli Enzo, anni 20, Reggio Calabria, studente,
sottotenente 620° Com. Prov. GNR, ucciso 3 maggio 1945
|
26. |
Testa Mario, anni 20, Bergamo, studente, sottotenente
“Romagna”, ucciso 4 maggio 1945
|
27. |
Villani Vito, anni ..., Portogruaro (Venezia), ucciso
...?...
|
Caduti
non
identificati
1. |
Bellio Giacomo Arturo, anni 22, Carbonera, ceramista, milite
GNR, ucciso 4 maggio 1945
|
2. |
Calantore Fiorenzo, anni ..., provincia di Napoli, milite
GNR, ucciso ...?...
|
3. |
Campi Aldo, anni 19, Terni, milite Brigate Nere, ucciso 30
aprile 1945
|
4. |
D'Alessandro (o Alessandro) Nicola, anni 24,
..., ucciso ...?...
|
5. |
Faccini Teseo, anni ..., ..., milite GNR, ucciso
...?...
|
6. |
Facco Mario, anni 26, S. Giustina in Colle (Padova), marò X
MAS, ucciso ...?...
|
7. |
Fattorello Fioravante, anni 24, Chiarano (Treviso),
bracciante agricolo, milite Brigate Nere, ucciso 30 aprile
1945
|
8. |
Ferri Ciro, anni 30, ..., ucciso
...?...
|
9. |
Ferro Vincenzo, anni 33, Pietraperzia (Enna), agente PS,
ucciso ...?...
|
10. |
Fontebasso Tullio, anni 18, Maserada, studente, milite GNR,
ucciso 4 maggio 1945
|
11. |
Francesconi Pietro, anni 30, Montenovo di Montiano (Forlì),
insegnante, ucciso 30 aprile 1945
|
12. |
Franzin Mario, anni 22, Cessalto (Treviso), bracciante
agricolo, milite Brigate Nere, ucciso 30 aprile 1945
|
13. |
Frassani Dino, anni 29, Genova, impiegato, ucciso 30 aprile
1945
|
14. |
Frasson Narciso, anni 19, Preganziol (Treviso), milite
Brigate Nere, ucciso 30 aprile 1945
|
15. |
Giuffrida Salvatore, anni 26, ..., ucciso
...?...
|
16. |
Linari Umberto, anni 38, Borgo Tossignano (Bologna),
falegname, ucciso fine aprile 1945
|
17. |
Martorelli Pierina (la donna incinta uccisa con i triestini
- episodio citato), ..., ..., uccisa 28 aprile 1945
|
18. |
Mignacca Alessandro, anni ..., ..., agente di PS, ucciso
...?...
|
19. |
Minguzzi Alberto, anni ..., ..., aviere scelto, ucciso
...?...
|
20. |
Monaco Nicola, anni 25, Caserta, agente di PS, ucciso 1°
maggio 1945
|
21. |
Morani Benito, anni 22, Magenta (Milano), studente,
sottufficiale X MAS, ucciso 8 maggio 1945
|
22. |
Mufato Ferdinando, anni 20, Carbonera, operaio, milite GNR,
ucciso 4 maggio 1945
|
23. |
Paccon Bruno, anni ..., ..., agente di PS, ucciso
...?...
|
24. |
Paccosi Bruno, anni 27 (come anzidetto, potrebbe essere il
Paccon)
|
25. |
Padovan Mauro, anni ..., ..., ucciso
...?...
|
26. |
Pianca Emilio, anni 41, Godega S. Urbano (Treviso), guardia
municipale, ucciso ai primi di maggio 1945
|
27. |
Poggi Mario, anni ..., ..., milite GNR, ucciso
...?..
|
28. |
Polesel Antonio, anni 35, Codognè (Treviso), calzolaio,
ucciso 3 maggio 1945
|
29. |
Saccani Franco, anni 15, Aosta, studente, marò X MAS, ucciso
il 29 o il 30 aprile 1945
|
30. |
Sartori Giovanni Battista, anni 19, Spresiano (Treviso),
studente, marò X MAS, ucciso 8 maggio 1945
|
31. |
Tiveron Enrico, anni 34, Preganziol (Treviso), agricoltore,
milite Brigate Nere, ucciso fine aprile 1945
|
32. |
Vergani Luigi, anni 23, Milano, milite RSI, ucciso fine
aprile 1945
|
33. |
Vocialta Guido, anni 24, Salgareda (Treviso), sottotenente X
MAS, ucciso il 2 o il 3 maggio 1945
|
34. |
Zamboni Luigi, anni 34, Laives (Bolzano), manovale, milite
GNR, ucciso 5 maggio 1945
|
Elenco delle donne civili assassinate da partigiani in Cuneo e provincia, elenco tratto da una pubblicazione dell'A.N.P.I., praticamente una piccola distrazione...
ELENCO NOMINATIVI ACCERTATI:
1) AGNEW AGNES GRACE, di Ennio
Boats, nata a Londra il 17/01/1902, residente in Gran Bretagna, benestante,
soppressa da partigiani il 13/08/1944 nei pressi del cimitero di Casteldelfino,
per cause non precisate ma probabilmente, anche se nel dopo guerra i partigiani
parleranno di “errore”, con il solito sospetto di “spionaggio” praticato ai loro
danni. Per anni il corpo rimase sepolto fuori le mura del cimitero. (Vite
Spezzate n. 157)
2) ALBENGA
ANNA, di Clemente, nata a Torino il 23/09/1900, prelevata dalla propria
abitazione a Dronero il 30 Dicembre 1943 e soppressa assieme a Millone Oreste,
Commissario Prefettizio del PFR di Dronero, lei era la Fiduciaria del Fascio
Femminile di Dronero. I funerali si tennero il 2 Gennaio a Torino. (Vite
Spezzate n. 278)
3)
ALLISIARDI ANNA LUIGIA, di Giovanni, n. a Saluzzo il 23/03/1922, residente a
Costigliole Saluzzo, operaia, arrestata dai partigiani della 181° Brigata
Garibaldi e condotta alla loro base per l'interrogatorio, soppressa dagli stessi
durante un attacco tedesco alla base partigiana, cfr. Tesi di Laurea di Milva
Rinaudo "Civili e partigiani nella resistenza in Val Varaita". Nell'elenco
dell'istituto della resistenza di Cuneo è inserita come partigiana della XI
Divisione Cuneo e risulta inserita come caduta partigiana nell’organico della
181^ Div. Garibaldi Morbiducci in Vite Spezzate al n. 446. Lo storico Marco
Ruzzi nel suo libro “Garibaldini in Val Varaita, 1943-1945, tra valori e
contraddizioni”, è piuttosto ambiguo (forse non può esporsi più di tanto) sulle
cause che determinarono la morte della donna “decede durante la sparatoria...
riconosciuta come partigiana caduta da parte della 181° sebbene sia stata
condotta al distaccamento “Morre” proprio per essere interrogata circa alcuni
comportamenti sospetti. Infatti, secondo alcune testimonianze, sembra che la
Allisiardi intrattenesse rapporti anche con i comandi repubblicani.” e pur
citando la tesi di laurea della Rinaudo che è ben più esplicita sul fatto, non
va oltre nell’analisi del fatto. Dispiace perché questo giovane storico lascia
anche intravedere una certa obiettività storica nel suo lavoro ma evidentemente
ci sono dei limiti che neppure lui può permettersi di scavalcare. (Vite Spezzate
n. 446)
4) AMODEO
MARIA MARGHERITA vedova ROSSI, “Il 23 Gennaio 1945 in Roddi D’Alba veniva
fermata e portata al distaccamento certa Margherita Rossi, sospetta spia ai
danni della nostra causa. ... La sera stessa alle ore 16 nei pressi di Perno
veniva giustiziata mediante fucilazione al petto. Veniva in seguito sotterrata
nel cimitero di Perno. Si è in seguito provveduto ad avvisare mediante manifesto
la popolazione di Roddi D’Alba”. Cfr. Relazione del 28 Gennaio 1945,
Distaccamento “Bessonat” 48° Brigata D’Assalto “Dante Di Nanni” (non presente in
Vite Spezzate)
5) ANCHINO
TERESA in BIGLIONE, di Giovanni, nata a Fossano il 28/10/1909 ivi residente,
casalinga, assassinata da partigiani con la figlia Biglione Lucia di 17 anni il
22 Marzo 1945 a Fossano. Il marito Biglione Bartolomeo era stato soppresso un
mese prima dagli stessi partigiani. Nelle memorie “Toselli” le uccisioni sono
collocate a Centallo. (Vite Spezzate n. 530)
6) ANZOLA
in BATTISTON FRANCESCA MARIA, di Angelo, nata a Torino il 16/12/1903,
coniugata Battiston, soppressa dai partigiani nel Gennaio del 1945 assieme alla
madre Casale Maria di anni sessantotto in Serravalle Langhe. Risultarono
imputati i partigiani E. V. da Torino, L.G. da Serravalle Langhe, E.G. da
Livorno e Donato Sobrero (deceduto) per omicidio e per violenza carnale, nei
confronti della Anzola. Le due donne furono prelevate da Sinio da dove erano
sfollate da circa due anni e assassinate per generiche accuse di “spionaggio” e
per avere, la Anzola, due fratelli arruolati nella RSI ed il padre lavoratore in
Germania. Inoltre come prova i partigiani dichiararono al processo del 1955
tenutosi a Cuneo, che nella loro abitazione furono rinvenuti ritratti di Hitler
e di Mussolini e documenti “fascisti” oltre le foto dei due fratelli in divisa
repubblicana. Si dice, il giudice del Tribunale di Cuneo lo accenna nella
sentenza, che i partigiani oltre a violentare la Anzola, invitassero anche i
giovani del paese a fare altrettanto, ma “non potè raccogliere prove in
proposito” fatto indicato solo dalla “voce pubblica”. Comunque, come affermò
il giudice nella sentenza, non era nemmeno importante sapere se le due donne
erano effettivamente dedite alla delazione, i partigiani ne avevano le ragioni
per pensarlo quindi tutti assolti perchè “azione di guerra non punibile a
termine delle Leggi Comuni, a senso e per il disposto dell’articolo unico del
D.L.L. 12 Aprile 1945. N. 194 in quanto compiuto da patrioti (tali sono infatti
i pervenuti) ai fini della guerra di liberazione.” (Vite Spezzate n.
