domenica, dicembre 18, 2016

Lo stupro di Nanchino dicembre 1937

Jhon Rabe e “l'incidente” di Nanchino

Nel dicembre del 1937 settantanove anni fa, l'esercito imperiale Giapponese, durante la guerra Sino – Giapponese, invade il territorio della Cina Nazionalista travolgendo le truppe Cinesi che si danno alla fuga, e dopo aver sfondato le ultime linee di difesa, entra nella capitale nazionale, Nanchino.
Dal 13 dicembre per otto settimane, quattro divisioni Nipponiche formate da militari di carriera e formazioni ausiliarie, attueranno nei confronti dei militari Cinesi ma soprattutto della popolazione civili sistematiche atrocità.
A causa di questi comportamenti che non avranno nulla di umano, moriranno migliaia di uomini, donne, bambini e vecchi con metodi efferati e di un sadismo inaudito.
In questo genocidio, l'esercito Giapponese venne definito una macchina bestiale, che agì in modo meticoloso, assassinando migliaia di civili innocenti, ma non si limitò solo a togliere la vita sic et simpliciter. Ogni creatura vivente che incontrava le pattuglie Giapponesi per le strade di Nanchino era sicuro di perdere la propria vita tra inaudite umiliazioni e feroci sofferenze. La città subì da barbarie di ogni tipo.
Centinaia di donne di ogni età ogni giorno, anche adolescenti, venivano stuprate da decine di soldati davanti ai famigliari e poi uccise, molte dopo lo stupro, subivano le mutilazioni dei seni e delle natiche, le donne gravide erano sventrate e il feto gettato in strada, i ragazzini venivano soppressi a colpi di baionetta, oppure impalati, i monaci costretti loro stessi a violentare giovinette, qualsiasi maschio in età militare ucciso a vista perchè ritenuto un probabile soldato dell'esercito Cino Nazionalista di Chiang Kai-shek, molti erano sepolti vivi e condannati ad una morte orrenda. Le donne particolarmente belle erano avviate ai bordelli militari.
Le case dei ricchi e dei poveri erano depredate di tutto e quindi date alle fiamme. Tutti i militari prigionieri dell'esercito Nazionalista erano portati sulle sponde del Fiume Azzurro e fucilati con mitragliatrici pesanti, le centinaia di corpi dei giustiziati erano trasportati via dalla corrente del grande fiume.
Un migliaio di civili furono radunati e fatti esplodere con delle mine e i resti fati alle fiamme dopo averli imbevuti di benzina. I crimini contro l'umanità raggiunsero in queste otto settimane vertici di sadismo e crudeltà mostruosi.
Un particolare colpì molto, anche per la pubblicità che ne diedero i giornali Giapponesi dell'epoca : la gara tra due ufficiali dell'armata imperiale , Mukai e Noda, gara che consisteva nel trafiggere con la Katana, la affilatissima spada dei Samurai, quanti più Cinesi nel più breve tempo possibile. Questa animalesca competizione terminò con il punteggio di 106 a 105.
Alcune stime, non di parte Cinese, parlano mediamente di 250 mila vittime, ma a parte i numeri elevatissimi, quello che colpì gli occidentali presenti a Nanchino, fu la ferocia gratuita e inutile, con cui i soldati di un paese che si era distinto per civiltà e cultura, agivano nei confronti dei civili.
Jhon Rabe, Tedesco nato ad Amburgo nel 1882, era il rappresentante della Siemens China, iscritto al partito Nazista, dopo aver documentato con moltissime fotografie e un filmato, le orrende atrocità dei Giapponesi, si adoperò con grande spirito umanitario e a rischio della vita, per creare una zona protetta di 4 chilometri quadrati per i civili, salvandone migliaia da morte certa. Su questa sua iniziativa verrà prodotto un film negli anni 90.
Rabe provò anche ad intercedere presso Hitler per fermare il massacro ma con esiti vani.
I massacri vennero anche documentati da un filmato di un Missionario Americano, Magee, e da un giornalista che raccolse in seguito, diverse testimonianze di persone scampate alla morte. Alcuni militari Giapponesi ammisero i crimini di cui si erano resi responsabili.
In Giappone per decenni, si è sempre negata la reale portata del massacro, riducendola a poche centinaia di vittime, ma nel 1970 il Governo Giapponese ha ammesso il massacro in tutta la sua gravità, noto in Giappone con l'eufemismo di “l'incidente di Nanchino”, tra le frange nazionaliste invece si tende a minmizzare.
I responsabili delle atrocità , il Generale Matsui e i suoi subalterni, i Generali Tani e Isogai, furono giudicati colpevoli nel 1948, dal Tribunale Internazionale di Tokio, con l'accusa di crimini di guerra e condannati alla pena capitale poi eseguita.
Questo genocidio fu causa di dispute tra la Cina Popolare e il Giappone, poi Mao decise per real politik di accantonare ogni polemica visto che il Giappone era il miglior patner commerciale della Cina.
Ancora oggi nei testi scolastici di storia Giapponesi si tende a evitare l'argomento. Mentre un monumento a Nanchino ricorda questo episodio della storia dell'umanità che tuttavia non ebbe nulla di umano ma molto di alieno.

Robert Nicolick


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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.