giovedì, settembre 20, 2018

L'eccidio del cimitero di Mosso Santa Maria





L'eccidio del cimitero di Mosso Santa Maria


Nel febbraio del 1944 il sostegno delle popolazioni del Biellese e del Vercellese nei confronti delle bande partigiane non era quello che i commissari politici si attendevano, vuoi per timore, vuoi per evitare noie e anche perchè i soggetti che si imbrancavano nelle bande non erano personaggi adamantini ma al contrario noti per scarse qualità etiche. I commissari politici incolparono di questo scarsissimo supporto i “capitalisti” e i “fascisti” del posto e decisero di dare un esempio che fosse di esemplare spietatezza.
La notte del 17 febbraio alcune bande comuniste del quarto distaccamento “Piave”della Brigata Garibaldi Biella, si infiltrarono negli abitati di Cossato, Strona e Lessona a est di Biella con una lista di proscrizione di trenta nomi.
Nei piani dei partigiani comunisti c'era il prelevamento di queste trenta personalità della zona e la loro fucilazione.
Chi guidava il primo gruppo erano Ermanno Angiono e Edis Valle, inizialmente riuscirono a prelevare una dozzina di persone, gente che nella stragrande maggioranza non avevano nulla a che fare con la RSI, sette uomini e donne, agricoltori e commercianti, innocenti, gente che non voleva essere coinvolta nella guerra civile e che ambivano solo a stare tranquilli con i loro cari.
Il tredicesimo sequestro a Cossato, andò in vacca, forse per la smania di fare i duri e per la scarsa pratica delle armi che questi “patrioti” avevano,quando bussarono aprì la porta Enrico Carta che in quel momento aveva il figlio più piccolo in braccio gli spararono con i mitra, l'uomo morì sul colpo e il bimbo nonostante quella ferocia, protetto da qualche divinità, si salvò.
Con tutto il casino in notturna, che avevano fatto, si allarmò il presidio repubblichino e tedesco che iniziò a perlustrare la zona, dopo qualche minuto i valorosi “patrioti” che volevano sequestrare civili inermi e disarmati, finirono direttamente in bocca ai Tedeschi. Lo scontro breve e violentissimo finì malissimo per i sequestratori, due furono impiombati per bene mentre uno di loro scappò come una lepre. Nelle tasche dei morti fu trovata la lista di proscrizione con i trenta nomi.
Purtroppo in mano partigiana erano rimasti 12 ostaggi che trascinati al cimitero di Mosso Santa Maria, furono ammazzati senza alcuna giustificazione, senza processo, e senza i conforti religiosi che essi avevano richiesto a gran voce, trattandosi di gente semplice, onesta e timorata di Dio.
I nomi di queste persone, erano : Carlo Botta e le figlie Gemma e Duilia, l'agricoltore Francesco Repole, l'impiegato Raffaele Veronese, l'operaio Giuseppina Goi, il negoziante Ernesto Ottina e la moglie Tecla, il commerciante Leo Negro, l'agricoltore Giovanni Maffei, il commerciante Sandro Tallia, e Palmira Graziola casalinga.
Ottina, uno degli assassinati, aveva un negozio di alimentari, spesso forniva , a credito, viveri ai partigiani, gli stessi che poi lo rapirono e lo assassinarono, in questo caso i suoi assassini uccidendolo azzerarono opportunamente ogni debito nei suoi confronti, che strano vero ?
I corpi delle 12 povere vittime furono allineate in duplice fila e fotografate, quindi una copia della macabra istantanea venne fatta recapitare alle famiglie dei morti. Anche di questa pratica sadica non c'era bisogna ma si inseriva perfettamente in una logica del terrore che nei decenni successivi i brigatisti rossi avrebbero preso ad esempio.
L'indomani il maresciallo dei CC della stazione di Mosso decise di togliersi la vita sparandosi alla tempia, si chiamava Alfonso Taverna e aveva 39 anni, era schiacciato dal rimorso di non aver potuto impedire una strage di questo genere, in realtà nessuno avrebbe potuto impedire una cosa simile che era già da giorni pianificata con attenzione, il suo fu un gesto di estremo onore degno di un samurai.

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