578)
7) ARLORIO
MARIA, di Giovanmaria e di Aragno Teresa n. a Cherasco il 07/06/1903 ivi
residente in Via Roma 13, casalinga, fucilata nei pressi del Cimitero di
Cherasco il 25 Marzo 1945 dal distaccamento "Vincenzino" della 48° Brigata
Garibaldi "Di Nanni", "siccome Ausiliaria. delle brigate nere" Cfr. “L’Altro 25
Aprile” p. 79. (Vite Spezzate n. 657)
8) ARNAUDO
PAOLA, di Carlo, n. a Cuneo il 07/07/1922, residente a Cuneo, soppressa dai
partigiani in località Pradleve di Valle Grana, il 10/03/1945, indicata
Ausiliaria RSI in Vite Spezzate al n. 709
9) ARRO’
ELENA, di Domenico, n. a Villanovetta il 06/07/1925, casalinga, residente a
Piasco, “fucilata” dai partigiani a Piasco il 13 Giugno 1944 con l’accusa di
“spionaggio”, cfr. Tesi di Laurea di Milva Rinaldo "Civili e partigiani nella
resistenza in Val Varaita" (Vite Spezzate n. 745)
10)
BALESTRA MARIA in MALASINA, di Giacomo, n. a Carrù il 27/06/1923, residente
a Serravalle Sesia, casalinga, uccisa da partigiani a Nella Belbo il 17 Aprile
1944, il cadavere rinvenuto il 21 Aprile a Gorzegno. Cfr. Biglietto Urgente di
Servizio della Questura di Cuneo del 26/04/1944 al Ministero degli Interni;
Notiziario GNR. p. 68 (Vite Spezzate n. 966)
11) BARALE
MARIA, di Bartolomeo, nata a Cannes (Francia) il 09/11/1922, Ausiliaria
della RSI, fucilata a Cuneo in Piazza Torino angolo Corso Stura nel massacro del
3 Maggio 1945 assieme al fratello Barale Giovanni ed altre 26 persone, su
sentenza del “Tribunale del Popolo” in quanto Ausiliaria della Brigata Nera,
senza accuse specifiche. (Vite Spezzate n. 1083)
12)
BARUCCHI KELEMEN ELENA, di Pietro. n. a Briga Marittima il 04/05/1901,
Ausiliaria della RSI, soppressa da partigiani in territorio di Briga Marittima
il 6 Agosto 1944, senza specifiche accuse ma era Ausiliaria della RSI, citata in
“Piemonte Repubblicano” del 16 Dicembre 1944. (Vite spezzate n.
1287).
13) BASSINO
LUCIA, nata a Canale il 07/09/1883 ivi residente, casalinga, non si
conoscono i motivi per cui venne soppressa dai partigiani il 8 Settembre 1944 a
Canale. (Vite Spezzate n. 1302)
14)
BELLIARDO ANNA, di Giuseppe, n. a Grasse (Francia) il 20/10/1928 occupata
presso la BN "Resega" come aiuto-cucina, abitante in Dronero via Cavour 11,
arrestata e “processata” dalla polizia partigiana della 104° Brigata Garibaldi
"C. Fissore" per spionaggio, per questo uccisa assieme Belliardo Maria a
Roccabruna il 15 Febbraio 1945 Cfr. “L’Altro 25 Aprile” p. 77-78. (Vite Spezzate
n. 1499)
15)
BELLIARDO MARIA, fu Pietro di anni 44, residente a Dronero in Via Cavour 15,
arrestata e “processata” dalla polizia partigiana della 104° Brigata Garibaldi
"C. Fissore" per spionaggio, per questo uccisa assieme Belliardo Anna a
Roccabruna il 15 Febbraio 1945. Cfr. “L’Altro 25 Aprile” p. 77-78. (Vite
Spezzate n. 1506)
16)
BELTRAMO LUCIA, di Tomaso, n. a Barge il 19/07/1923 ivi residente,
domestica, soppressa con Re Caterina nella notte tra il 18 ed il 19 Marzo 1945
dai partigiani E.M. da Envie e M.A. da Virle Piemonte con la generica accusa di
spionaggio “senza peraltro essere in grado di dare alcun ragguaglio circa
fatti specifici di spionaggio dei quali le predette fossero accusate”
riporterà il giudice nella sentenza del processo intentato contro gli assassini
(Tribunale di Cuneo, Corte di Assise, Sentenza del 24 Novembre 1953), anzi il
comando partigiano aveva in seguito ammesso la loro innocenza in quanto
l’uccisione delle due ragazze era dovuta ad un errore “provocato in parte
dalla condotta delle ragazze stesse, in parte dalla precipitazione del “Moretta”
... ed in parte dall’attività di qualche componente la Brigata... che aveva
agito per rancori personali o per istigazione di qualche altro” ed aveva
dato un piccolo indennizzo alle famiglie delle vittime. Le due donne vengono
anche derubate di portafoglio, oggetti vari e delle scarpe: le scarpe il
partigiano M.A. le regalò alla sorella Margherita. I partigiani al processo si
difenderanno dicendo che avevano agito su ordine di "Moretta" alias Carlo
Broccardo (deceduto) e saranno allora assolti "per aver agito
nell'adempimento di un dovere imposto da un ordine superiore” “Perché i
partigiani erano dei militari come tali riconosciuti e come tali sottoposti a
disciplina militare che non consente al inferiore alcun sindacato sull’ordine
ricevuto. Tutti i regolamenti di disciplina militare stabiliscono che
l’obbedienza deve essere pronta ed assoluta”. Vedi anche Quotidiano Gazzetta
del Popolo di Torino del 24 Novembre 1953. (Vite Spezzate n. 1570)
17) BENINO JOLANDA in ASCHERI,
mancano i dati anagrafici, si sa che fu soppressa da elementi partigiani nel
territorio del comune di Pietraporzio in un giorno imprecisato dell’Agosto del
1944.
Toselli nelle sue note, probabilmente
equivocando, la considera fucilata a Caraglio il 1 Maggio del 1945, la stesso
giorno in cui il marito Ascheri Vincenzo ed il figlio Ascheri Francesco di 15
anni vennero soppressi dai partigiani a San Sebastiano di Cuneo lungo la
scarpata ferroviaria (Vite Spezzate n. 1612)
18) BERETTA SAVINA, da
Ponticello (CO), nata nel 1898, nel 1955 la sorella Orsola scrive al sindaco del
comune di Cuneo per identificare la salma di una donna uccisa da partigiani che
sospetta essere la sorella anch’essa soppressa da partigiani a fine aprile 1945
e il cui cadavere non fu mai rinvenuto. Della ricerca fu interessato dalla
sorella anche don Marabotto. I prete ritenne di identificare la Beretta Savina
nella foto di una donna uccisa da partigiani ritrovata il 10/01/1945 nel
territorio del comune di Busca, confinante con quello di Cuneo, il cui verbale
di ritrovamento recitava: “cadavere di sesso femminile dell’apparente età di
anni 20-25; statura m. 1,62; capelli castani ricci; occhi chiari; colorito
olivastro. – Segni particolari:piccola cicatrice sul setto nasale sinistro;
dente canino destro in oro bianco o argento.” Sono registrati inoltre nel
verbale i seguenti capi di indumenti reperiti sul corpo della defunta: sciarpa
fantasia; soprabito lana color caffelatte; vestaglia blu; alcune maglie di lana;
guanti di lana grigia; scarponcini a gambaletto senza chiodi e con legacci
bianchi; calze di seta marrone; sopracalze color marrone. Ma, concludeva la
lettera di risposta del sindaco di Cuneo:
Al confronto con la fotografia della
Sig.ra Beretta Savina e le due fotografie della sconosciuta, custodite
nell’archivio di codesto comune, non risultano rassomiglianze di sorta,
parimenti risultano evidenti discordanze tra i dati forniti dalla S. V. e quelli
del citato verbale. (non presente in Vite Spezzate)
19)
BERTAINA DOMENICA, di Domenico, n. a Saluzzo il 23/02/1912, casalinga,
prelevata assieme al marito Imbimbo Luigi e con lui soppressa da partigiani
della brigata Garibaldi "E. Carando" a Cervere il 10 Novembre 1944. (Vite
Spezzate n. 1792)
20) BERTONE GIOVANNA DOMENICA, di
Giacomo, nata a Cavour (TO) il 02/10/1925, ivi residente, casalinga, soppressa
da elementi partigiani di una brigata garibaldina assieme allo studente Pellizza
Gustavo nel territorio del comune di Barge il 22 agosto 1944. (Vite Spezzate n.
1946) fonte “BraOggi”
21) BIANCO GIOVANNA, di Battista,
nata a Rivoli (TO) il 23/06/1927, residente a Torino, casalinga, soppressa da
elementi partigiani nel territorio del comune di Sanfrè il 10 giugno 1944. Il
corpo sarà fatto ritrovare solo dopo la guerra, il 3 giugno 1945. (Vite Spezzate
n. 2043)
22) BILLONE
GIUSEPPINA MARIA PROVVIDENZA, di Aldo, nata a Palermo il 27/08/1918,
ausiliaria della RSI aggregata al reparto “Cacciatori degli Appennini”,
catturata da partigiani nel Settembre del 1944 nel territorio del comune di
Alba. La salma non fu mai ritrovata. Cfr. Dichiarazione di Morte Presunta del
Tribunale di Palermo su Gazzetta Ufficiale del 19/05/1962 e 24/02/1963
(dispersa, non presente in Vite Spezzate)
23)
BIGLIONE LUCIA, di Bartolomeo, nata a Fossano il 06/06/1927, ivi residente,
casalinga, assassinata da partigiani con la madre Anchino Teresa il 22 Marzo
1945 a Fossano. Il padre Biglione Bartolomeo era stato soppresso un mese prima
dagli stessi partigiani. Nelle memorie “Toselli” le uccisioni sono collocate a
Centallo. (Vite Spezzate n. 2105)
24) BO LUCIA CATERINA, di Giacomo, nata a S. Albano Stura il 24/06/1922, residente a Marene, casalinga, soppressa da elementi partigiani della 103° Brigata Garibaldi" Nannetti" a Santo Stefano Roero il 14 Aprile 1945 quale spia della Brigata Nera "rea confessa". Nel rapporto della brigata "E. Carando" del 25/06/1945 “Relazione attività operativa della Brigata” risulta fucilata a Monteu Roero. (Vite Spezzate n. 2200)
25) BODRERO MARIA CATERINA, di anni
41, uccisa da partigiani nella sua casa posta in Meira Tria n. 2 nel territorio
del comune di Melle il 5 gennaio 1945 perché sospettata, con la sorella
Domenica, uccisa due giorni dopo, di appartenenza al PFR. (non presente in Vite
Spezzate)
26) BODRERO DOMENICA, di anni 56,
uccisa nella sua casa posta in Borgata Giusiano Opaco n. 14, nel territorio del
comune di Melle il 7 gennaio 1945 perché sospettata, con la sorella Maria
Caterina, uccisa due giorni prima, di appartenenza al PFR. (non presente in Vite
Spezzate)
27) BOGGIO ELSA, di Michele, nata a
Torino il 01/09/1925, residente a Pinerolo, casalinga, soppressa da elementi
partigiani della 1° Divisione Garibaldi, nel territorio del comune di Bagnolo
Piemonte il 24 giugno 1944, nello stesso giorno dagli stessi partigiani furono
eliminati altri due civili: Martina Michele di Luserna San Giovanni e Crespo
Antonio, girovago, di Bagnolo Piemonte; non è chiaro se tutti assieme o
singolarmente. (Vite Spezzate n. 2314)
28) BONARDO CATERINA in TERRENO, di
Giorgio, n. Mondovì il 06/10/1897, residente a Carrù, casalinga, separata dal
marito da cinque anni, prelevata da partigiani a Carrù il 15 Dicembre del 1944
per “essere interrogata”, era considerata ostile al movimento partigiano. Fu
rinvenuta cadavere il 22 Dicembre sul greto del Tanaro in località “Bocche dei
Perticari” nel comune di Clavesana. (Vite Spezzate n. 2405)
29) BORGNA MARIA TERESA detta
LETIZIA, di Giuseppe, nata a Viola il 08/13/1908, residente a Niella Tanaro,
casalinga, fu prelevata da elementi partigiani unitamente a Chiecchio Margherita
e con lei uccisa in Val Casotto del comune di Pamparato il 9 Febbraio 1944. Non
si conoscono i motivi che portarono i partigiani a sopprimere le due donne ma
probabilmente si trattava della solita generica accusa di “spionaggio” cfr.
