Giuseppina Ghersi
Sono passati 70 anni da quei
giorni infernali in cui a Savona spadroneggiavano gli sciacalli, giovani che
affermavano di essere partigiani indossandone i simboli, portando le armi e
decidendo chi meritasse di vivere e chi no. La città fu insanguinata da questa
ventata di follia ammantata di ideologia ma che in realtà portò a facili
arricchimenti, nutrendo il delirio di onnipotenza di questi giovani sciacalli.
In fondo uccidere Fascisti non era male, anche se a cadere erano persone di
ogni età che nulla avevano a che a spartire con il Regime Repubblichino. Con
tutti i mezzi possibili si cercò di modificare la società Savonese usando la
pulizia etnica corredata di una violenza incredibile anche per quei tempi
oscuri. Moltissime famiglie Savonesi hanno pianto violenze, espropri, pestaggi,
omicidi e sparizioni di propri congiunti senza che venisse resa loro Giustizia,
questa era Savona nel 1945 e negli anni a seguire. Intere famiglie, in questa
martoriata terra vennero depredate e trucidate, la famiglia Turchi, la famiglia
Biamonti, Regina Vendrame, Ernesto Lorenza, Amilcare Salemi, Rosa Amodio,
Francesco Negro, la Contessa Zaraudka e la sua cameriera, Francesca Binaero,
Clotilde Biestra, Giuseppe Wingler, Giuseppina Ferrari, Lucio Guerra, si
potrebbe continuare ma fra tutti spicca il nome di una tredicenne: Giuseppina
Ghersi, una giovanissima Savonese figlia di commercianti di frutta e verdura.
Fu rapita, stuprata e infine uccisa con il classico colpo alla nuca. I suoi
genitori imprigionati da chi gestiva il potere a Savona, in quegli anni, furono
talmente terrorizzati da dover andare via da Savona per evitare ulteriori lutti.
Tutti , in quegli anni sapevano i nomi degli assassini di questa adolescente e
le ragioni di questo assurdo crimine che non troverà mai alcuna giustificazione
davanti a Dio e agli uomini, erano tre ausiliari della polizia partigiana, in
preda a un delirio di onnipotenza che in questa povera città non troverà mai
più uguali. Ora a distanza di 70 anni, la tomba di questa povera bimba e quella
del suo assassino, distano una cinquantina di metri, ma la prima è meta di un
continuo pellegrinaggio mentre quella del capo banda non è vistata da nessuno,
neppure i suoi parenti, conoscendo il suo orrendo agire vengono a deporre un
fiore sulla tomba di chi ha vissuto senza morale e senza scrupoli. Qualcuno,
molto politicizzato, afferma che ricordare questi morti innocenti, è solo una
volontà di strumentalizzare, in realtà è solo il ricordo cristiano di chi da
vivo non ha trovato avvocati difensori ma almeno da morto viene ricordato nell’ambito
di un culto Cristiano che ci appartiene.
Roberto Nicolick
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