lunedì, novembre 28, 2016

Gemisto



Gemisto

Il numero civico 8 di Via Gorizia a Genova Sturla è una tranquilla palazzina di cinque piani, al 16 , quella mattina intorno alle 10 di un giorno di dicembre del 1966, una donna di appena 51 anni, Teresa, si tolse la vita con il gas. Teresa fu l'ultima vittima innocente, in ordine di tempo, di un caporione partigiano comunista, Franco Moranino detto Gemisto.
Teresa si tolse la vita a distanza di 22 anni dall'omicidio di suo marito, era la vedova inconsolata di Emanuele Strasserra, medaglia d'oro V.M., Manuel, responsabile della missione alleata Cherookee, inviato nel '44, dall'O.S.S. ( il servizio segreto Americano ), nel Biellese e assassinato dai partigiani comunisti in una imboscata orchestrata e ordinata da Moranino.
Il dolore per questo tragico evento, perseguitò Teresa Strasserra così pesantemente che, dopo anni di inaudite sofferenze decise di farla finita.
Emanuele non fu l'unico del raggruppamento, noto anche come Missione Strasserra , ad essere eliminato, con lui caddero a Portula, in Val Sessera, il 29 novembre 1944, anche il tenente Santini, il Brigadiere Scimoni, il sergente Francesconi ed Ezio Campasso. I corpi trapassati dalle raffiche sparate da quelli che credevano amici, vennero poi gettati da una scarpata e su di essi gli assassini gettarono dei massi per coprire il loro gesto infame.
Gli esecutori materiali furono i partigiani comunisti “Negher” e “Ilvo”, i quali dopo aver compiuto la strage , spogliarono i cadaveri di tutto ciò che poteva avere un valore. Lo stesso Negher mostrava in seguito ai suoi compagni di brigata, l'orologio da polso, che aveva sottratto ad una delle vittime, contestualmente sparirono anche quattrocentomila lire dalle tasche dei cinque agenti alleati che speravano di attraversare il confine e giungere in Svizzera, con l'aiuto dei partigiani di Moranino, purtroppo si erano affidati alle mani sbagliate.
Ma non era finita, lo stesso Moranino, diede ordine di eliminare anche le mogli di Santucci e Francesconi, Maria Dau e Maria Martinelli, diventate troppo curiose sulla sorte dei loro mariti e che strepitavano per sapere che fine avessero fatto i loro due mariti e gli altri membri della missione.
Infatti esse non avevano ricevuto via radio, la conferma dell'arrivo in Svizzera dei loro uomini, pertanto continuavano a fare domande ai partigiani, creando imbarazzo gli assassini, andavano messe a tacere. E così fu
Due partigiani, “Volante” alias Santi Ermo e “Sguaita” alias Sguaitamatti Remo, il 9 gennaio del 1945, si recarono presso le abitazioni delle due donne, e le prelevarono, con la scusa di accompagnarle ad un colloquio con Moranino.
Invece furono portate a Flecchia, una piccola frazione di montagna del Biellese, ed assassinate con la solita barbarie che caratterizzava questi criminali: una delle due povere donne ferita a morte si gettò addosso ad uno dei killer, ingaggiando una disperata colluttazione, l'altro partigiano dovette spararle ripetutamente per avere ragione di lei.
Poi le trascinarono all'interno del camposanto, scavarono in una tomba e vi gettarono sbrigativamente i corpi nudi delle donne, proprio sopra una bara ivi sepolta da anni e in via di dissoluzione, le trattarono come cani rabbiosi abbattuti.
Un particolare toccante, raccontato successivamente dagli assassini in tribunale, fu che la piccola figlia di una delle due sventurate vedendo la mamma allontanarsi con quei figuri, iniziò a singhiozzare, quasi presagendo quello che sarebbe accaduto e non voleva staccarsi dalla mamma.
Tutti gli assassini ricevettero da Moranino, per lo sporco lavoro compiuto, una prebenda di 300 lire con l'ordine di non raccontare ad alcuno quello che avevano fatto.
Questo eccidio compiuto in due tempi diversi, venne pianificato ed ordinato da una sola mente, Franco Moranino, detto Gemisto, per motivi che non riguardavano la Resistenza. Gemisto temeva che il gruppo di agenti alleati, raggiunta la Svizzera, avrebbe relazionato ai loro superiori sull'orientamento politico della sua Brigata Garibaldina che come è noto era solo ed unicamente comunista.