"Carrù in guerra" di Rino Viotto, (Vite Spezzate n. 2637)
30) BORLERO EMMA vedova MACCABEO, di
anni 67, da Canelli (Asti), prelevata dalla propria abitazione a Canelli e
portata al campo partigiano nei pressi di Santo Stefano Belbo, assassinata dal
partigiano G.R. a colpi di zappa. la fotografia in “Storia della guerra civile
in Italia” Vol. I p. 166. (non presente in Vite Spezzate)
31) BOTTERO ELISABETTA, di Gaspare,
n. a Frabosa Soprana il 02/07/1908, ivi residente, casalinga, soppressa da
partigiani a Roccaforte di Mondovì il 13 Ottobre 1944. Precedentemente i
partigiani avevano ucciso anche il fratello Angelo. (Vite Spezzate n.
2832)
32) BOZIC CARLA, di anni 30, nata a
Trieste, residente a Bra, eliminata da elementi partigiani a Bra gli ultimi
giorni di Maggio del 1945 nel bagno di sangue che seguì l’entrata dei partigiani
nella cittadina. Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto, (non presente in Vite
Spezzate ma al comune di Bra esiste l’Atto di Morte)
33) BRACCO CRISTINA vedova BARBERIS,
di Vincenzo, n. a Battifollo il 16/11/1891, prelevata a Battifollo dai
partigiani con il figlio Attilio, mentre vengono portatinal comando partigiano
il figlio, benchè ferito, riesce a fuggire, lei allora viene uccisa per
rappresaglia sulla strada per Bagnasco. Il motivo della sua uccisione risale al
fatto che aveva partecipato di nascosto ai funerali di Berruti Oreste ucciso dai
partigiani i quali avevano vietato alla popolazione di partecipare ai funerali.
"Per onorarne la memoria il consiglio comunale ha deliberato di includere il
suo nome fra i caduti civili dell'ultima guerra, considerandola vittima
innocente di vicende belliche che non sempre si mantennero nei limiti
dell'onesto e del necessario" cfr. "Nucetto nell'ultima guerra" di Carlo
Schiffo, 1963 vedi anche l’articolo su “La Stampa” del 18-19/03/1949 sulla
cronaca del processo contro due partigiani responsabili, Ezio Bovero e Carlo
Camilla (Vite Spezzate n. 2919)
34) BRIZIO PAOLA, di Ernesto, n. a
Pinerolo il 13/05/1912, residente a Sommariva, prelevata e fucilata in un bosco
il 13 Aprile 1945 la condanna a morte è conservata presso l’archivio "Ronchi
della Rocca" (cat. III, fas. 2, n. 7), sottoscritta dal "comandante della
Polizia" (partigiana?) "Franco" e indirizzata al "Comando di brigata". La
trascriviamo senza commenti, depurandola solo dagli errori di ortografia e
grammatica: “La signorina Brizio Paola di Ernesto, nata a Pinerolo il
13.5.1912, abitante a Sommariva Bosco (Cuneo), professione direttrice didattica,
è stata condannata a morte da questo Comando, per aver costituito di sua
spontanea volontà il Comitato dell’opera "Balilla" il giorno 15.1.1944 a
Sommariva Bosco. Dichiarò inoltre di aver giurato fedeltà alla Repubblica nel
maggio 1944. Dichiarò di essere sempre stata in stretta relazione col
commissario prefettizio Bossi, fascista sfegatato, che nel maggio 1944 si
trovava pure a Sommariva Bosco, rivestendo tale carica. Persone di nostra
fiducia ammettono di aver sentito la Brizio, in un suo discorso, pronunciare le
testuali parole: "Questi straccioni di partigiani sarebbe ora che la
finissero". (Vite Spezzate n. 3035)
35) BRONZINO PASQUALINA in MOLETTI,
di Giacinto, n. a Caprie (Torino) il 19/04/1915, coniugata Moletti, casalinga,
eliminata in frazione Mellea nell'occasione dell'uccisione del Segretario
Comunale di Marsaglia Roberto Pinto, da elementi partigiani V.R, A.P. e G.B che
saranno in seguito fucilati dai loro stessi compagni in seguito a contrasti
interni. (Vite Spezzate n. 3062)
36) BRUNELLO WILMA, di NN e Brunello
Maria, n. a Motta di Livenza (TV) di anni 20, residente a Milano, impiegata,
venne prelevata da partigiani dalla propria abitazione e soppressa nei pressi
del torrente Colla del comune di Peveragno il 17 Febbraio del 1945. Cfr. “Il
Piemonte Repubblicano” del 27 Febbraio 1945. Il 8 marzo 1945 nei pressi del
posto di blocco di Ponte Gesso di Cuneo verrà ucciso da un agente, che aveva
cercato di fermare, il partigiano Sbragia Franco, addosso al cadavere, oltre ad
una pistola spagnola “Lliana” cal. 9 lungo, vennero ritrovati i documenti della
Brunello e quelli del commissario Patrocollo Aldo assassinato assieme alla
donna. (Vite Spezzate n. 3079)
37) BRUNO MARGHERITA, di Vincenzo,
nata a Frabosa Sottana il 09/12/1912, residente a Entracque, insegnante, venne
uccisa ad Entracque il 14 Febbraio 1945 da partigiani che la uccisero nella
scuola dove insegnava davanti ai suoi alunni. Cfr. Memorie Toselli. (Vite
Spezzate n. 3154)
38) CANALE LUCIA vedova FALCO, di
Francesco, nata a Beinette il 16/01/1891, residente a Cuneo, casalinga,
soppressa assieme alla figlia Falco Margherita in località Tetti Barbero di
Cuneo. Cfr. “L’immane Sconquasso” p. 101 (Vite Spezzate n. 3456)
39) CANAVERO MARIA o MARIUCCIA (detta
Scampolo), di Giovanni, nata a Lesegno il 10/04/1921, ivi residente,
insegnante, fermata da elementi partigiani il 22 Febbraio del 1945 nel
territorio del comune di Bagnasco, frazione Massimino, assieme a Silvia Suono
impiegata della federazione Fascista. La Canavero viene subito fucilata mentre
la Suono, di 21 anni, si salva grazie ad una opportuna incursione di reparti
fascisti. Cfr. Toselli, Memorie, dattiloscritto, (Vite Spezzate n.
3465)
40) CANOVA TERESINA EMILIA, di
Francesco, n. a Cuneo il 27/10/1921, ivi residente, impiegata, fucilata a Cuneo
da elementi partigiani in Corso Stura angolo Piazza Torino con altre 27 persone
nel massacro del 3 Maggio 1945 su ordine di un Tribunale del Popolo (Vite
Spezzate n. 3534)
41) CAPPELLO LINA, da Marene,
prelevata e soppressa da elementi partigiani della brigata Garibaldi "E.
Carando" a Cervere il 1 Gennaio 1945, come da relazione partigiana del 25 giugno
1945, oggetto: Relazione attività operativa della Brigata. Questa donna
non risulta nell’elenco di Vite Spezzate, quindi probabilmente il corpo non
venne mai ritrovato (in Vite Spezzate questi desaparecidos nostrani sequestrati
dai partigiani non vengono citati). Forse qualcuno di Marene la conosceva e ci
potrà fornire i suoi dati anagrafici e qualche dato in più.
42) CARDONE MARIA CESARINA, di
Cesare, n a Carrù il 22/12/1926, ivi residente, casalinga, prelevata da
partigiani il 7 Dicembre 1944 dalla frazione di Ronchi e uccisa il giorno dopo
nel territorio del comune di Clavesana, cfr. "Carrù in guerra" di Rino Viotto,
p. 57. (Vite Spezzate n. 3676) 43) CARFAGNINI ELVIRA, fu Quintilio, n. a
Larino (CB) il 26/06/1920, residente a Garessio, sarta, sequestrata a Garessio
assieme alla sorella Maria da elementi partigiani appartenenti alla squadra di
"Gaglietto" del 13° Battaglione. "Val Tanaro", le due ragazze subirono una sorta
di “processo” e condannate “alla pena di morte mediante fucilazione nella
schiena” “per spionaggio a favore del nemico” come riportano i documenti
partigiani, comandante il plotone di esecuzione Ezio Aceto (deceduto). Le due
ragazze furono uccise alle ore 17 del 11 Ottobre 1944 all'esterno del muro del
cimitero di Pamparato, un "giudice" Vincenzo Giovanni verrà ucciso a S. Michele
di Mondovì a fine aprile del 1945. I partigiani furono generosi, lasciarono
andare la terza sorella, Carmen, di 16 anni, sequestrata assieme alle sue due
sorelle. Cfr. rivista “Autonomi”, 1° sem. 1982 (Vite Spezzate n. 7001- come
Garfagnini Elvira)
44) CARFAGNINI MARIA, fu Quintilio,
n. a Bojano (CB) il 25/03/1925, residente a Garessio, sarta, sequestrata a
Garessio assieme alla sorella Elvira. (vedi Carfagnini Elvira per le
circostanze). (Vite Spezzate n. 7002 - come Garfagnini Maria)
45) CARLINO ANTONIETTA, di Vincenzo,
n. a Bitetto (Bari) il 03/10/1914, residente a Torino in via Caboto 29,
Ausiliaria della RSI, prelevata da elementi partigiani dall’ospedale di Cuneo
mentre prestava assistenza alla sua Capo Squadra Raffaella Chiodi lì degente per
ferite, portata nelle carceri locali e poi fucilata, senza specifiche accuse, il
3 Maggio, probabilmente nella “mattanza” di corso Stura angolo piazza Torino
(Raffaella Chiodi morirà il 01/01/1946 all'ospedale di Riva Torbole (TV) per le
ferite). (Vite Spezzate n. 3736)
46) CARNEVALIS ANNA, di Pietro, nata
a Cuneo il 01/01/1923, residente a Cuneo in corso Nizza 62, fu arrestata a Cuneo
il 28 aprile 1945 portata a Borgo San Dalmazzo e tre giorni dopo riportata a
Cuneo nelle carceri, fu rilasciata dopo un interrogatorio il 9 maggio, il 12
maggio fu nuovamente prelevata da casa di una sua zia, Occelli Anna, da un
partigiano, caricata su di una macchina e uccisa dopo un ora dal sequestro con
un colpo alla nuca in regione Ponte di Ferro di Roccavione. (Vite Spezzate n.
