L'uomo anziano che
sanguina
Due foto, tra le tante,
catturano la mia attenzione, la prima, un uomo che sembra anziano,
con i capelli bianchi scomposti, ha il viso tumefatto, perde sangue
dal naso, indossa un pastrano militare più grande di lui, le scarpe
sono semiaperte segno che gli sono state sottratte le stringhe e
quindi che era prigioniero, stringe nella mano destra uno straccio
bianco sporco di sangue, nonostante sia stato visibilmente
picchiato, ha l'aria di camminare con decisione verso una meta, nota
solo a lui.
Tanto deciso che uno dei
suoi guardiani sembra trattenerlo afferrandolo per il braccio destro.
L'uomo e i suoi boia
camminano su una spianata di terra battuta, dietro si vede un palazzo
barocco, un gruppo di armati, sta attorno al vecchio, sono
chiaramente partigiani, quello che lo trattiene ha un viso angoloso e
duro e fuma una sigaretta, sul capo un berretto con visiera di panno,
forse della whermarch, sulla spalla destra una bandoliera di un
fucile di cui si vede il calcio che spunta in basso, veste una divisa
molto approssimativa con i pantaloni alla zuava, nella cintura una
sfilata di bombe a mano, una delle quali chiaramente tedesca e le
altre quattro forse di fabbricazione Italiana.
Subito dietro al vecchio,
due figuri con elmetto Italiano, il viso atteggiato ad un ghigno di
contentezza, entrambi sono armati di un moschetto 91, ma in posizione
diversa, il primo sulla destra lo impugna e l'altro con camicia e
cravatta, lo tiene con la bandoliera in spalla. Da parte di questi
uomini pare di capire che si divertono come a una festa, anche se in
realtà è tutta un'altra cosa almeno per il vecchio prigioniero.
Uno dei partigiani,
quello con cravatta, porta delle buffe fasce mollettiere alle
caviglie, molto in uso durante la guerra 15 – 18. In seconda e
terza fila, altri uomini, partigiani, tutti con improbabili divise
una diversa dall'altra, con cappelli, giacche, stivali raccolti
chissà dove.
Faccio una breve ricerca
e scopro dove è stata scattata la foto: Mestre, in Via Garibaldi,
nella caserma dei Carabinieri di Mestre, e siamo il 30 aprile 1945.
Il vecchio, pieno di
contusioni e botte, è un professore, Tullio Santi classe 1882,
benefattore Veneziano che è stato pure sottufficiale delle Brigate
Nere, preso dai partigiani Veneti, picchiato come un tamburo,
sottoposto ad un solito processo farsa e condannato in brevissimo
tempo a morte.
La corte che lo giudica
sommariamente è composta da partigiani che sono al tempo stesso
anche testimoni del suo ruolo di presunto torturatore, in realtà
Tullio Santi è solo un vecchio professore di disegno entrato in un
gioco più grande di lui.
Risponde punto per punto
alle domande che gli vengono poste, alle accuse, non può replicare
agli schiaffi e ai pugni che gli piovono addosso da chiunque gli si
avvicini.
Dopo la condanna a morte,
viene portato anzi esibito in giro , sottoposto alla gogna,
sputacchiato e picchiato ancora, gli fanno indossare un vecchio
pastrano militare, di due taglie più grande, appare goffo e vacilla,
ma cerca di avere un contegno. La seconda è la sequenza logica della
prima, lo costringono a impugnare una lunga tavola di legno alla cui
sommità hanno legato uno straccio nero, come un buffo simulacro di
gagliardetto.
Lui , nonostante tutto,
non si piega, rimane eretto e fiero nella sua dignità, per quanto la
gragnuola di botte glie lo permetta.
Poi , assieme ad un altro
condannato, viene portato alla morte, il plotone di esecuzione ce
l'ha alle spalle, qualcuno dei suoi carnefici gli affigge sul dietro
del pastrano, una foto di Mussolini, come ultimo gesto di dileggio,
ma il condannato non si scompone, sta immobile come in attesa senza
compiere alcun movimento.
Pochi secondi di attesa,
in cui attende, eretto nella figura, il piombo partigiano. Poi la
scarica mortale che lo fulmina sul posto, Tullio Veneziani cade a
terra disteso accanto al suo compagno di sventura, quindi il plotone
di esecuzione si fa fotografare nella classica foto ricordo e prima
di allontanarsi, qualcuno dei fucilatori, a raffiche riduce in
poltiglia il cranio del compagno del Professore caduto accanto a lui.
Roberto Nicolick
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