mercoledì, giugno 17, 2015

I disordini di Genova 1960



Genova nel passato e nel presente,
 laboratorio di violenza di piazza

Dal 19 al 22 luglio 2001, durante il G8,  Genova fu sconvolta da gravissimi scontri tra le forze dell’ordine e frange estremistiche , i cosiddetti Black Block. A farne le spese furono i negozi e le auto dei Genovesi che subirono ingenti devastazioni,oltre che  moltissimi manifestanti che perseguivano finalità non violente. Nel corso dei disordini  ci furono centinaia di feriti e ci scappò anche un morto.

Ma  non fu la prima occasione,  in cui le strade della Superba furono teatro di violenze   infatti ,alla fine del giugno del 1960, avvenne più o meno la stessa cosa : la piazza contro la polizia.

L’elemento catalizzatore delle violenze, fu l’autorizzazione data allo svolgimento di un convegno del M.S.I. ( Movimento Sociale Italiano), notoriamente di destra, che avrebbe dovuto avere luogo proprio a Genova presso il Teatro Margherita in Via XX settembre , il salotto buono della città.
Alla  presenza di 1700 delegati, con la partecipazione di Fabrizio Ciano, Vittorio Mussolini, i Falangisti Spagnoli e i Fascisti britannici di Mosley.
Era il sesto convegno di questo movimento, svoltosi a Milano l’anno precedente, senza particolari proteste.

Genova era anch’essa medaglia d’oro della resistenza pertanto i responsabili dei partiti e dei sindacati di sinistra, e soprattutto i numerosi ex partigiani di tendenza comunista, ancora in servizio permanente effettivo, gridando allo scandalo, non avrebbero mai permesso lo svolgimento di questo incontro politico.  Sarebbe stata anche una prova di forza tra la piazza Genovese, decisamente comunista, e il Governo Democristiano guidato dal Primo Ministro Fernando Tambroni, che si reggeva in Parlamento, proprio grazie ai voti dell’M.S.I.

Dall’inizio di giugno sino al 25, fu tutta una mobilitazione, fatta di scioperi e proteste dell’associazionismo comunista o filo comunista, per fare pressioni sul Governo e sulla opinione pubblica e impedire lo svolgersi del sesto Convegno Nazionale dell’M.S.I..

In buona sostanza si stava pianificando uno scontro di piazza, tra migliaia di dimostranti professionisti della violenza, da una parte, e dall’altra i reparti della polizia, che  il Governo, tramite il Ministro Spataro, avrebbe inviato sul posto per garantire l’ordine pubblico a Genova.

Nello specifico fu inviato il battaglione Celere di Padova, composto da circa 1000 agenti antisommossa, con una cinquantina di automezzi  veloci più alcuni automezzi pesanti.  
Le jeep, Campagnole FIAT oppure Alfa Romeo, sopranominata,  “ La Matta ”,  venivano impiegate in rapidi e spericolati caroselli tra i gruppi di manifestanti. Su questi automezzi, scoperti, trovavano posto dai 4 ai 5 agenti con elmetto e manganello, più il tascapane a tracolla con la maschera antigas e i candelotto lacrimogeni.
Al seguito del reparto c’erano anche due camion cisterna con due idranti.
Le forze di polizia e i Carabinieri presidiarono i punti nevralgici e gli uffici pubblici nel centro della città pronte all’intervento.

Si arrivò quindi alle 16 del 30 giugno 1960: migliaia di manifestanti che provenivano da un comizio adrenalinico di Pertini in Piazza della Vittoria, inquadrati in un lungo e poderoso corteo, percorsero  Via XX Settembre e sbucarono in Piazza De Ferrari dove era schierata la Prima Compagnia del reparto Celere al comando del Capitano Del Serbo .
Subito il corteo cantò inni partigiani   e iniziò un nutrito lancio di  monetine da 5 e 10 lire verso gli agenti, accompagnando il lancio con il grido “ venduti” “morti di fame” verso i  poliziotti e i carabinieri di presidio, allo scopo di provocarne una reazione. Gli agenti per evitare di rimanere accerchiati decisero di usare gli idranti per disperdere l’attacco. La compagnia si ruppe in due tronconi e si trovò in gravi difficoltà.

 L’attacco proseguì violentissimo , con lanci di sedie e tavolini, prelevati da un bar vicino, gli altri reparti accorsi in supporta alla Prima Compagnia reagirono effettuando alcune cariche,  le jeep rosse iniziarono i loro caroselli  tra i pilastri di Via XX settembre. In risposta i manifestanti alzarono delle rudimentali barricate per ostacolare gli automezzi della Celere.