3742)
47) CASALE MARIA BENEDETTA vedova
ANZOLA, di Fiorenzo, n. a Verolengo (TO) il 17/08/77, soppressa dai
partigiani con la figlia Francesca, i cadaveri ritrovati 11 Luglio del 1950 (per
le circostanze vedere Anzola Maria) (Vite Spezzate n. 3779)
48) CERA LISA ANTONIETTA, di
Ottavio, n. a Trapani il 15/07/1886, residente a Cuneo, casalinga, fucilata con
la sorella Teresa da partigiani su ordine del Tribunale del Popolo in corso
Stura angolo piazza Torino con altre 26 persone, nel massacro del 3 Maggio a
Cuneo, per le due non vi erano accuse specifiche ma erano le sorelle del
Maggiore Gino Cera comandante la GNR di Torino (poi fucilato il 23 Marzo del
1946), tanto bastava. (Vite Spezzate n. 4073)
49) CERA TERESA in CHIAPPERO, di
Ottavio, n. a Girgenti (AG) il 16/03/1892, residente a Cuneo, casalinga, (per le
circostanze vedere Cera Lisa) (Vite Spezzate n. 4076)
50) CHIAPELLI ROSA MARIA, di Mario,
nata a Costigliole Saluzzo il 18/04/1918, ivi residente, casalinga, venne
catturata il 25 Giugno 1944 dai partigiani assieme al fidanzato Gallini Dante
mentre i due percorrevano in bicicletta la Val Varaita, nei pressi del ponte di
Valcurta, due giorni dopo sarà fucilata nel territorio del comune di Sampeyre
perché riconosciuta come la figlia dell’Avvocato Chiapelli Mario “il quale aveva
fama di spia fascista” che a sua volta sarà, il giorno stesso prelevato dai
partigiani ed ucciso ad Isasca il 28 Giugno. Assieme ai due fidanzati viene
ucciso anche il partigiano “Molotof” alias Ferrero Domenico. Nel processo
tenutosi alla corte di Assise di Cuneo nel 1955 sul banco degli accusati
siederanno i partigiani C.M. da Rossana, M.B. da Manta ed Eduardo Zapata “Zama”
da Guajaquil (Equador). Mentre i partigiani gregari vengono prosciolti per
l’Amnistia del DPR 5 Aprile 1944, n. 96, il comandante “Zama” viene condannato
perchè, motiva il giudice, “Nel caso a carico della Chiappelli Rosa, anche
prescindendo dalla assenza del giudizio, cui pur si sarebbe potuto procedere...
null’altro esisteva se non il fatto d’esser figlia di un filofascista.... Quanto
poi al Gallini... è da escludersi che a carico suo esistesse anche il minimo
sospetto... Infine per il Ferrero Domenico “Molotof”... fatto sopprimere a
cagione della donna che doveva poi diventare moglie dello “Zama”..., dimostrano
l’assenza di un qualsiasi motivo inerente alla lotta.” Quindi condanna a 26
anni di carcere lo “Zapata” che per effetto di attenuanti generiche e di
Amnistia del DPR del 19/12/1953, n. 22 viene interamente condonata. La corte di
Assise di Appello di Torino il 02/03/1956 riforma parzialmente la sentenza
condannando lo “Zapata” a anni 30 di reclusione che per effetto delle attenuanti
generiche e della stessa Amnistia del 1953 vengono ridotti ad anni due di
reclusione. (Vite Spezzate n. 4192)
51) CHIAPPUSSA ADELE, fu Luigi n. a
Modan il 05/12/1903 residente a Susa via Oulx 8, fucilata senza processo il 10
Settembre 1944 probabilmente nel territorio del comune di Murazzano, sotto
l’imputazione di spionaggio. La ragione era che la donna aveva una relazione con
un soldato tedesco e per questo andava punita. Cfr. Rapporto della Prefettura di
Cuneo del 22 Febbraio 1945 al Ministero dell’Interno. Oggetto: Elementi passati
per le armi dai partigiani... rilevati dai documenti rinvenuti nei comandi
partigiani nel corso di rastrellamenti. (dispersa, non presente in Vite
Spezzate)
52) CHIAVAZZA MARIA CATERINA, di
Federico, n. a Torino il 01/08/1925, residente a Genova, Ausiliaria della RSI,
fucilata per ordine del Tribunale del Popolo a Cuneo il 3 Maggio 1945, senza
imputazioni specifiche, con altre 27 persone nel massacro di corso Stura angolo
Piazza Torino. Era incinta. (Vite Spezzate n. 4279)
53) CHIECCHIO MARGHERITA, di
Giovanni, nata a Vicoforte il 30/07/1903, residente a Niella Tanaro, casalinga,
soppressa da elementi partigiani assieme a Borgna Maria Teresa il 9 Febbraio
1944 nel territorio del comune di Pamparato. cfr. "Carrù in guerra" di Rino
Viotto (Vite Spezzate n. 4290)
54) CHIOCCHIA ANTONIA, di Giovanni,
nata a Caraglio il 25/05/1915, residente a Pradleves, casalinga, venne fucilata
da elementi partigiani a Dronero il 28 Giugno 1944, assieme a Rainero Pierina, i
partigiani “fucileranno” il 3 Dicembre del 1944 anche il marito Martini Stefano
di anni 46, grande invalido di guerra, privo delle gambe che per spostarsi si
serviva di un carrettino che spingeva con le mani Cfr. Memorie “Toselli”. (Vite
Spezzate n. 4314)
55) CORRADO GIOVANNA in GENTA, di
Francesco, nata a Murazzano il 08/05/1900, residente a Belvedere Langhe,
macellaia, soppressa da elementi partigiani per motivi non noti assieme al
marito Genta Nicola a Dogliani il 30 Novembre 1944. (Vite Spezzate n.
4678)
56) CUNEO ANGELA, di Luigi, n. a
Voghera (PV) il 06/07/1912, residente ad Ivrea, impiegata, soppressa da elementi
partigiani a Frabosa Soprana il 5 Aprile 1945, indicata erroneamente Ausiliaria
della RSI negli elenchi della pubblicistica dei reduci della Repubblica Sociale
(vedi G. Pisanò “Ultimi in grigioverde” vol. IV p. 1932). (Vite Spezzate n.
4924)
57) DE BERNARDI PAOLA, di Rodolfo,
nata a Monte di Capodistria (Pola) il 21/04/1925, residente a Bernezzo,
domestica, fucilata a Cuneo il 8 Maggio 1945. "La volante GL preleva due
ausiliarie, già regolarmente rapate, Paola De Bernardi e Rosina Piana, entrambe
di Caraglio: con loro viene anche preso un ragazzino per il quale il prete
partigiano Don Lino Volta era intervenuto, data l'età, affinché non fosse
fucilato con gli altri di Caraglio, ottenendo l'assicurazione di Rosa. (Virginio
Ferrari di anni 15, mascotte della Monte Rosa di Dronero). Li portano tutti a
Cuneo e li fucilano assieme a Antonio Quarti alla 5° arcata del ponte nuovo in
località Basse di Sant Anna. Una delle due ragazze, che aveva il capo cosparso
di catrame, stringeva ancora sotto il braccio una pagnotta di pane che qualche
anima buona le aveva donato. Nella stessa notte i cadaveri vengono occultati in
un rifugio antiaereo sulla scarpata di Piazza Vittorio e qui scoperti dai
questurini.” Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto. (Vite Spezzate n.
5233)
58) DE CAROLI STEFANIA, di Giovanni,
nata a Tresnuraghes (NU) il 23/03/1919, residente a Torino, casalinga, uccisa da
elementi partigiani della III Divisione “Alpi” quando questi entrarono a Fossano
il 30 Aprile 1945. (Vite Spezzate n. 5237)
59) DE MARIO SARTOR MARIA in
ZACCARIA, di Valentino, nata a Santo Stefano di Cadore (Belluno) il
09/10/1891, residente a Moretta, ostetrica, con la scusa di un intervento per un
parto imminente viene sequestrata a Moretta il 17 Settembre del 1944 da
partigiani locali che la conducono in regione Saretto, cascina “Giasera” del
territorio del comune di Polonghera dove viene uccisa e sotterrata. Il cadavere
fu recuperato solo nel 1947. Aveva un paletto conficcato in vagina. Cfr. Lino
Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta
del 10/09/2004, p. 27. (Vite Spezzate n. 5251) Citata anche nel processo contro
Simonini Agnese della CAS di Cuneo
60) DEGIOVANNI ALBERTINA, di
Giuseppe, n. a Vinadio il 03/03/1911, residente a Robilante, iscritta al Partito
Fascista Repubblicano, prelevata da elementi partigiani al comando di Ivano
Bellino e soppressa nel territorio del comune di Roccavione il 9 Novembre 1944,
il corpo sarà ritrovato cinque giorni dopo con la testa sfracellata ed il corpo
straziato da arma da taglio. Cfr. “Il Piemonte Repubblicano” del 18/11/1944.
(Vite Spezzate n. 5295)
61) DESTRE’ CATTERINA in GERMANO, di
Agostino, n. a Paesana, il 20/04/1909, ivi residente, casalinga, fucilata da
elementi partigiani con il marito Germano Alberto ed un’altra coppia di coniugi
(Pescarmone Milda col marito il farmacista Martina Gian Giacomo) al cimitero di
Paesana il 11 Luglio 1944, i partigiani appartenevano alla formazione di
“Montecristo” operante in Val Po di cui il commissario politico era “Mario”.
Cfr. don Michele Lerda: "Un prete nella resistenza Piemontese". (Vite Spezzate
n. 5508)
62) DHO LIDIA, di Giuseppe, n. a
Magliano Alpi il 26/07/1927, residente a Mondovì, Ausiliaria della RSI,
prelevata da elementi partigiani, che la uccisero a Mondovì il 12 Marzo 1945,
spaccandole il cranio con il calcio del fucile. (Vite Spezzate n.
5528)
63) DIAMANTE NICOLETTA, di n.n. nata
a Perlo il 31/10/99, res. Castellino Tanaro, casalinga, prelevata da elementi
partigiani il 13 Maggio 1945 assieme a Porcaro Pietro e soppressi nel territorio
del comune di Lesegno tre giorni dopo Cfr. Sentenza della Corte di Appello del
Tribunale di Torino del 11/10/1950. (Vite Spezzate n. 5550)
64) FALCO MARGHERITA MARIA, di
Giovanbattista, nata a Cuneo il 18/05/1923, ivi residente, mezzadro, soppressa
da elementi partigiani nel territorio del comune di Cuneo il 9 Novembre 1943.
(Vite Spezzate n. 5925)
65) FALCO MIRELLA, di Giuseppe.
(mancano altri dati anagrafici) di questa donna sfollata dal Torinese a Bagnolo
si sa solo che fu fermata da elementi partigiani della 4^ Brigata Garibaldi e da
loro trattenuta per sospetti di spionaggio. Non fu mai più rivista né viva né
morta. Il comandante partigiano Petraia, nel dopoguerra alla richiesta del padre
della ragazza di conoscerne la sorte, rispondeva con una lettera dichiarando che
la signorina, durante un forte rastrellamento, era stata fatta passare in
Francia e lasciata alle autorità francesi di Guillestre come “persona sospetta”.
(non presente in Vite Spezzate)
66) FERRERO CATERINA, di Domenica,
nata a Torino il 16/10/1914, ivi residente, casalinga, soppressa da partigiani
nel territorio del comune di Santo Stefano Belbo il 5 Febbraio 1945 sotto
l’accusa di essere una “spia dei fascisti”. (Vite Spezzate n. 6158)
67) FERRERO ERALDA, di Giovanni nata
a Torino il 19/11/1917, residente a Carrù, casalinga, uccisa da elementi
partigiani assieme alla madre la madre Veronica Rovella il 23 Novembre del 1944
sulla strada provinciale per Benevagienna, erano considerate notoriamente
fasciste, cfr. "Carrù in guerra" di Rino Viotto, p. 57 Tre dei partigiani
responsabili saranno a loro volta eliminati da altri partigiani. (Vite Spezzate
n. 6172)
68) FERRI ERNESTINA, di Giovanni
Battista, nata a Castiglione D’Adda (MI) il 24/07/1920, impiegata, prelevata e
uccisa da elementi partigiani assieme a Javelli Maria nel territorio del comune
di Pietraporzio il 28 Giugno 1944. Cfr. Lino Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo
1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta del 25/06/2004, p. 29. (Vite
Spezzate n. 6271)
69) FERRUS PIERINA, di Benvenuto, n.
a Revello il 12/10/1890, residente a Saluzzo, casalinga, prelevata da partigiani
assieme alla sorella Virginia alla fine dell’Aprile del 1945, i loro corpi
saranno rinvenuti in regione Colletta del comune di Pagno. Cfr. Lino Toselli,
Memorie, dattiloscritto (Vite Spezzate n. 6309)
70) FERRUS VIRGINIA, di Benvenuto,
n. a Revello il 21/04/1887, residente a Saluzzo, casalinga, prelevata da
partigiani assieme alla sorella Pierina, alla fine dell’Aprile del 1945 i loro
corpi saranno rinvenuti in regione Colletta del comune di Pagno. Cfr. Lino
Toselli, Memorie, dattiloscritto (Vite Spezzate n. 6310)
71) FRANCO ANGELA, di Pietro, n. a
Valdieri il 16/03/1920, residente a Valdieri, casalinga, uccisa da elementi
partigiani nel territorio del comune di Pietraporzio il 17 Agosto 1944. Cfr.
