Caterina Fort
detta Rina
la belva di Via San
Gregorio
Caterina Fort detta Rina,
nasce in Friuli a Santa Lucia di Budoia, ultima di cinque figli , in
una famiglia contadina, è una ragazzina spigliata e dai profondi
occhi scuri, la sua vita viene segnata dalla tragica morte del padre
che , in sua presenza, cade in un orrido morendo.
Il dolore sarà così
terribile che la giovinetta, subirà un blocco dello sviluppo negli
organi genitali, mentre il resto del suo corpo proseguirà a
svilupparsi normalmente.
A sedici anni, arriva a
Milano, dove lavora come domestica, In effetti Rina, è un tipo che
non passa inosservato, dalle forme procaci, dalle labbra carnose e
dai capelli neri, con uno sguardo penetrante ma, al di là del suo
aspetto fisico è affetta da una frigidità che le impedisce di avere
piacere dai rapporti di natura sessuale.
Si fidanza con una bravo
giovane che dopo poco, si ammala di TBC e muore lasciando nella Rina,
un grande vuoto, alla ricerca di una stabilità affettiva, su unisce
in matrimonio con un uomo del suo paese, il quale purtroppo nella
prima notte di matrimonio, da in escandescenze e deve essere
ricoverato in manicomio.
La donna, torna a Milano,
in un bar è notata casualmente da un uomo meridionale, Giuseppe
Ricciardi, che si invaghisce e la corteggia con insistenza sino a
quando lei cede. Lui afferma di essere singolo, commerciante di
tessuti e che vuole aprire un negozio in centro. L'uomo non è bello,
neppure affascinante e tanto meno intelligente, ma può dare alla
Rina una parvenza di stabilità che è quello lei che cerca. Iniziano
a convivere e Rina lavora nel negozio di tessuti dell'uomo,
formalmente come commessa ma di fatto è la padrona.
Poi accade
l'imprevedibile, dietro insistenza di Rina che vorrebbe sposarsi,
Giuseppe ammette di avere una famiglia, moglie e tre figli, giù a
Catania, anzi la moglie Franca Pappalardo, aspetta da lui il quarto.
E' una delusione cocente per Rina, ma fintanto che la moglie e i
figli rimangono lontani, lei può continuare il suo menage e
l'attività in negozio.
Ma, la moglie arriva a
Milano, portando con sé i figli, capisce che il marito ha una
relazione extraconiugale, lo invita a tornare alle sue responsabilità
ed egli , debole, tentenna ma obbedisce. Giuseppe con i suoi
tradimenti è sicuramente il responsabile morale di quello che
accadrà dopo. Rina in seguito a questa ennesima delusione che la
vita le fa subire, ha un crescendo di odio, la sera del 24 novembre
1946, sapendo che Giuseppe era a Firenze, esce dal negozio di
pasticceria dove lavora. Sotto una pioggerellina battente raggiunge
Via San Gregorio, al civico numero 40, dove sa che abita la moglie
del suo ex amante, con i tre figli.
Sale le scale sino al
primo piano e suona al campanello, le apre Franca a cui Rina chiede
di entrare per scambiare alcune parole. Franca la riceve in cucina e
come d'uso in meridione, le offre un bicchierino di Rosolio, su cui
Rina lascia traccia di rossetto.
La conversazione iniziata
pacata, trascende, le due donne iniziano ad accapigliarsi e a
lottare, ma Rina, più giovane e vigorosa ha la meglio e abbatte sul
pavimento Franca, impacciata dalla maternità.
Poi afferra una spranga
di ferro e inizia a colpirla al capo. Franca a terra, urla e corre in
suo aiuto, il primogenito Giovannino di 9 anni che salta addosso alla
Rina, la quale con un fendente della spranga lo neutralizza. Poi si
reca in salotto e aggredisce la piccola Pinuccia di 5 anni che
cercava di sfuggire nascondendosi, anche la bimba è colpita dalla
spranga e cade a terra nel suo sangue.
Ma il peggio viene
raggiunto con l'aggressione del piccolissimo Antoniuccio, di appena
10 mesi, seduto sul seggiolone, che strillava terrorizzato. Rita lo
colpisce con uno solo colpo della spranga nel cranio, a seguito del
quale si accascia con il capo sul seggiolone.
Il silenzio cala sulle
stanze lorde dei sangue di una povera donna incinta e dei suoi tre
bimbi, mentre Rita esce dalla porta. Nessuno dei vicini ha sentito le
urla delle vittime. Dopo una breve sosta nel sottoscala, Rita torna
nell'appartamento, nota che nessuno è ancora deceduto, prende degli
stracci, li imbeve di ammoniaca e li infila a forza nella gola della
donna e dei bimbi, dando loro il colpo di grazia. Poi si allontana
definitivamente. Una vicina troverà tutto quello scempio e avviserà
la Polizia. Gli inquirenti non hanno mai visto nulla di simile, una
efferatezza così elevata, una ferocia che non ha rispettato nessuno:
ovunque sangue, materia celebrale e vomito e quattro corpi con il
cranio devastato. La testimonianza di una commessa porta subito il
commissario Nardone sulle tracce di Rita Fort, interrogata manifesta
una freddezza presente solo in una persona innocente,ma tre piccole
macchie di sangue sul suo abbigliamento la tradiranno, sangue della
Franca. Arrestata, Rita Fort sino all'ultimo cercherà di dare
versioni diverse, rinviata a giudizio subirà nel 1952, la condanna
all'ergastolo, confermata tre anni dopo meritandosi l'appellativo di
belva di Via San Gregorio. Verrà anche sottoposta a perizia
psichiatrica dallo stesso specialista che ha esaminato la Cianciulli,
meglio nota come la saponificatrice di Correggio e verrà giudicata
come capace di intendere e di volere.
Sconterà la pena nel
carcere di S. Frediana a Firenze e dopo 28 anni di detenzione, per
buona condotta, sarà graziata dal Presidente della Repubblica e
rilasciata in libertà condizionata. Lasciando il carcere, donerà ad
alcune detenute i suoi unici averi: tre bambole di pezza. Sparirà
nell'oblio, cercando di farsi dimenticare cambiando anche cognome da
Fort a Furlan, per poi morire il 2 marzo 1988, a causa di un arresto
cardiaco , in solitudine, in un piccolo appartamento a Firenze.
Roberto Nicolick
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