lunedì, maggio 25, 2015

Incisa Scapaccino




Incisa è un piccolo centro abitato nel sud della provincia di Asti, a poca distanza dalla Provincia di Alessandria. Ci sono arrivato in un assolato pomeriggio domenicale, con una motivazione molto precisa: volevo vedere personalmente un monumento nella piazza principale del paese, a breve distanza dal Palazzo Comunale. Incisa  un tempo si chiamava Incisa Belbo, poi nel 1928 un Regio Decreto modificò Belbo in Scapaccino. Non tutti sanno che Incisa diede i natali ad  un cittadino che in seguito si arruolò  nei Reali Carabinieri,  si chiamava Giovanni Battista Scapaccino .
Egli fu il primo caduto in servizio del Corpo Carabinieri, poi Arma dei Carabinieri.
Il Carabiniere Scapaccino era in servizio a  Les Echellese in Savoia, che a quei tempi apparteneva al Regno di Sardegna , era  il 3 febbraio del 1834, il  militare da solo affrontò un gruppo di insorti Repubblicani che sotto la minaccia delle armi gli intimò di gridare viva la repubblica, invece il Carabiniere inneggiò al re e ovviamente i Mazziniani gli spararono uccidendolo.
Per questo suo gesto eroico, fu insignito della Medaglia D’Oro al V.M. alla memoria. Scapaccino fu il primo Carabiniere a cadere nell’adempimento del servizio, dopo di lui, sino ai giorni nostri, centinaia di Carabinieri sono caduti servendo il Paese, contro i briganti, i banditi, i terroristi e anche in guerra, cito solo la battaglia di Culquaber, Etiopia, riporto il bollettino ufficiale in data 23 novembre 1941: «Gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell’epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo dei reparti nazionali, il Battaglione Carabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all’ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all’arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti» .
Osservo il viso severo e sereno del Reale Carabiniere Giovanni Battista Scapaccino, scolpito nel freddo marmo del monumento, rimango un minuto in silenzio e mi allontano.

RN

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Oggi ho fatto un raid fotografico a Moncalieri, al suggestivo Castello della Rotta, che comunque non è un castello vero e proprio ma una Casaforte costruita in epoca medioevale per presidiare il ponte sul torrente Banna, importante a livello strategico. Il nome “Rotta” deriverebbe dalla disfatta subita da Tommaso di Savoia contro i francesi nel 1639.  Negli anni ’80 la casaforte è stata restaurata e riportata all’antico splendore e resa abitabile.  Nel tempo è stato proprietà di romani, longobardi e templari. Nel 1196 il castello fu donato dal Vescovo Arduino di Valperga ai Cavalieri di Malta e lo rimase per più di tre secoli. La presenza dei Cavalieri di Malta è comprovata da alcuni documenti storici oltre che da alcuni simboli, come ad esempio le croci patenti  sui pilastri all’entrata.   Nei secoli sono nate intorno a questa costruzione tante storie e leggende, la maggior parte legate a morti violente. Secondo alcuni sarebbe uno dei luoghi più infestati d’Italia, per chi ci crede ovviamente. Le leggende più note sono tre che riporto senza entrare nel merito : Il fantasma del cavaliere templare a cavallo La casaforte della Rotta è stato teatro molti scontri armati . Diversi cavalieri sono stati sepolti tra le sue mura, degli scavi hanno riportato alla luce dei resti. Tra questi scheletri è stato ritrovato quello di un cavaliere, sepolto insieme al suo cavallo, che portava una croce di ferro al collo, i cui resti sono stati datati tra il XV ed il XVI secolo. Il ritrovamento di questo scheletro impressionò molto gli abitanti della zona perché già molto tempo prima si raccontava del fantasma di un cavaliere a cavallo con una croce al collo che girava per il castello. Leggenda narra che in passato arrivò alla casaforte una giovane marchesa francese promessa in sposa al signorotto della Rotta. La giovane però era innamorata di un baldo cavaliere, bello e coraggioso. Il signorotto, una volta scoperta la storia tra i due buttò la povera ragazza dalla torre del castello. Il cavaliere, quando apprese la terribile notizia si votò a Dio e partì per la Terra Santa per combattere gli infedeli. Secondo alcuni il fantasma col cavallo che si aggira per le sale della tenuta sia proprio questo cavaliere che volle farsi seppellire in questo luogo accanto alla sua amata. La leggenda del frate della Rotta Una altra leggenda narra di un nobile, proprietario della Rotta, innamorato di un una bella nobildonna. Nel giorno della festa del fidanzamento della coppia, il palazzo fu attaccato dai saraceni che penetrati nelle mura inseguirono la giovane promessa sposa fino alla sommità della torre dalla quale la ragazza si buttò per non cadere nelle mani del nemico. Il signore del castello combatté valorosamente tutta la notte e riuscì ad allontanare i nemici, ma all’alba vide la sua amata distesa senza vita sul ponte levatoio. Per il dolore e la rabbia il nobile cavaliere decise di partire per la Terra Santa facendosi monaco guerriero templare e per vendicarsi di tutti gli infedeli responsabili della morte della sua promessa dicono che la sua spada ed egli stesso erano assetati di sangue saraceno. La leggenda del bambino e della nutrice nel palazzo vivesse un bambino molto dispettoso che era la croce della sua povera nutrice, costretta a rincorrerlo per tutto il maniero per evitare che si cacciasse nei guai. Un giorno la nutrice non riusciva a trovarlo e, arrivata nel cortile, esausta si fermò un momento per riprendere fiato. Ad un certo punto vedendo ricomparire dall’altra parte del cortile il bambino con un sorriso malizioso e di sfida, la nutrice si lasciò sfuggire un colorito rimprovero. All’improvviso però nel cortile arrivò una carrozza trainata da cavalli imbizzarriti che travolsero il povero bambino. La nutrice sconvolta, andò in cucina e si tolse la vita. Da allora, si dice che i fantasmi del bambino e della donna vaghino per le sale del castello, il primo alla ricerca della propria madre e la seconda in cerca del bimbo. Quest’ultima, oltre ai lamenti, lascerebbe dietro di sé un profumo di rose e gigli.