Lino Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La
Bisalta del 23/07/2004. (Vite Spezzate n. 6564)
72) FRANCO ANNA LUCIA, di Simone,
nata a San Raphael (Francia) nel 1922, residente a Valdieri, contadina,
soppressa da partigiani il 20 Agosto del 1944 nel territorio del comune di
Valdieri, località Ponte sul Gesso assieme ad altri quattro uomini. Cfr. Lino
Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta
del 23/07/2004. (Vite Spezzate n. 6566)
73) GABUTTO LUCIA, di Giovanni
Lorenzo, nata ad Alba il 9/07/1891, ivi residente, maestra, soppressa da
partigiani nel territorio del comune di Bosia il 15 febbraio 1945 per motivi non
noti ma probabilmente per la solita generica accusa di “spionaggio”. (Vite
Spezzate n. 6686)
74) GARABELLO MARIA GIUSEPPINA in
NEGRO, di anni 58, casalinga, moglie del mugnaio Negro Carlo, a Levice il 12
aprile 1944 fu assassinata e rapinata in casa con il marito da elementi a metà
tra partigiani e delinquenti che in seguito vengono incorporati nella 16°
Brigata Garibaldi : Renotti Luigi che dichiarerà al processo del 1947 al
Tribunale di Torino: "la rapina la facemmo per ordine dei nostri superiori",
Francone Pietro che presenta il suo "foglio notizie" con la qualifica di
"Patriota" del CVL dal 02/02/1945 al 07/06/1945, e certo Racca Pietro che
risulta partigiano deceduto in conflitto a Castino il 24/06/1944 ma non
segnalato in Vite Spezzate. Cfr. Sentenza del Tribunale di Torino Corte di
Assise di Appello, 1947. (Non presente in Vite Spezzate)
75) GARRO LUCIA, di Andrea, n. a
Peveragno il 06/01/1920, ivi residente, casalinga, fucilata da elementi
partigiani dipendenti dalla Brigata."Valle Iosina" del Gruppo Divisioni "R", a
Peveragno il 14/01/1945 assieme a Pittavino Caterina Cfr. Richiesta informazioni
del Tribunale di Cuneo all'ufficio Stralcio del CLN di Torino del 25/03/46.
(Vite Spezzate n. 7071)
76) GASTALDI NATALIA, di Natale,
nata a Cosio di Arroscia (Imperia), il 25/05/1921, residente a Ceva, Ausiliaria
della RSI, fucilata con altre 27 persone a Cuneo in Corso Stura angolo Piazza
Torino, nel massacro del 3 Maggio 1945, su ordine del Tribunale del Popolo,
senza specifiche accuse. (Vite Spezzate n. 7128)
77) GENESTRONI MICHELINA, di
Giacomo, nata a Romentino (NO) il 22/06/1924, era un’Ausiliaria della RSI,
risulta dispersa nel territorio di Fossano nell’Aprile del 1945, Vedi Sentenza
di Morte Presunta del Tribunale di Novara, in Gazzetta Ufficiale del 25/10/1954,
(Vite Spezzate n. 7232)
78) GIANDRONE GIUSEPPINA, di Mario,
n. a Savona il 15/05/1926, residente a Bra, sarta, ex partigiana del
distaccamento "Bonino" imputata di spionaggio, catturata a Bra “veniva dopo
regolare processo, fatto dal distaccamento di “Jimmy” fucilata nei pressi della
cascina Vidavì (Bra)” il 6 Dicembre 1944. Cfr. relazione del comando la 48°
Brigata Garibaldi "Dante Di Nanni", del 05/01/1945. (Vite Spezzate
n.7503)
79) GHIBAUDO BRIGIDA, nata il
19/11/1905 a Vernante, ivi residente, prelevata da partigiani da Vernante in un
periodo imprecisato del 1945 probabilmente per la solita generica accusa di
“spionaggio”, non venne mai più rivista, risulta uccisa in località Palanfrè del
comune di Vernante, non esiste l’atto di morte anzi non risulta neppure morta
perché ai familiari per lungo tempo fu detto che era ancora viva e sarebbe
ritornata ed allora non fu redatta neanche la sentenza di morte presunta. Al
comune di Vernante risulta solo l’atto di nascita. (non presente in Vite
Spezzate)
80) GILLI MADDALENA, fu Agostino, n.
a Carmagnola (TO) il 09/03/1898, residente a Ceresole d'Alba, casalinga,
prelevata dalla propria abitazione il 15 Dicembre 1944, soppressa per “sospetto
spionaggio” lo stesso giorno da elementi partigiani del distaccamento "Dante"
della 6° Divisione Alpina, il cadavere fu ritrovato il 24 Settembre 1945 in
località Madonna delle Grazie nel comune di Santo Stefano Roero, venne eliminata
assieme a Dolcimede Vito e Nigra Augusto. (Vite Spezzate n. 7544)
81) GIORDANO MICHELINA, di Giuseppe,
n. il 25/06/1925 a Borgo San Dalmazzo, ivi residente, casalinga, fucilata da
elementi partigiani della banda “Monte Saben” il 11 Maggio 1945 in località Sant
Antonio Aradolo di Borgo San Dalmazzo, la madre Giraudo Francesca era stata
eliminata quattro giorni prima ed il padre Giuseppe due settimane prima dai
medesimi partigiani. Il fratello Biagio partigiano fu fucilato il 26 Aprile a
Cuneo dalle Brigate Nere. “In una lettera inviata dal Sindaco di Borgo nel
dopoguerra al Prefetto di Cuneo era segnalato “svaligiata la casa dei Giordano
in via Mazzini 38 e trasformata in casa di tolleranza per i partigiani del
Saben”. Dunque i genitori e la sorella del partigiano Biagio non erano spie ma
parenti innocenti che dopo la liberazione hanno subito oltraggio e morte.
Biagio, nome di battaglia “Gino”, per una vergognosa manipolazione non risulta
neppure partigiano e per coprire altre malefatte non si fa menzione di lui né
negli elenchi dei partigiani morti né sulle lapidi a ricordo dei caduti. Nella
casa della famiglia Giordano “trasformata in casa di tolleranza per partigiani”
furono fatte oggetto di violenza e prostituzione non solo la madre e la figlia
con la testa rasata, ma anche altre ragazze a cui era stato fatto lo stesso
trattamento dei capelli” Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto. (Vite
Spezzate n. 7727)
82) GIRARDI MARIA CLARA, di
Giuseppe, n. a Villeneuve Loubet (F) il 13/02/1926, residente a Dronero,
casalinga, fu uccisa da partigiani con la sorella Maria Maddalena, a Monterosso
Grana il 09/02/1945, anche il padre Giuseppe fu ucciso dai partigiani un mese
dopo, era la sorella di un ex partigiano passato alla repubblica che aveva fatto
fucilare il giorno prima il partigiano Faraudo Oreste detto "Topa" (della 104°
Brigata Garibaldi "Fissore") ed aveva fatto ritrovare un deposito di armi dei
partigiani, lei, il padre e la sorella vennero uccise per rappresaglia. Cfr.
Processo “Girardi Francesco” Corte di Assise Straordinaria del Tribunale di
Cuneo, 1945 (Vite Spezzate n. 7778)
83) GIRARDI MARIA MADDALENA, di
Giuseppe, n. a Villeneuve Loubet (F) il 11/07/1928, residente a Dronero,
casalinga, uccisa con la sorella Maria Clara. (per le circostanze vedi Girardi
Maria Clara). (Vite Spezzate n. 7779)
84) GIRAUDO BIANCA, di Carlo, n. a
Boves il 23/02/1922, ivi residente, casalinga, fucilata a Cuneo in Corso Stura
angolo Piazza Torino nel massacro del 3 Maggio 1945 su ordine del Tribunale del
Popolo senza accuse specifiche. (Vite Spezzate n. 7808)
85) GIRAUDO FRANCESCA in GIORDANO,
di Michele, n. a Vignolo (CN) il 15/02/1903, residente a Borgo San Dalmazzo,
casalinga, soppressa da elementi partigiani il 7 Maggio 1945 a Borgo San
Dalmazzo (per le circostanze vedi Giordano Michelina). (Vite Spezzate n.
7821)
86) GIUGE PROSPERINA ESTER, di
Teodoro, n. a Molliers di Valdieri il 02/08/1920, residente a Demonte, prelevata
da partigiani della formazione GL "C. Rosselli" dalla sua abitazione in Demonte
alle ore 16 del 27 aprile del 1945, portata al comando partigiano, allora in via
Nazionale in Demonte, fu "denudata, percossa e insultata con volgari epiteti
per farla confessare" non ammetteva le sue colpe e il 3 maggio fu deciso di
fucilarla anche senza “confessione” ma in seguito alle implorazioni dei
congiunti a di altri rimasti sconosciuti, l'esecuzione venne sospesa e la donna
fu ricoverata all'ospedale civile di Demonte il 10 Maggio. Ma quello stesso
giorno, alle ore 17, fu prelevata da quell’ospedale da una squadra di partigiani
e uccisa.in località Gravera del comune di Moiola, Tribunale di Torino, Corte
d'Assise di Appello, Sentenza contro ignoti del 28/02/1947. (Vite Spezzate n.
7896)
87) GIULIANO GIUSEPPINA, di Pietro,
n. a Fossano il 18/04/1906, residente a Roccavione, casalinga, prelevata e
soppressa da elementi partigiani nei pressi del cimitero di Roccavione il 1
Maggio 1945, probabilmente assieme al Tenente della Divisione “Littorio” della
RSI Oreste D’Avanzo. Non vi erano accuse specifiche ma aveva frequentato qualche
soldato della “Littorio”, tanto bastava. Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto.
(Vite Spezzate n. 7920)
88) GRIMALDI MARIA ROSA, di Anacleto,
nata a Cossano Belbo il 20/08/1923, ivi residente, civile, casalinga, uccisa a
Rocchetta Belbo il 05/01/1945, Reg. Gen. Dei Reati 1947 n. 2615, uccisione di
donna ritenuta fascista, denuncia del 04/02/47 (Vite Spezzate n.
8179)
89) GRISERI MARGHERITA, mancano i
dati anagrafici, insegnante a Mondovì, soppressa il 8 Marzo 1944 a Pianvignale
di Frabosa Sottana. “già in aspettativa da due anni, per la perdita completa
dell’udito, è stata prelevata nel suo domicilio ed è caduta sotto i colpi di
fucile mentre, consapevole del terribile destino, s’era inginocchiata per
rivolgere un’ultima preghiera e forse per chiedere perdono per i suoi uccisori.
