L'omicidio di Giuseppe
Fanin
Passeggiando
per la splendida città di Bologna, nel quartiere San Donato non passa
inosservata Via Giuseppe Fanin, la lapide lo identifica come sindacalista nato
nel 1924 e morto nel novembre del 1948.
Innanzi
tutto, Giuseppe Fanin non è morto per cause naturali, ma fu assassinato
bestialmente da elementi comunisti con una sbarra di ferro, il mandante di
questo omicidio fu il segretario del PCI di San Giovanni in Persiceto, che in
seguito si autoaccusò e fece anche i nomi degli esecutori materiali
dell'omicidio.
Fanin
non era un uomo qualunque, era un simbolo, un punto di riferimento sindacale
senza essere comunista, in una zona ad alta densità rossa, dove chi non era
comunista faceva vita grama.
Cattolico
militante, dopo aver passato alcuni anni in seminario, ne esce e si diploma
presso l'Istituto Agrario “Scarabelli” di Imola, poi si laurea in agraria
all'Università di Bologna ed inizia a fare attività sindacale nelle ACLI.
Il
periodo è tumultuoso, il PCI egemone nell'Emilia e Romagna si è allargato a
macchia d'olio ovunque, il suo sindacato di bandiera la CGIL, non gradisce
concorrenza in campo sindacale a maggior
ragione nel settore agrario, ma Fanin, persona onesta e moderata e soprattutto
capace e competente, mina alla base il monopolio comunista creando invidie
gelosie.
I
coltivatori ascoltano questo uomo coraggioso e preparato che li consiglia, li
segue con passione, senza interessi personali, la gente inizia a non ascoltare
più i sindacalisti rossi. L'odio comunista verso questo personaggio scomodo,
inizia a montare, in una terra dove le passioni politiche sono sempre state
molto forti. Da subito viene orchestrata e diretta contro Fanin una campagna di
odio feroce, che però non lo intimorisce
nella maniera più assoluta, perchè è sorretto da una fede Cristiana fortissima
che lo spinge avanti senza deflettere.
A
questo punto qualcuno inizia a pensare a qualcosa di più violento, anche nei
fatti, della campagna di odio nei confronti del sindacalista Cattolico, ha luogo una riunione segreta, di alcuni
soggetti che decidono le modalità, i mezzi, il luogo e i tempi in cui dovrà
avvenire una aggressione il cui bersaglio sarà il sindacalista cattolico. E’ un
gruppo per lo più di ex partigiani
comunisti, che non hanno perso il vizio e l'attitudine alla violenza. Chi
coordina la riunione è un certo Bonfiglioli, segretario locale della cellula
del PCI, vi partecipano tre braccianti agricoli, Enrico
Lanzarini, Renato Evangelisti e Indrio Morisi, anch'essi sono comunisti, non
brillano certo per intelligenza ma per voglia di menare le mani infatti questi
ultimi saranno gli esecutori materiali dell'aggressione e quindi dell’omicidio.
Nella
tarda serata del 4 novembre 1948, Fanin sta tornando a casa, percorre in
bicicletta, come sua abitudine, una delle tante strade bianche che si
intersecano nella bassa pianura Emiliana, c'è la nebbia che abbassa la visibilità quindi
non si accorge subito di quello che sta per accadere, a quel punto
Lanzarini, Evangelisti e Morisi.
saltano fuori da una siepe dove si erano appostati e aggrediscono Fanin
con dei bastoni e soprattutto con una spranga di ferro, la violenza con cui
agiscono è bestiale e non ha nulla di umano, mentre la vittima è a terra i tre
infieriscono con quegli strumenti, soprattutto sul capo. Chi brandisce la
sbarra è il Lanzarini, mentre gli altri usano un bastone ma non risparmiano
calci e pugni al povero corpo.
Dopo aver compiuto la loro opera si
allontano con le biciclette che avevano nascosto poco lontano. Fanin è a terra
agonizzante, muore la mattina successiva all'ospedale. Un legale amico di
famiglia, si reca all'ospedale la mattina successiva e ha difficoltà a
riconoscere nel corpo il Fanin tanto è stato devastato nonostante lo conosca da anni.
Le indagini dei Carabinieri, coordinate
da un ottimo ufficiale, il Capitano Fedi, sono immediate e minuziose, vanno
nella direzione dell'odio politico e sociale, molti paesani di Fanin, di
militanza comunista sono fermati ed interrogati ma l'attenzione dei Carabinieri
si appunta soprattutto sul Bonfiglioli, che messo di fronte alla evidenza dei
fatti il 20 novembre, vacilla e confessa di essere il mandante di quella, che a
suo dire, doveva essere solo ed unicamente una lezione da dare a Fanin , fa
anche i nomi degli esecutori che vengono arrestati all'alba, dopo che la sera
prima erano ad applaudire l' On. Pajetta del PCI durante un comizio.
Esemplare è l'atteggiamento della
famiglia di Fanin che non manifesta odio o voglia di vendetta ma spera solo
nella giustizia e nel ravvedimento degli assassini.
Il processo per questo omicidio, si
svolgerà all'Aquila nel novembre del 49, come per tanti altri delitti compiuti dai
partigiani comunisti, nel triangolo della morte compreso tra Bologna, Reggio
Emilia e Ferrara, in appello, dopo sei ore di camera di consiglio tutti e quattro
gli imputati furono ritenuti colpevoli
di omicidio premeditato e aggravato con le attenuanti generiche, Bonfigliolini
e Lazzarini vennero condannati a 23 anni di reclusione, Evangelisti e Morisi a
21 anni, mentre un imputato responsabile della campagna di odio contro Fanin fu
prosciolto dalla accusa di istigazione al delitto.
Alla famiglia della vittima fu
riconosciuto un indennizzo simbolico di una lira e la sbarra con cui venne
compiuto l'omicidio è ancora ora, esposta al museo criminale di Roma.
La figura di Giuseppe Fanin, uomo
illuminato e liberale, ne esce gigantesca a livello civile e morale sullo
sfondo di questa vicenda, i suoi assassini, mandanti e detrattori appaiono per
quello che sono soggetti di scarsissimo rilievo morale e civile, privi di ogni spessore anche
minimo intellettivo, materiale umano pronti a farsi manipolare dai capi di un
partito massimalista e dittatoriale. Giovanni Guareschi nato in quella zona,
conobbe molto bene questo tipo di individui e li definì con un termine che si
attagliava benissimo “ trinariciuti”.
Iniziò un processo di beatificazione nei
confronti di Giuseppe Fanin che ebbe da subito la qualifica di “Servo di Dio”,
al suo nome vennero intitolate delle vie a Bologna, Imola e San Giovanni in
Persiceto.
Roberto Nicolick ( testo elaborato sulla
base di articoli di quotidiani dell’epoca )
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