I dimostranti che erano perfettamente organizzati, senza sbandarsi, ma al contrario, mostrando una ottima conoscenza delle tattiche di guerriglia urbana, si ritirarono sotto i portici, al coperto,  da dove continuarono, al riparo delle barricate,  il lancio di arredi urbani  bersagliando gli agenti che erano sugli automezzi.
Gli scontri si estesero a Piazza De Ferrari dove i reparti della Celere iniziarono dei caroselli per disperdere gli attaccanti sempre più numerosi e aggressivi. Un fumo denso e acre, provocato dai lacrimogeni della polizia, ammorbava l’aria. Alcuni reparti di polizia appiedati furono coinvolti in violenti corpo a corpo con i dimostranti.

Nella piazza irruppero, a sorpresa,  alcune centinaia di portuali armati di lunghi bastoni e di ganci che attaccarono violentemente  gli agenti sulle camionette, alcuni mezzi della polizia furono circondati e dati alle fiamme, molti agenti caddero dagli automezzi e furono feriti dagli arnesi di ferro dei portuali,  un ufficiale di polizia che guidava il reparto il Capitano Landei,  fu circondato,  afferrato e gettato ripetutamente nella vasca al centro di Piazza De Ferrari.
Questo episodio venne ripreso da tutti i media nazionali e stranieri. Molto poliziotti avranno i visi deturpati da cicatrici provocate dagli uncini, alcuni perderanno dei denti, altri subiranno ustioni di vario grado per le bottiglie incendiarie lanciate dai dimostranti.

Ad ogni carica della Celere, i dimostranti fuggivano nei vicoli, inseguiti dagli agenti appiedati che venivano bersagliati dalle finestre con proiettili improvvisati ed erano costretti a ripiegare a De Ferrari
Fu uno scontro durissimo in cui i comunisti “duri e puri”,  dimostrarono di essere all’altezza della loro fama.  La polizia, anche se duramente attaccata non fece uso di armi da fuoco.
Alla fine degli scontri si contarono 40 feriti tra i manifestanti, almeno ufficialmente,  e ben 142 tra i Celerini, più alcune camionette incendiate e andate completamente distrutte.
Nei giorni successivi, vista la situazione, sulla camionale di Serravalle , dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Emilia stavano muovendo in direzione di Genova colonne mobili con autoblindo, di Carabinieri e di poliziotti pronte a domare quella che era una vera e propria sedizione.
Si profilava uno scontro più grande ancora tra lo Stato e la piazza.
Iniziò un lavoro febbrile di mediazione e di trattative tra il Prefetto, il Questore e i rappresentanti dei partiti e dei sindacati per evitare un bagno di sangue.
I responsabili dell’MSI volevano tenere ad ogni costo il convegno al Teatro Margherita con le conseguenze del caso.
La proprietà del teatro interveniva comunicando la improvvisa indisponibilità del locale e rendendosi pronti a dare in cambio il Teatro Ambra a Nervi.
A questo punto la Direzione del M.S.I. per motivi morali decideva di rinunciare al congresso.
Di conseguenza tutti gli scioperi generali indetti per il 2 luglio 1960 furono immediatamente annullati.
 Lo stesso giorno tutti i 1700 delegati MSI furono scortati dalla polizia e dai Carabinieri ai treni, mentre quelli in auto furono scortati dalle camionette sino alla estrema periferia di Genova.



Fra le icone di questa terribile giornata rimarranno sempre nell’immaginario collettivo le magliette a righe dei portuali, i loro ganci da lavoro usati come armi improprie, gli elmetti dei celerini e le camionette rosse della Celere.
In seguito a queste giornate di violenza, in altre città d’Italia avranno luogo ulteriori scontri di piazza : Milano, Ravenna, Ferrara e Reggio Emilia, dove la polizia messe alle strette dovette fare uso delle armi di ordinanza.

In questi casi come a Genova , emerse una attenta regia degli scontri che organizzò gli attacchi alla polizia, sullo stile della guerriglia urbana, squadre di 5 – 10 uomini, applicavano il mordi e fuggi nei confronti della Celere, un medico era a disposizione per non medicare i feriti e così non trasportarli  negli ospedali, c’erano depositi di bastoni e sassi da usare negli scontri e un collegio di avvocati era pronto nella difesa degli arrestati.

Successivamente ci furono dei processi penali, con  41 condanne di manifestanti con pene attorno ai 4 anni, per oltraggio, violenza e adunata sediziosa, oltreché per porto abusivo di coltello. Tuttavia a quasi tutti gli imputati furono riconosciute le attenuanti generiche e di aver agito per particolari motivi di carattere sociale e morale .
Fu comunque una grande prova del fuoco, in cui le squadre rosse, provenienti dalla lotta clandestina contro i fascisti, sperimentarono le loro strategie e i loro metodi sul campo in uno scontro con lo Stato, negli anni a seguire, sempre a Genova, ci avrebbero pensato le Bierre, negli anni di piombo, con metodi più militari.

Roberto Nicolick

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