La medesima, animo nobilissimo, ha lasciato quanto possedeva a beneficio del
Liceo Magistrale di Mondovì” Cfr. “Il Piemonte Repubblicano” del 23/12/1944
(non inserita in Vite Spezzate)
90) GROSSO MARIUCCIA, di Giacomo, n.
a Peveragno il 13/11/1924, ivi residente, casalinga, soppressa da elementi
partigiani il 31 Dicembre 1943 nel territorio del comune di Peveragno. (Vite
Spezzate n. 8248)
91) JAVELLI MARIA, di Ludovico, nata
ad Argentera il 14/03/1892, residente ad Argentera, Sarta, soppressa assieme a
Ferri Ernestina da elementi partigiani senza specifiche accuse il 28 Giugno 1944
a Pietraporzio. Cfr. Lino Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della
guerra civile, La Bisalta del 25/06/2004, p. 29. (Vite Spezzate n.
8444)
92) LAPENNA ANGELA, di Mario, nata a
Monbaldone (AT), ivi residente, contadina, nata il 14/01/1924, fucilata da
partigiani, con la generica accusa di spionaggio, il 23 Ottobre 1944, il corpo
rinvenuto il 27 Febbraio 1946 in prossimità della Cascina Carrantino, del comune
di Castino, con 7 sconosciuti, in fosse separate, presumibilmente fucilati nel
Settembre-Ottobre 1944, cfr. "Relazione attività svolta dal 10 al 30 Ottobre
1944" della 3° Brigata "Asti", 2° Divisione "Langhe", catturata dal
distaccamento "Biondino" e passata per le armi. (Vite Spezzate n.
8596)
93) LERDA CAROLINA, di Carlo e di
Serale Maria, nata a Busca il 04/09/1926, ivi residente, civile, soppressa da
partigiani il 04/04/1945 e sepolta nel giardino della caserma dei Carabinieri di
Pradleves, i resti del corpo furono riesumati nel 1949, Cfr. Sentenza del Trib.
di Cuneo del 10/01/1949 (Vite Spezzate n. 8660)
94) LERDA LUCIA, di Mattia, nata a
Monterosso Grana il 22/05/1920, ivi residente, sequestrata dalla propria
abitazione alla Levata ed eliminata da elementi partigiani in Valle Grana il 17
Luglio 1944. Non si conoscono le accuse per le quali fu uccisa. Il suocero della
Lerda, Raineri Giuseppe, si recò in Valle Grana a cercare notizie della nuora,
fu intercettato e soppresso dai partigiani a Pradleves. Cfr. Lino Toselli,
“Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta del
05/03/2004, p. 28. (Vite Spezzate n. 8670)
95) LUCIANO OLGA MARIA, di Domenico,
n. a Lesegno il 02/08/1923, ivi residente, sarta, uccisa in casa a Lesegno il 11
Giugno 1944 nell’occasione del prelevamento dei genitori e della sorella Liliana
da parte di elementi partigiani, in quanto tutta la famiglia era iscritta al
Partito Fascista Repubblicano. Cfr. Notiziario GNR, Cuneo, Giugno 1944. (Vite
Spezzate n. 8850)
96) MAGGIOTTI GIUSEPPINA, di
Domenico, nata a Nizza il 21/09/1907, residente a Torino, ambulante, soppressa
da elementi partigiani in territorio di Alta Valle Stura il 8 Luglio 1944,
convivente dell’ex partigiano Mulè Antonio fucilato anche lui da partigiani
perché ritenuto responsabile di alcune rapine compiute nella zona di Caraglio.
(Vite Spezzate n. 8927)
97) MAGNALDI ADELINA MARIA MARGHERITA in
CONTE, di Giovanni Antonio, n. a Cuneo il 12/12/1903, ivi residente,
casalinga, fucilata nonostante fosse in stato di avanzata gravidanza, da
elementi partigiani a Cuneo in Corso Stura angolo Piazza Torino nel massacro del
3 Maggio 1945, senza specifiche accuse se non essere la moglie del vice
Commissario Prefettizio di Cuneo. la fotografia della donna è pubblicata in “I
Caduti della RSI Cuneo e Provincia” NovAntico Editrice, Pinerolo 2001, pag. 283
(Vite Spezzate n. 8952)
98) MARENGO CATERINA in GRASSO, di
Giacomo, n. a Bra il 24/10/1919, ivi residente, casalinga, fucilata assieme al
il marito Grasso Settimio da elementi partigiani nel territorio del comune di
Sanfrè il 15 Agosto 1944, tumulata a Bra il 29 Aprile 1947. (Vite Spezzate n.
9263)
99) MARUBINI VERA, di Marubino, nata
ad Albenga il 04/05/1913, residente a Bossolasco, casalinga, sequestrata ed
uccisa a Bossolasco il 19/06/1944 (Vite Spezzate n. 9522)
100) MAUNERO ANTONINA in CERUTTI, di
anni 39, da Bra, operaia, coniugata con Cerutti Francesco, eliminata da elementi
partigiani a Bra il 14 Maggio del 1945 nel bagno di sangue che seguì l’entrata
dei partigiani nella cittadina. Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto, (non
presente in Vite Spezzate)
101) MEINARDI PIERINA in SORBA, di
Pietro, nata a Castagnole Lanze (AT) il 20/03/1899, residente a Borgo San
Dalmazzo, casalinga, viene uccisa il 25 Giugno 1944 da elementi partigiani
penetrati in casa sua a Borgo San Dalmazzo mentre cercava di opporsi al
sequestro della figlia Sorba Ada di 19 anni, iscritta al Partito Fascista
Repubblicano; la figlia gravemente ferita morirà all’ospedale Santa Croce di
Cuneo il 29 Luglio. Cfr. “Il Piemonte Repubblicano” del 29/07/1944. (Vite
Spezzate n. 9730)
102) MILANO ORTENSIA, di Giuseppe, n.
a Busca il 03/05/1924, residente a Villar San Costanzo, operaia, uccisa in
Borgata Oggeri di fronte al fratellino di otto anni nel cortile di casa perchè
vista in compagnia di soldati tedeschi, nello stesso giorno in cui i partigiani
soppressero Belliardo Anna e Belliardo Maria nel territorio del comune di
Roccabruna il 15 Febbraio 1945, sepolta a San Giuliano di Roccabruna Cfr.
Sentenza di Stato Civile, Tribunale di Cuneo del 06/07/1955 (Vite Spezzate n.
9953)
103) MIRETTI GIUSEPPINA, di Giuseppe,
n. a Paesana il 05/07/1898, ivi residente, casalinga, prelevata e soppressa da
elementi partigiani nel territorio del comune di Casteldelfino in un giorno
imprecisato dell’Agosto del 1944. (Vite Spezzate n. 10003)
104) MOLINERI MARIA, nata a
Monterosso Grana il 14/07/1901, residente a Dronero, casalinga, soppressa da
elementi partigiani il 14 Febbraio 1945 nel territorio del comune di Roccabruna,
il giorno dopo altre tre donne vengono uccise (le due Belliardo e Milano
Ortensia) probabilmente dagli stessi partigiani. (Vite Spezzate n.
10051)
105) MORETTI FRONTINA, di Antonio, n.
il 03/02/1912 ad Alzano Sopra (BG), residente ad Alzano Lombardo (BG) in via A.
Fontana. Catturata a Dogliani da elementi partigiani del distaccamento
"Islafran" della 16° Brigata Garibaldi e fucilata “risultata chiara la loro
attività fascista”con altri due nel territorio del comune di Dogliani il 20
Luglio del 1944. Cfr. "Dichiarazione di morte presunta" pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale del 20/05/1961 che la dichiara scomparsa il 17 luglio 1944,
il corpo mai ritrovato. (non presente in Vite Spezzate)
106) NASI MADDALENA, fu Francesco, n.
a Savigliano il 12/12/1892, residente a Cavalermaggiore, maestra alla frazione
di Madonna del Pilone di Cavalermaggiore, considerata “fascista della prima ora”
era stata per parecchi anni segretaria del Fascio Femminile della frazione
Madonna del Pilone, prelevata dalla sua abitazione il 3 Aprile del 1945 e quindi
"giustiziata" da elementi partigiani della 105° Brigata "Carlo Pisacane" al
comando del partigiano "Jimmi" come spia, era sorella del Generale della GNR
Guglielmo Nasi. Fu rinvenuta cadavere in un bosco in regione Motturone. (Vite
Spezzate n. 10488)
107) NAVITO MARIA GIOVANNA, nata a
Chateauroux (Francia) il 31/08/1924, residente a Paesana, prelevata da elementi
partigiani nell’Aprile del 1945 nel territorio del comune di Paesana e mai più
rivista. Cfr. Dichiarazione di Morte Presunta del Tribunale di Saluzzo, Gazzetta
Ufficiale, foglio delle inserzioni del 17/03/1962. (Vite Spezzate n.
10496)
108) NEGRI DOMENICA in SERENA, di
Giuseppe, nata a Fossano il 01/06/1897, residente a Fossano, fioraia, arrestata
a Torino per collaborazionismo fu tradotta alle carceri di Fossano e dopo
maltrattamenti il 18 Maggio fu prelevata da due partigiani per un
“interrogatorio”. Venne assassinata con due colpi al capo durante il tragitto. I
due partigiani della scorta non furono mai identificati. La sua colpa era di
essere la moglie di un noto fascista di Fossano. (Vite Spezzate n.
10503)
109) NICOLINO TERESA, di Giovanni, n.
a Manta il 06/09/1882, residente a Villar San Costanzo, domestica, era la
perpetua di don Antonio Zali e fu uccisa da elementi partigiani assieme al
parroco nella canonica l’8 Giugno del 1944 a Villar San Costanzo. Cfr. “Il
Piemonte Repubblicano” del 13/06/1944. (Vite Spezzate n. 10576)
110) OLIVERO MARIA, di Battista, n. a
Roccasparvera il 27/03/1921, residente in Borgo san Dalmazzo, casalinga,
prelevata in frazione Tetto Deu e soppressa da elementi partigiani il 13 Aprile
del 1944 nel territorio del comune di Valloriate, frazione Sapè. Cfr. Lino
Toselli, “Accadde Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta
del 02/04/2004 (Vite Spezzate n. 10776)
111) OLIVIERI PASQUALINA ENRICA
FANNY, di Nicolò, n. ad Imperia il 04/09/1888, residente a Cuneo, impiegata,
fucilata a Cuneo su ordine del Tribunale del Popolo il 3 Maggio 1945 nel
massacro do corso Stura angolo Piazza Torino, senza accuse specifiche ma era
impiegata al Fascio Femminile di Cuneo. (Vite Spezzate n. 10789)
112) OSELLA ANNAMARIA, fu Bernardo,
n. a Carmagnola il 14/09/1887, residente a Torino, casalinga, "Amante del
Gaviorno Mario, legalmente separata dal marito da circa 23 anni, aiutava in
continuità il suddetto amante nel suo sporco mestiere. Rea confessa di
spionaggio a danno di partigiani" fucilata da elementi partigiani della 103°
Brigata Garibaldi “Nanetti” il 27 Giugno del 1944 nel territorio del comune di
Bagnolo Piemonte. Cfr. Registro dei Giustiziati 103° Brigata. (Vite Spezzate n.
10855)
113) OSELLA EMMA, di Bernardo, n. a
Torino il 29/11/1922, residente ad Alba, Ausiliaria della RSI, fucilata da
elementi partigiani il 5 Maggio a Mondovì assieme al Tenente Farina ed altri due
militari in Piazza Ellero, senza accuse specifiche ma forse solo perchè era
Ausiliaria e fidanzata del Tenente Alberto Farina. (Vite Spezzate n.
