Portuali
una storia, una epopea
E’
uscito qualche mese fa un cortometraggio che tratta del porto di
Savona e soprattutto dei portuali, una categoria di lavoratori che
hanno tuttora il compito di movimentare le merci da e sulle navi
mercantili che attraccano nei porti. Si potrebbe definire quella dei
portuali o dei camalli che dir si voglia, come un’era, una epopea,
con i suoi eroi, con le sue luci e con le sue ombre, con le sue
precise caratteristiche ma sarebbe opportuno anche dire altre cose,
magari meno santificanti ma più genuine su questa categoria di
operatori, che per amore di verità non si possono tacere, pur senza
voler inficiare l’onestà della quasi totalità delle migliaia di
persone che hanno lavorato sulle banchine del porto di Savona.
Parlo
con cognizione di causa perché mio padre era un portuale, un
camallo di Savona, classe 1921, categoria tiraggio, Steva o anche
Stevanin, per lunghi anni ha mantenuto una famiglia con moglie e
quattro figli, grazie alla Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie, al
suo sudore, alla sua fatica spesa sulle banchine di tutte le zone in
cui era suddiviso il porto. A 25 anni entrò nei ruoli della al
CULMV, prima come avventizio e poi come socio. Essere socio al porto,
era considerata in quel periodo, una fortuna a Savona, un posto di
lavoro sicuro anche se molto faticoso e pure pericoloso, questo era
il sogno di molti giovani Savonesi, negli anni 50 e 60 e forse anche
dopo.
Avevo
8 anni, d’estate ero libero dalla scuola, e mi recavo qualche
mattina ad aspettare mio babbo dal lavoro, dopo che aveva passato la
notte a caricare o scaricare qualche nave. Mi mettevo accanto al
varco , dove c’erano i cancelli e la guardiola della finanza, a
sinistra le Dogane e a destra la palazzina della compagnia.
Una
fiumana di uomini, di tutte le taglie, in canottiera bianca o blu,
con la bicicletta per mano, uscivano dal varco, molti sorridenti,
altri accigliati e sicuramente stanchi, ma soprattutto erano persone
, nel vero senso della parola. Quelle centinaia di portuali
rappresentavano uno spaccato socio-psicologico di una città con i
suoi pregi e anche con i suoi difetti. Qualche volta all’uscita si
formava un capannello di uomini vocianti perché al centro di esso
due loro colleghi si prendevano a pugni, era uno spettacolo, botte da
orbi e poi dopo qualche minuto di pugni ben dati e presi, i due
contendenti pesti e contusi andavano all’osteria a bere assieme.
Quando
i portuali iniziavano un lavoro, sapevano l’ora e il giorno di
inizio ma non sapevano quando avrebbero finito, questa era una dura e
impegnativa caratteristica di questo lavoro. Un’altra peculiarità
era l'elevato rischio infortunistico, si poteva cadere dentro una
stiva vuota, essere schiacciato da una imbragata di una gru, arrotato
da uno dei camion che entravano ed uscivano dal porto, cadere in mare
da una banchina, travolto dai vagoni del treno che passava sui binari
delle banchine.
Alcuni
portuali erano privi di un dito, altri claudicanti come mio padre,
altri portatori di diverse fratture assemblate da qualche mezzo di
sintesi, c’era un bel campionario di traumi da lavoro, perché
oggettivamente la normativa antinfortunistica lasciava molto a
desiderare e gli operatori erano personaggi insofferenti alle regole.
Il
lavoro era tutto, ma anche i soldi, che attraverso questo particolare
lavoro erano molto importanti, e non erano pochi per i canoni
dell’epoca, guadagnati con fatica ma erano tanti e spesso spesi a
mente leggera, tanti ne entravano e tanti ne uscivano.
Un’altra
cosa importante per i portuali erano le donne, spesso corteggiate con
modi bruschi e non da nobiluomini, ma pur sempre presenti nella loro
mente e nei loro desideri. E le donne dell’epoca sapevano di essere
desiderate dai camalli e spesso ci marciavano, soprattutto quelle
spregiudicate che spolpavano il portafogli di questi uomini forti e
rudi ma semplici, che cadevano nelle reti della seduzione femminile.
I camalli erano molto “guasconi”nelle loro manifestazioni, quando
arrivava in città qualche compagnia di varietà, con ballerine al
seguito, si recavano allo spettacolo, presso il Teatro “Gabriello
Chiabrera” e omaggiavano queste soubrette con spettacolari mazzi di
rose rosse nella speranza di conquistarle.
I
portuali erano al 99% di fede comunista-qualunquista, in quanto il
partito era nel loro immaginario, purtroppo solo nelle loro menti,
uno strumento di liberazione delle masse oppresse e non come nella
realtà un poltronificio.
Quindi
quando in città arrivava qualche politico non comunista, quelli
liberi dal lavoro si catapultavano in piazza a disturbare il comizio
menando i poveri disgraziati che plaudivano all’oratore, e in
qualche occasione a scontrarsi con la Celere. Su questa
politicizzazione della categoria molti furbastri ci hanno marciato,
scalando i vertici della Compagnia, facendo pochissime ore di lavoro
sulle banchine, strumentalizzando il lavoro degli altri e usando il
consenso dei compagni per assumere cariche politiche o istituzionali
grazie ai flussi elettorali molto disciplinati.
In
realtà i portuali conoscevano benissimo la stoffa dei loro dirigenti
e le loro ambizioni, ma forse preferivano così per poter continuare
a mugugnare. Ricordo un episodio sintomatico, negli anni 60 attraccò
a Savona, una nave dell’allora Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche, con a poppa la bandiera rossa con la falce e martello.
Espletate le operazioni amministrative, i portuali salirono a bordo
per iniziare i lavori di scarico ed estasiati di essere su una nave
del paradiso dei lavoratori, vollero subito abbeverarsi alle
fontanelle di acqua potabile, magnificando tra loro la bontà e la
purezza dell’acqua dell’Unione Sovietica. Loro non sapevano che
quell’acqua, che stavano trangugiando con tanto entusiasmo,
proveniva dalla rete idrica del Comune di Savona che si era
allacciata con una manichetta ai serbatoi della nave. Bevevano
l'acqua del Sindaco , non di Kiev, ma di Savona.
Sulle
tavole dei portuali c’era sempre cibo in abbondanza, anche esotico,
riso a profusione, banane in quantità, pesce surgelato e ananas
perché quella era merce che arrivava sui mercantili nel porto di
Savona e andava, in un modo o in un altro, ad guarnire appunto le
tavole delle famiglie dei lavoratori. Anche le stecche di sigarette
compivano viaggi di andata senza ritorno, dalle navi all'interno ai
tasconi dei giacconi dei portuali che non obbligatoriamente
fumavano, ma facevano quella che si chiama violazione sulle norme dei
tabacchi esteri, alimentando un commercio illegale in città, che
rivaleggiava con quello del Monopolio.
I
nomignoli che i portuali si affibbiavano tra loro erano un capolavoro
di fantasia e di inventiva, ne voglio ricordare solo uno: “Gilera”,
appiccato al compianto Vitaliano, che per anni lavorò sulle banchine
del porto di Savona e che cavalcava per le vie cittadine, come un
centauro, appunto un motociclo Gilera da cui il soprannome.
Ora
il vecchio porto non esiste più, i vecchi ganci sono un ricordo da
esporre in una bacheca, la fiumana di portuali è un rigagnolo e le
storie che si raccontano tra loro i vecchi camalli stanno sparendo
nelle nebbie del tempo in qualche triste ospizio.
Roberto
Nicolick
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