L'eccidio del cimitero di
Mosso Santa Maria
Nel febbraio del 1944 il
sostegno delle popolazioni del Biellese e del Vercellese nei
confronti delle bande partigiane non era quello che i commissari
politici si attendevano, vuoi per timore, vuoi per evitare noie e
anche perchè i soggetti che si imbrancavano nelle bande non erano
personaggi adamantini ma al contrario noti per scarse qualità
etiche. I commissari politici incolparono di questo scarsissimo
supporto i “capitalisti” e i “fascisti” del posto e decisero
di dare un esempio che fosse di esemplare spietatezza.
La notte del 17 febbraio
alcune bande comuniste del quarto distaccamento “Piave”della
Brigata Garibaldi Biella, si infiltrarono negli abitati di Cossato,
Strona e Lessona a est di Biella con una lista di proscrizione di
trenta nomi.
Nei piani dei partigiani
comunisti c'era il prelevamento di queste trenta personalità della
zona e la loro fucilazione.
Chi guidava il primo
gruppo erano Ermanno Angiono e Edis Valle, inizialmente riuscirono a
prelevare una dozzina di persone, gente che nella stragrande
maggioranza non avevano nulla a che fare con la RSI, sette uomini e
donne, agricoltori e commercianti, innocenti, gente che non voleva
essere coinvolta nella guerra civile e che ambivano solo a stare
tranquilli con i loro cari.
Il tredicesimo sequestro
a Cossato, andò in vacca, forse per la smania di fare i duri e per
la scarsa pratica delle armi che questi “patrioti” avevano,quando
bussarono aprì la porta Enrico Carta che in quel momento aveva il
figlio più piccolo in braccio gli spararono con i mitra, l'uomo morì
sul colpo e il bimbo nonostante quella ferocia, protetto da qualche
divinità, si salvò.
Con tutto il casino in
notturna, che avevano fatto, si allarmò il presidio repubblichino e
tedesco che iniziò a perlustrare la zona, dopo qualche minuto i
valorosi “patrioti” che volevano sequestrare civili inermi e
disarmati, finirono direttamente in bocca ai Tedeschi. Lo scontro
breve e violentissimo finì malissimo per i sequestratori, due
furono impiombati per bene mentre uno di loro scappò come una lepre.
Nelle tasche dei morti fu trovata la lista di proscrizione con i
trenta nomi.
Purtroppo in mano
partigiana erano rimasti 12 ostaggi che trascinati al cimitero di
Mosso Santa Maria, furono ammazzati senza alcuna giustificazione,
senza processo, e senza i conforti religiosi che essi avevano
richiesto a gran voce, trattandosi di gente semplice, onesta e
timorata di Dio.
I nomi di queste persone,
erano : Carlo Botta e le figlie Gemma e Duilia, l'agricoltore
Francesco Repole, l'impiegato Raffaele Veronese, l'operaio Giuseppina
Goi, il negoziante Ernesto Ottina e la moglie Tecla, il commerciante
Leo Negro, l'agricoltore Giovanni Maffei, il commerciante Sandro
Tallia, e Palmira Graziola casalinga.
Ottina, uno degli
assassinati, aveva un negozio di alimentari, spesso forniva , a
credito, viveri ai partigiani, gli stessi che poi lo rapirono e lo
assassinarono, in questo caso i suoi assassini uccidendolo azzerarono
opportunamente ogni debito nei suoi confronti, che strano vero ?
I corpi delle 12 povere
vittime furono allineate in duplice fila e fotografate, quindi una
copia della macabra istantanea venne fatta recapitare alle famiglie
dei morti. Anche di questa pratica sadica non c'era bisogna ma si
inseriva perfettamente in una logica del terrore che nei decenni
successivi i brigatisti rossi avrebbero preso ad esempio.
L'indomani il maresciallo
dei CC della stazione di Mosso decise di togliersi la vita sparandosi
alla tempia, si chiamava Alfonso Taverna e aveva 39 anni, era
schiacciato dal rimorso di non aver potuto impedire una strage di
questo genere, in realtà nessuno avrebbe potuto impedire una cosa
simile che era già da giorni pianificata con attenzione, il suo fu
un gesto di estremo onore degno di un samurai.
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