10856)
114) PASQUALE RENATA, fu Bartolomeo,
nata a Busca il 12/11/1917, ivi residente, casalinga, prelevata e soppressa in
località sconosciuta, il 28 Giugno del 1944. Cfr. Dichiarazione di Morte
Presunta del Tribunale di Cuneo del 1953 (Vite Spezzate n. 11071)
115) PEANO EMILIA in SABENA, di
Giacomo, n. a Saluzzo il 03/03/1903, ivi residente, maglierista, prelevata da
elementi partigiani dalla sua abitazione in Saluzzo unitamente al figlio Sabena
Renato di anni 14 il 10 Aprile del 1945 ed il 16 dello stesso mese ambedue
uccisi sui monti di Brondello. (Vite Spezzate n. 11146)
116) PEIRONE LUCIA, nata a Cigliè il
09/09/1925, ivi residente, prelevata e violentata in regione Peirone (Cigliè),
da elementi partigiani della 16° Brigata. "Perotti" assassinata come sospetta
spia vicino mulino Feisoglio in frazione Scarrone di Serravalle Langhe il 18
Maggio del 1944, i responsabili furono assolti perché si trattava di "fatto di
guerra". Cfr. Quotidiano Gazzetta del Popolo del 04/12/1953 (Vite Spezzate n.
11219)
117) PESCARMONE MILDA in MARTINA, di
Prospero, n. a San Damiano d'Asti, residente a Paesana, prelevata dalla propria
abitazione e “fucilata” il 10 luglio con marito Martina Gian Giacomo ed i
coniugi Germano al cimitero di Paesana a mezzanotte, gravemente ferita muore
all'ospedale di Saluzzo il 13 Luglio 1944. Cfr. don Michele Lerda: "Un prete
nella resistenza Piemontese". (Vite Spezzate n. 11436)
118) PIANA ROSINA, di Giuseppe, n. a
Caraglio il 14/10/1922, ivi residente, commerciante, uccisa a Cuneo il 8 Maggio
1945, per le circostanze vedi De Bernardi Paola. (Vite Spezzate n.
11509)
119) PITTAVINO CATERINA, di Giuseppe,
n. a Peveragno il 17/07/1925, ivi residente, casalinga, fucilata da il
14/01/1945 a Peveragno da comando Partigiano dipendente dalla Brg."Valle Iosina"
del Gruppo Divisioni "R assieme a Garro Lucia Cfr. Richiesta informazioni del
Tribunale di Cuneo all'ufficio Stralcio del CLN di Torino del 25/03/46. (Vite
Spezzate n. 11657)
120) PONZINI LUIGIA EUGENIA, di
Paolo, nata a Cuneo il 10/08/1925, residente a Bra, studentessa, fucilata da
partigiani a Bra al castello della Zizzola il 28 Aprile 1945 nel bagno di sangue
che seguì l’occupazione della cittadina da parte delle forze partigiane, fu
uccisa assieme al padre adottivo Ponzini Paolo ed altre 8 persone. (Vite
Spezzate n. 11754)
121) PORRATI MARIA in BONGIOVANNI, di
Francesco, nata ad Alessandria il 02/08/1896, residente a Pianfei, impiegata
all’ufficio assistenza dei fasci femminili, fucilata da elementi partigiani a
Cuneo il 3 Maggio 1945 nel massacro di corso Stura angolo piazza Torino con
altre 28 persone su ordine di un Tribunale del Popolo. (Vite Spezzate n.
11780)
122) POSOPAT ARMINIA, di Fabiano,
nata a Fiume il 21/11/1922, residente a Savigliano, casalinga, soppressa da
partigiani in località imprecisata del cuneese il 05/06/1944 (Vite Spezzate n.
11804)
123) POZZO TERESA CATERINA, di
Giovanni, nata a Torino il 29/04/1928, ivi residente, Ausiliaria della RSI
aggregata al II reparto Arditi Ufficiali (2° RAU) fu catturata con altri soldati
da partigiani che avevano attaccato l'automezzo sul quale viaggiava nei pressi
di Bra (borgata Ricchiardo) il 1° Marzo del 1945, successivamente alla cattura,
nonostante non avesse compiuto nemmeno 17 anni, fu soppressa da elementi
partigiani della 103° Brigata "Nannetti" nel territorio di Montaldo Roero nello
stesso giorno. (Vite Spezzate n. 11811)
124) PRANDI DOMENICA, di Giuseppe,
nata a Limone Piemonte il 17/01/1900, ivi residente, Ausiliaria della RSI, venne
uccisa da partigiani a Limone Piemonte il 3 Maggio 1945 senza accuse specifiche
se non di essere una ausiliaria. Cfr. Memorie Toselli, dattiloscritto. (Vite
Spezzate n. 11818)
125) QUARTARA CAROLINA GIOVANNA, fu
Giuseppe, n. a Torino il 21/08/1901, residente a Torino, commerciante, sfollata
a Dogliani. Processata e fucilata da partigiani appartenenti alla 16° Brigata
Garibaldi "Gen. Perotti" a Bonvicino il 24 Luglio del 1944. (Vite Spezzate n.
11992)
126) RABALLO MIRANDA, di Carlo, nata
ad Orbassano (TO) il 20/08/1926, residente a Guarene (CN), studentessa,
soppressa in territorio del comune di Barbaresco il 06/04/1945 (Vite Spezzate n.
12012) fonte “BraOggi”
127) RAGAZZONI ADELAIDE TERESA, nata
e residente a Cuneo, commerciante, deceduta in Pietraporzio nell'agosto del
1944, gerente di un negozio di merceria in Cuneo, sequestrata in Demonte da
partigiani della banda del famigerato "Spada". Nel sottrarsi ad un
rastrellamento i partigiani la eliminarono, nelle stesse circostanze fu
soppresso il commissario di PS dott. Fiorentino. Cfr. Lino Toselli, “Accadde
Oggi” Cuneo 1943/45: Cronache della guerra civile, La Bisalta del 23/07/2004, p.
26. (Vite Spezzate n. 12078)
128) RAINERO PIERINA OTTAVIA, di
Giuseppe, nata a Caraglio il 22/05/1927, residente a Roma, casalinga, prelevata
ed eliminata da elementi partigiani nel territorio del comune di Dronero,
regione Assarti il 28 Giugno del 1944 assieme a Chiocchia Antonia ed altre due
persone, (Vite Spezzate n. 12107)
129) RAINERO ROSA, di Antonio, nata a
Sommariva del Bosco il 03/07/1878, residente a Ceresole d’Alba, Ostetrica,
soppressa da elementi partigiani nel territorio del comune di Monteu Roero
nell’Ottobre del 1944. (Vite Spezzate n. 12109)
130) RE CATERINA detta RINA, di
Tommaso, n. a Barge il 10/05/1923, ivi residente, casalinga, assassinata con
Beltramo Lucia dai partigiani E.M. e M.A., che nel processo intentato contro di
loro nel dopoguerra saranno assolti "per aver agito nell'adempimento di un
dovere imposto da un ordine superiore" ordine che proveniva dal comandante
partigiano Carlo Broccardo (deceduto). Quotidiano Gazzetta del Popolo di Torino
del 24 Novembre 1953. per le circostanze vedi Beltramo Lucia. (Vite Spezzate
n.12243)
131) RE ERMINIA, di Giuseppe, n. a
Caraglio il 05/02/1915 ivi residente in via S. Paolo 76, prelevata il 3 Gennaio
1945 da elementi partigiani appartenenti alla polizia partigiana della Brigata
"P. Braccini" e soppressa nel territorio del comune di Pradleves: “fucilata
senza processo perché non necessario per appartenenti a formazioni nere e come
tali da considerarsi fuorilegge". (Vite Spezzate n. 12245)
132) REBUFATTI LUCIA, di Domenico, n.
a Rossana il 20/1/20, ivi residente, domestica, uccisa da elementi partigiani il
20 Febbraio del 1945 nel territorio del comune di Rossana. Cfr. Tesi di Laurea
di Milva Rinaudo "Civili e partigiani nella resistenza in Val Varaita". (Vite
Spezzate n. 12278)
133) REBUFATTI PAOLA detta PAOLINA,
di Pietro, n. a Nizza il 09/10/1926, giustiziata con “regolare processo”
come spia da partigiani appartenenti alla 181° Brigata Garibaldi della 11°
Divisione "Cuneo", nel territorio del comune di Rossana il 28/11/1944, fu
violentata a turno dai partigiani. cfr. Tesi di Laurea di Milva Rinaldo "Civili
e partigiani nella resistenza in Val Varaita". (Vite Spezzate n.
12279)
134) RECHER FRANCESCA ANTONIETTA ved
TALLERI, residente a Carmagnola, via della Repubblica 60, catturata a
Dogliani da partigiani della 180° Brigata Garibaldi "Marco" assieme alla figlia
e “fucilate” assieme. La donna accompagnava la figlia alla ricerca del marito
Filippo Licastro scomparso nella zona di Dogliani. Il Licastro sarà ucciso dai
partigiani il 02/03/1944, dieci giorni dopo la soppressione della moglie e della
suocera. Nel diario "Martinengo-Del Podio" in "Dogliani una terra e la sua
Storia" le due donne sono indicate: madre Francesca Recher vedova Talleri e
figlia, di anni 18, Maria Francesca, fucilate nella notte tra il 22 ed il 23
Febbraio del 1944. Nel rapporto partigiano del 14/02/1945 della 180° Brigata
Garibaldi "Marco", risultano fermate in quella data Licastro Maria e Recher
Antonietta, indicando come madre Recher Maria definita "persona
pericolosissima che ha sempre svolto azione contraria alla nostra causa
collaborando con i comandi tedeschi" (non presente in Vite
Spezzate)
135) RENI JOLANDA, di Umberto, nata a
Monterosso Grana il 19/08/1920, residente a Cuneo, prelevata e soppressa da
elementi partigiani nel territorio di Valle Grana il 16 Marzo 1945. Cfr. Memorie
Toselli, dattiloscritto. (Vite Spezzate n. 12342)
136) REVIGLIO ROMANA, di Pietro, n. a
Sanfrè il 10/11/1922, ivi residente, casalinga, considerata delatrice dei
nazifascisti e soppressa da elementi partigiani in un giorno imprecisato del
1945. (Vite Spezzate n. 12406)
137) RIGHETTO MARIA CLEMENZA, di
Antonino, nata a Villanova Solaro il 07/09/1896, residente a Moretta, casalinga,
soppressa da elementi partigiani il 4 Maggio del 1945 nel Territorio del comune
di Villanova Solaro. (Vite Spezzate n. 12511)
138) ROERO SECONDINA, di Secondo,
nata a Castagnole Lanze (AT) il 17/04/1910, residente a Canelli (AT), casalinga,
soppressa da elementi partigiani nel territorio del comune di Mango il 20
Febbraio del 1945. Cfr. Lino Toselli, Memorie, dattiloscritto. (Vite Spezzate n.
12799)
139) ROSSI CATERINA in CIGLIUTTI, di
Giovanni, nata a Mondovì il 13/07/1922, ivi residente, casalinga, fucilata da
elementi partigiani a Mondovì il 12 Maggio 1945, senza accuse specifiche se non
di non specificate “delazioni”. (Vite Spezzate n. 12923)
140) ROSSO TERESA, di Francesco, nata
a Racconigi il 24/01/1920, ivi residente, casalinga, prelevata e soppressa da
elementi partigiani in località imprecisata del cuneese nel Marzo del 1945.
