mercoledì, ottobre 03, 2018

la strage di Stellanello 10 giugno 1944


La strage di Stellanello
10 giugno 1944
Stellanello è un piccolo comune della provincia di Savona, a metà strada tra il mare e l'alta via dei monti Liguri, il 10 giugno del 1944 fu teatro di un eccidio di un plotone di giovanissimi militari , tutti al di sotto dei 20 anni, che vestivano la divisa della G.N.R. Appartenente al IX Battaglione Genova, si tratta di 18 ragazzi con armi individuali e del loro comandante un sottotenente , Filippo Mugavero.
Il plotone era in zona in attività di perlustrazione, viene circondato da numerosi gruppi di partigiani e dopo un breve scontro a fuoco, si arrende. In condizioni normali i prigionieri sarebbero trasferiti ad un campo di prigionia ma la banda partigiana che li ha presi ha bel altro in mente. I prigionieri dopo essere stati depredati dei loro effetti personali sono condotti con una marcia forzata in località Pian di Bellotto, qui intorno a mezzogiorno del 10 giugno, dopo essere stati privati delle uniformi, delle scarpe e persino della biancheria, vengono passati per le armi, contro ogni più elementare norma militare e soprattutto umana.
Molti abitanti del luogo si ricordano ancora oggi, a distanza di anni, di quella colonna di prigionieri visibilmente impauriti che camminavano lungo il sentiero che li conduceva alla morte, in particolare molti di loro avendo capito quello che stava per accadere gridavano ai partigiani di risparmiare loro la vita, ma i boia furono irremovibili.
L'ufficiale che guidava il plotone dei giovani soldati, Mugavero, ferito ad un braccio da cui perdeva sangue in modo copioso, non ebbe nessuna cura medica, cosa che avviene da parte di tutti gli eserciti, anch'esso venne trascinato davanti alla canna dei mitra dei carnefici, cercò in tutti i modi di rendere più pietoso questo terribile momento, chiese i conforti religiosi per sé e i suoi soldati, ma i partigiani gli risposero che non avevano tempo da perdere.
Dopo aver raggiunto il luogo della strage, tutti i 19 militari vennero assassinati e sepolti in una fossa comune. Non si capì mai le ragioni di quest'odio feroce e irragionevole che armò le mani dei partigiani.
Il sottotenente Mugavero era un Cattolico praticante e aveva guidato il suo plotone sempre con grande umanità e nel rispetto delle popolazioni locali, non aveva mai ecceduto, forse si era imbattuto in un gruppo di feroci assassini che godevano a spargere sangue di repubblichini.
A distanza di un anno il fratello e la sorella del tenente Filippo Mugavero, riuscirono grazie all'aiuto di un contadino che aveva posto una grossa pietra a segnare la fossa, a ritrovare il luogo.
Lo scavo portò alla luce solo irriconoscibili ossa e nient'altro, ossa a cui fu molto difficile dare un nome e distinguerle l'una dalle altre.
A conforto dei parenti fu la testimonianza che il capo dei boia aveva fatto al parroco di Stellanello , quando Filippo Mugavero ebbe la certezza della morte imminente, abbracciò uno per uno i suoi militari esortandoli ad avere fiducia in Dio e a cadere da uomini, espresse parole di perdono ai suoi carnefici poi si aprì la camicia offrendosi alle pallottole , gridando “Viva l'Italia”.

Nessun commento:

Posta un commento

Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.