domenica, aprile 22, 2018

L'omicidio Lorenza 1945


Ernesto Francesco Lorenza

Era un ex ufficiale Repubblichino, capitano della Guardia Nazionale Repubblicana, IX Compagnia, in servizio presso il distaccamento di  Savona, nato a Tenda il 17.11.1903 a Tenda ( all’epoca provincia di Cuneo e dal 1947 ceduta assieme a Briga alla Francia ), era stato anche decorato  in qualità di Centurione della Milizia, con medaglia d’argento al Valor Militare.  L'omicidio di Lorenza  per le modalità con cui avviene è un classico della serie della pistola silenziosa.
In seguito ad una affezione agli occhi, una paralisi del nervo ottico, egli viene ricoverato per ricevere delle cure adeguate, presso l’Ospedale San Paolo nel reparto di oculistica,  lo stesso Ospedale dove fu ricoverato Giuseppe Wingler nei suoi ultimi istanti di vita.
Lorenza,  precedentemente arrestato sotto l'accusa di collaborazionismo e processato, era stato appena rilasciato in seguito ad una sentenza del C.A.S.( Corte di Assise Speciale ) che lo aveva prosciolto e reso libero.
A causa del verdetto di proscioglimento, un gruppo di persone, bene orchestrate avevano protestato con violenza arrivando ad aggredire gli avvocati difensori degli imputati, uno dei quali l'avvocato Milanese Gian Filippo Di Paola era ricoverato in una saletta attigua a quella dove l’ufficiale era ricoverato a causa del feroce pestaggio a cui era stato sottoposto.

All’ingresso dell’Ospedale e della corsia, stazionano alcuni agenti della polizia ausiliaria partigiana che dovrebbe, almeno formalmente, proteggere Lorenza da ulteriori violenze e per piantonare un detenuto, tale Artioli, il quale in almeno una occasione litiga con Lorenza. Artioli, di Modena,  è un comunista militante di opinioni politiche divergenti con l'ex ufficiale, il quale afferma di andare fiero della sua fede fascista, al termine della discussione  Artioli pare che  minacci apertamente Lorenza.
In seguito Artioli si allontana  dall’ospedale dopo che è avvenuto l'omicidio, grazie alla eccessiva distrazione dei poliziotti ausiliari che avrebbero dovuto sorvegliarlo, per questa fuga, un agente della polizia ausiliaria partigiana il quale aveva la consegna di piantonare il recluso, tale Novaro, viene licenziato dal Questore Monarca.
L’ufficiale Repubblichino si trova allettato al centro di un grande stanzone del nosocomio savonese al secondo piano, assieme ad altri degenti nel reparto di oftalmologia, tutti i ricoverati hanno delle bende sugli occhi e quindi non sono in grado di vedere quello che accade.
Siamo all'11 luglio del 1945, il Capitano ha una medicazione sugli occhi , può solo sentire e sta chiacchierando con altri ricoverati che occupano i letti vicini. In quel momento non vi è nessuno del personale sanitario nello stanzone.
Qualcuno si avvicina silenziosamente al suo letto, gli punta una pistole al capo, esattamente alla nuca, a distanza molto ravvicinata e preme il grilletto. Lo sparo  non è assolutamente percepito dagli altri ricoverati  non essendoci stata la detonazione è chiaro che è stata usata una pistola con il silenziatore. I degenti avvertono che Lorenza ha smesso improvvisamente di dialogare con loro ma non vi danno immediata importanza, in seguito affermeranno di aver percepito solo il rumore del sangue che cola a terra e preoccupati perchè Lorenza non risponde ai loro richiami, avvisano il personale sanitario.
L'assassino ha a sua disposizione una ventina di minuti per allontanarsi dallo stanzone, scendere le scale sino al piano terra e per uscire dall'ospedale, magari non dall'ingresso principale ma da uno delle tante uscite secondarie che danno nel quadrilatero delle strade che circonda il grande edificio, posto nel centro di Savona, da cui si può andare in tutte le direzioni.
Interviene il Dott. Bogliolo affiancato dal collega Gallo Basteris, entrambi si rendono conto della presenza di un foro di ingresso alla nuca e di uscita nella regione frontale e capiscono che la morte non è avvenuta per cause naturali.
Stranamente i poliziotti ausiliari, all’ingresso dell’ospedale e della corsia, non hanno notato entrare o uscire nessun sospetto.
Qualcuno, in seguito in una deposizione verbalizzata, ha affermato che la sorveglianza esterna sarebbe stata inutile, visto che l’omicida era già presente all’interno dell’Ospedale San Paolo, dato che ci lavorava .
Una ipotesi indica Lorenza come una persona depositaria di alcuni segreti o presunti tali, egli era stato incaricato dal proprio reparto di gestire e custodire delle ingenti somme di denaro, la cassa del reparto. Questi valori dovevano partire assieme alla colonna repubblichina in ritirata da Savona in direzione di Altare e poi per proseguire  sino a Valenza Po, ma non arrivarono mai a destinazione, ad un posto di blocco partigiano, poco prima dell’abitato di Altare, il prezioso carico sparì.
Forse Lorenza vide chi aveva “confiscato” il bottino, oppure aveva barattato la propria libertà ed incolumità consegnando il tesoretto.
Lorenza assieme a Wingler aveva fatto parte dell'U.P.I. i servizi informativi e aveva fatto parte delle B.B.N.N. ( Brigate Nere) in provincia di Savona, pertanto era a conoscenza dei nomi e dei ruoli di molti doppiogiochisti che erano presenti su diversi tavoli, perseguendo il proprio tornaconto personale.
A qualche anno dalla fine della guerra civile e quindi dei regolamenti di conti, un gruppo di persone fu fermato ed identificato dai Carabinieri di Savona, mentre stava sbancando, con attrezzi adeguati e con grande lena,  un punto preciso della rotabile che porta a Cadibona, quasi come se cercassero un tesoro.
Quella rotabile l’aveva a suo tempo percorsa, anche Il Capitano Lorenza con la colonna in ritirata, lungo la quale era  sparita la cassa del reparto. I carabinieri identificarono le persone come ex partigiani e come ex repubblichini, il denaro a volte unisce persone diverse tra loro. Le indagini sull'omicidio di Lorenza non portarono a nulla, tranne che a sparare era stata una pistola con silenziatore.

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.