(Vite Spezzate n. 13017)
141) ROVELLA VERONICA in FERRERO, di
Domenico, nata a Benevagienna il 05/11/1881, residente a Carrù, casalinga,
eliminata con la figlia Eralda Ferrero sulla strada per Benevagienna
nell'occasione della soppressione del Segretario Comunale di Marsaglia da
elementi partigiani che saranno in seguito fucilati dai loro stessi compagni
(Roma V., Piras A., Bracciale G.), erano considerate notoriamente fasciste, cfr.
"Carrù in guerra" di Rino Viotto, p. 57. (Vite Spezzate n. 13054)
142) ROVERA ERMENEGILDA detta LINDA,
di Antonio e di Simondi Maria, “fucilata” da elementi partigiani della 181°
Brigata Garibaldi in territorio di Martiniana Po in un giorno imprecisato del
1945 per “collaborazionismo”. Cfr. Marco Ruzzi, “Garibaldini in Val Varaita,
1943-1945, tra valori e contraddizioni” p. 122. (non presente in Vite
Spezzate)
143) RULFI GAETANA, fu Andrea, n. a
Pianfei il 15/11/1884, ivi residente, fucilata da elementi partigiani per
"spionaggio" il 12 Settembre 1944 nel territorio del comune di Murazzano; era in
cerca di notizie del fratello Giorgio, precedentemente prelevato dai
partigiani. Cfr. Comunicazione della Prefettura di Cuneo al Ministero
dell’Interno del 22/02/1945, Oggetto: Elementi passati per le armi dai
partigiani. (Vite Spezzate n. 13143)
144) SALVATICO PIERINA MARIA in
CAFFA, di Pietro, n. ad Erli (SV) il 25/01/1901, ivi residente, casalinga,
prelevata da partigiani assieme al marito Caffa Giovanni e fucilata con lui il
17 Luglio del 1944 nel territorio del comune di Garessio. (Vite Spezzate n.
13280)
145) SALVETTO VIRGINIA, di Giuseppe
Luigi, nata a Camerana il 21/09/1899, residente a Cengio (SV), casalinga,
soppressa da elementi partigiani nel territorio del comune di Camerana il 17
Giugno del 1944. (Vite Spezzate n. 13297)
146) SARETTI MADDALENA, di Valentino,
nata a Verzuolo il 20/05/1890, ivi residente, casalinga, prelevata a Verzuolo,
da elementi partigiani appartenenti al distaccamento "Otto" della 181° Brigata
Garibaldi, processata e fucilata in frazione S. Cristina del comune di Pagno il
14 Marzo del 1945. Cfr. Tesi di Laurea di Milva Rinaudo "Civili e partigiani
nella resistenza in Val Varaita". (Vite Spezzate n. 13411)
147) SECONDO ROSA PALOMBINA, di
Giuseppe, n. a Luserna S. Giovanni (TO) il 30/08/1915, ivi residente, operaia,
soppressa da elementi partigiani appartenenti al distaccamento della 105°
Brigata Garibaldi "Carlo Pisacane", come “spia” il 23 Marzo del 1945 nel
territorio del comune di Envie assieme a Perassi Bartolomeo, Cfr. "Aggiunta
Bollettino Azioni Militari Mese di Marzo" del 15/04/1945. (Vite Spezzate n.
13649)
148) SILVESTRO CATERINA in
SCAPELLATO, mancano dati anagrafici, fucilata con altri tre civili tra cui
il marito Scapellato Corrado in regione Tetti Filibert Sottano presso la baita
di Dalmasso Giovanni da partigiani garibaldini il 19 Settembre del 1944. Cfr.
Donato Dutto, “Boves Kaputt”. (non presente in Vite Spezzate, il marito
Scapellato Corrado si al n. 13500)
149) SORBA ADA, di Domenico, n. a
Borgo San Dalmazzo il 19/06/1925, ivi residente, impiegata, era stata gravemente
ferita dai partigiani il 26 Giugno 1944 che cercavano di prelevarla. Uccisa la
madre Meinardi Pierina che tentava di opporsi al sequestro della figlia. (vedi
Meinardi Pierina). Muore all'ospedale S. Croce di Cuneo il 24 Luglio 1944. (Vite
Spezzate n. 13919)
150) TALLERI MARIA FRANCESCA in
LICASTRO, residente in Carmagnola, via della Repubblica 60, catturata a
Dogliani da partigiani della 180° Brigata Garibaldi "Marco" assieme alla madre e
“fucilate” assieme. (Vedi Recher Francesca per le circostanze) (non presente in
Vite Spezzate)
151) TARICCO RINA, mancano dati
anagrafici, eliminata da elementi partigiani appartenenti alla 103° Brigata
“Amendola” il 10 Marzo 1945 nel territorio del comune di Lequio Tanaro per
“spionaggio”. (Vite Spezzate n. 14176)
152) TARICCO ROSA BRIGIDA, fu Luigi,
nata a La Morra il 01/01/1876, residente a Torino, casalinga, prelevata da
partigiani a La Morra assieme a Sabatini Vincenzo, condotti nella frazione di
San Giovanni di Monforte d'Alba vennero trattenuti due giorni in attesa di
informazioni sul loro conto e quindi soppressi il 17 Agosto 1944 in zona
"Baril", i corpi furono recuperati dai parenti nell'agosto 1945. (Vite Spezzate
n. 14177)
153) TERNAVASIO GIUSEPPINA, di
Giuseppe, n. a Savigliano il 24/05/1923, ivi residente, casalinga, viene
fucilata a Savigliano in Piazza Cavour alle ore 9 del 6 Maggio del 1945,
arrestata per “motivi politici”era stata prelevata da partigiani dal locale
carcere assieme a Testa Michele e Ferrarin Arturo ex appartenenti alla Brigata
Nera. (Vite Spezzate n. 14247)
154) TORRE ELISABETTA in LAIOLO,
mancano dati anagrafici, fucilata assieme al marito Laiolo Giovanbattista da
elementi partigiani il 10 Gennaio 1945 nel territorio del comune di Cravanzana.
Cfr. quotidiano “Mondo Nuovo” del 02/04/1948. Altra fonte la dà uccisa a Vaglio
Serra (AT) nel Febbraio del 1945, Cfr. quotidiano “L'Unità” del 30/01/48. (non
presente in Vite Spezzate)
155) TOSCANO GIUSEPPINA ANGELA, di
Giuseppe, n. a Cavour il 11/04/1926, ivi residente, casalinga, fucilata perché
“delatrice”, sepolta nei pressi del Villar di Bagnolo" Cfr. "Registro dei
giustiziati" - 103° Brigata Garibaldi “Nannetti”. (Vite Spezzate n.
14455)
156) TOSO ELENA CATTERINA ved.
TOPPINA, di Giovanni Battista, n. a Canale il 12/08/1887, residente a
Torino, casalinga, soppressa con Seimandi Giacomo da elementi partigiani agli
ordini di Roberto Chiabrando, nel Settembre del 1944 sembra per una
contestazione su una requisizione di uova, Cfr. quotidiano Gazzetta del Popolo
del 26/03/53, il sanguinario comandante partigiano Roberto Chiabrando sarà fatto
fucilare dagli stessi partigiani nel Febbraio del 1945. (Vite Spezzate n.
14484)
157) TROSSARELLO ARMIDA in ZOPPA,
nata a Canelli (AT) di anni 33, fermata da partigiani il 10 Maggio 1944 a Santo
Stefano Belbo, trattenuta una quarantina di giorni dal comandante partigiano E.
G.”Lupo” della 99° Brigata che ne abusò liberamente, quindi il 28 Agosto
soppressa dal partigiano T.T. nel territorio del comune di Feisoglio e
seppellita a fior di terra. I partigiani responsabili erano gli stessi che
avevano assassinato Casali Maria con la figlia Anzola Francesca nel Gennaio del
1945 Cfr. Sentenza della Corte di Assise di Cuneo del 24/06/1955 (non presente
in vite spezzate)
158) VALLAURI ANITA MARIA, di
Bartolomeo, nata a Chiusa Pesio il 05/09/1887, ivi residente, benestante,
(figlia del Medico di Dronero e responsabile della locale colonia Elioterapica),
prelevata e soppressa da elementi partigiani nel territorio del comune di Chiusa
Pesio il 6 Aprile 1944. “… confessata dal parroco della frazione e fucilata
al cimitero di San Bartolomeo, la salma traslata nei giorni seguenti al cimitero
di Chiusa Pesio, condannata a morte dall'avvocato Dino Giacosa, dal Ten.
Sacchetti e dal Ten. Vallero”, cfr. "Chiusa Pesio Partigiana" di A.
Pellissero, p. 51. (Vite Spezzate n. 14666)
159) VALORZI TERESA, di Natalino,
nata a Mango il 04/02/1926, residente ad Asti, casalinga, soppressa da elementi
partigiani nel territorio del comune di Mango in data imprecisata del 1945. Cfr.
Lino Toselli, Memorie, dattiloscritto (Vite Spezzate n. 14716)
160) VARESIO ERMINIA EMILIA
GIUSEPPINA, di Ernesto, n. a Torino il 17/07/1912, residente a Cuneo,
casalinga, uccisa da partigiani con la sorella Teresa il 4 Maggio 1945,
prelevate e portate a Roata Lerda, Tetto Beccaris ed uccise in un campo di grano
con un colpo alla nuca dal partigiano Sabino Bellone, la loro pasticceria in via
Armando Diaz fu saccheggiata come la loro casa. Cfr. memorie Toselli,
dattiloscritto. (Vite Spezzate n. 14741)
161) VARESIO TERESA ADALGISA
GIOVANNA, di Ernesto, n. a Torino il 20/02/1908, residente a Cuneo,
casalinga, uccisa con la sorella Erminia. (per le circostanze vedi Varesio
Erminia) (Vite Spezzate n. 14742)
162) VIALE ANNA LUCIA, di Giobatta n.
a Roccasparvera il 21/09/1919, residente a Roccavione, casalinga, soppressa,
dopo essere stata violentata, da elementi partigiani il 3 Marzo 1945 e sepolta
al cimitero di San Giacomo di Boves con altre 5 persone e due soldati tedeschi.
Cfr. Registro parrochiale di San Giacomo di Boves in E. Zucconi, “Boves
1943-1945 Venti mesi difficili”, p. 141. (Vite Spezzate n. 14848)
163) VIGLIZZO GIUSEPPINA, di
Giobatta, nata a Murialdo (SV) residente a Sanremo, di anni 28, prelevata da
elementi partigiani appartenenti alla 6° Brigata Garibaldi “Astengo” assieme al
padre e soppressi in località Gioia di Castelnuovo di Ceva il 27 Gennaio 1945.
Cfr. Sentenza della Corte di Assise di Cuneo del 06/06/1959. (non presente in
Vite Spezzate)
164) VOARINO CAROLINA FELICINA, di
Giovanni, nata a Mombarcaro il 23/05/1899, residente a Murazzano, casalinga,
prelevata da elementi partigiani da Murazzano perché sospettata di spionaggio il
21 Maggio 1944 e soppressa nel territorio di quel comune il il 24 Maggio 1944.
Cfr. Biglietto Urgente di Servizio della Questura di Cuneo del 29/05/1944 al
Ministero degli Interni; Notiz. GNR-CN del 03/06/1944 (Vite Spezzate n.
15095)
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