Inoltre i membri del Gruppo Strasserra conoscevano i metodi brutali usati da Moranino per fare terra bruciata attorno a sé, esecuzioni sommarie senza processo, spoliazioni di beni, violenze gratuite contro presunti fascisti. Cose non tollerate dai Comandi Angloamericani i quali una volta avuta contezza dei fatti, avrebbero chiuso i rubinetti dei rifornimenti interrompendo gli aviolanci di materiale bellico e di viveri grazie a cui Moranino e i suoi compagni, manteneva un ruolo egemone nel triangolo compreso tra Vercelli, Biella e Novara.
Decise quindi di liquidare i cinque agenti alleati impedendogli di arrivare in Svizzera, assassinando anche le loro due mogli, nonostante essi fossero tutti dei sinceri patrioti antifascisti ma non comunisti e quindi in contrapposizione alla sua azione politica e militare.
Non era l'unica volta che Moranino toglieva di mezzo delle formazioni partigiane autonome che potevano creargli dei fastidi, egli doveva essere l'unico nel Piemonte nord occidentale a ricoprire il ruolo di campione della lotta antifascista e non ebbe mai scrupoli a servirsi anche dell'inganno e del tradimento.
Nel gennaio del 45, durante un imponente rastrellamento da parte di ingenti forze nazifasciste, il fronte partigiano era formato ai lati da due divisioni partigiane comuniste e al centro da una divisione partigiana autonoma, denominata “Biscotti” dal nome dei due fratelli che la comandavano.
Nel corso dell'attacco Tedesco le ali dello schieramento, formate dalle brigate comuniste fra cui la 12° divisione di Moranino, arretrarono improvvisamente sganciandosi deliberatamente dallo scontro.
Nessuno dei capi comunisti avvisò la Brigata Biscotti dell'azione di sganciamento, per cui essa fu aggirata dal nemico e travolta, gli stessi due fratelli caddero in combattimento assieme a molti loro partigiani.
In questo modo proditorio Gemisto si liberò della presenza delle formazioni autonome.
Moranino, in seguito Onorevole del P.C.I. nacque come operaio tessile di Tollegno, molto astuto, comunista convinto, freddo e calcolatore.
Assunse il nome di battaglia di Gemisto, mutuandolo da un antico filosofo del 1400 che si propose di unificare tutte le religioni esistenti una unica dottrina. Poi ci fu la strage dell'ex O.P. Di Vercelli in cui almeno 60 , o forse 150. miliziani Repubblichini vennero massacrati, tra Greggio, Vercelli e Lazzirate.
Moranino aveva davvero compiuti troppe atrocità, il Procuratore di Generale Torino nel 1949 lo indagò e lo rinviò a giudizio per omicidio continuato nei confronti dei cinque membri della missione alleata e delle due donne.
Sentendo aria di bufera, Gemisto si rifugiò in Cecoslovacchia, fu condannato in contumacia presso la Corte di Assise di Firenze alla pena dell'ergastolo, pena condonata e ridotta a 10 anni di detenzione. La sentenza venne confermata in Cassazione e poi nel 65 sopravvenne la Grazia del Presidente Saragat che gli permise di tornare nel 66 in Italia. Moranino non era insensibile al fascino femminile, un imprenditore tessile si recava spesso da lui, accompagnato dalla figlia diciassettenne, di cui egli si innamorò ricambiato. Decisero di sposarsi in chiesa, dopo accese e vivaci discussioni in quanto il comunista Moranino era contrario al matrimonio religioso. Le nozze avvennero quindi in chiesa, ma in gran segreto per non creare malumori tra i suoi miliziani. Quando egli dovette fuggire oltrecortina inseguito dalla giustizia Italiana, la moglie chiese l'annullamento a causa della sua prolungata assenza, cosa che avvenne. Egli dopo la sua fuga non cercò più la giovane moglie.
Graziato, tornò in Italia e si stabilì a Grugliasco dove il 18 giugno 1971, alle 1,30 del mattino Moranino, muore improvvisamente per un arresto cardiaco, all'età di 51 anni con tantissime colpe sulla coscienza, davvero troppe e pesanti per un uomo solo.

Roberto Nicolick


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