mercoledì, ottobre 26, 2016

Caterina Fort
detta Rina
la belva di Via San Gregorio


Caterina Fort detta Rina, nasce in Friuli a Santa Lucia di Budoia, ultima di cinque figli , in una famiglia contadina, è una ragazzina spigliata e dai profondi occhi scuri, la sua vita viene segnata dalla tragica morte del padre che , in sua presenza, cade in un orrido morendo.
Il dolore sarà così terribile che la giovinetta, subirà un blocco dello sviluppo negli organi genitali, mentre il resto del suo corpo proseguirà a svilupparsi normalmente.
A sedici anni, arriva a Milano, dove lavora come domestica, In effetti Rina, è un tipo che non passa inosservato, dalle forme procaci, dalle labbra carnose e dai capelli neri, con uno sguardo penetrante ma, al di là del suo aspetto fisico è affetta da una frigidità che le impedisce di avere piacere dai rapporti di natura sessuale.
Si fidanza con una bravo giovane che dopo poco, si ammala di TBC e muore lasciando nella Rina, un grande vuoto, alla ricerca di una stabilità affettiva, su unisce in matrimonio con un uomo del suo paese, il quale purtroppo nella prima notte di matrimonio, da in escandescenze e deve essere ricoverato in manicomio.
La donna, torna a Milano, in un bar è notata casualmente da un uomo meridionale, Giuseppe Ricciardi, che si invaghisce e la corteggia con insistenza sino a quando lei cede. Lui afferma di essere singolo, commerciante di tessuti e che vuole aprire un negozio in centro. L'uomo non è bello, neppure affascinante e tanto meno intelligente, ma può dare alla Rina una parvenza di stabilità che è quello lei che cerca. Iniziano a convivere e Rina lavora nel negozio di tessuti dell'uomo, formalmente come commessa ma di fatto è la padrona.
Poi accade l'imprevedibile, dietro insistenza di Rina che vorrebbe sposarsi, Giuseppe ammette di avere una famiglia, moglie e tre figli, giù a Catania, anzi la moglie Franca Pappalardo, aspetta da lui il quarto. E' una delusione cocente per Rina, ma fintanto che la moglie e i figli rimangono lontani, lei può continuare il suo menage e l'attività in negozio.
Ma, la moglie arriva a Milano, portando con sé i figli, capisce che il marito ha una relazione extraconiugale, lo invita a tornare alle sue responsabilità ed egli , debole, tentenna ma obbedisce. Giuseppe con i suoi tradimenti è sicuramente il responsabile morale di quello che accadrà dopo. Rina in seguito a questa ennesima delusione che la vita le fa subire, ha un crescendo di odio, la sera del 24 novembre 1946, sapendo che Giuseppe era a Firenze, esce dal negozio di pasticceria dove lavora. Sotto una pioggerellina battente raggiunge Via San Gregorio, al civico numero 40, dove sa che abita la moglie del suo ex amante, con i tre figli.
Sale le scale sino al primo piano e suona al campanello, le apre Franca a cui Rina chiede di entrare per scambiare alcune parole. Franca la riceve in cucina e come d'uso in meridione, le offre un bicchierino di Rosolio, su cui Rina lascia traccia di rossetto.
La conversazione iniziata pacata, trascende, le due donne iniziano ad accapigliarsi e a lottare, ma Rina, più giovane e vigorosa ha la meglio e abbatte sul pavimento Franca, impacciata dalla maternità.
Poi afferra una spranga di ferro e inizia a colpirla al capo. Franca a terra, urla e corre in suo aiuto, il primogenito Giovannino di 9 anni che salta addosso alla Rina, la quale con un fendente della spranga lo neutralizza. Poi si reca in salotto e aggredisce la piccola Pinuccia di 5 anni che cercava di sfuggire nascondendosi, anche la bimba è colpita dalla spranga e cade a terra nel suo sangue.
Ma il peggio viene raggiunto con l'aggressione del piccolissimo Antoniuccio, di appena 10 mesi, seduto sul seggiolone, che strillava terrorizzato. Rita lo colpisce con uno solo colpo della spranga nel cranio, a seguito del quale si accascia con il capo sul seggiolone.
Il silenzio cala sulle stanze lorde dei sangue di una povera donna incinta e dei suoi tre bimbi, mentre Rita esce dalla porta. Nessuno dei vicini ha sentito le urla delle vittime. Dopo una breve sosta nel sottoscala, Rita torna nell'appartamento, nota che nessuno è ancora deceduto, prende degli stracci, li imbeve di ammoniaca e li infila a forza nella gola della donna e dei bimbi, dando loro il colpo di grazia. Poi si allontana definitivamente. Una vicina troverà tutto quello scempio e avviserà la Polizia. Gli inquirenti non hanno mai visto nulla di simile, una efferatezza così elevata, una ferocia che non ha rispettato nessuno: ovunque sangue, materia celebrale e vomito e quattro corpi con il cranio devastato. La testimonianza di una commessa porta subito il commissario Nardone sulle tracce di Rita Fort, interrogata manifesta una freddezza presente solo in una persona innocente,ma tre piccole macchie di sangue sul suo abbigliamento la tradiranno, sangue della Franca. Arrestata, Rita Fort sino all'ultimo cercherà di dare versioni diverse, rinviata a giudizio subirà nel 1952, la condanna all'ergastolo, confermata tre anni dopo meritandosi l'appellativo di belva di Via San Gregorio. Verrà anche sottoposta a perizia psichiatrica dallo stesso specialista che ha esaminato la Cianciulli, meglio nota come la saponificatrice di Correggio e verrà giudicata come capace di intendere e di volere.
Sconterà la pena nel carcere di S. Frediana a Firenze e dopo 28 anni di detenzione, per buona condotta, sarà graziata dal Presidente della Repubblica e rilasciata in libertà condizionata. Lasciando il carcere, donerà ad alcune detenute i suoi unici averi: tre bambole di pezza. Sparirà nell'oblio, cercando di farsi dimenticare cambiando anche cognome da Fort a Furlan, per poi morire il 2 marzo 1988, a causa di un arresto cardiaco , in solitudine, in un piccolo appartamento a Firenze.

Roberto Nicolick


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