La strage di Schio
6 – 7 luglio 1945
Nella notte tra il 6 e il
7 luglio del 1945, si consumò a Schio una strage ad opera di
partigiani comunisti e poliziotti ausiliari, nella quale furono
assassinati, ben 54 prigionieri e 17 furono feriti, uomini e donne,
la più giovane delle vittime fu una sedicenne, va registrato a onor
del vero che solo una parte dei caduti erano connessi in qualche modo
alla Repubblica, molti di loro erano stati incarcerati per errore e
stavano anche per essere liberati, ovviamente con la classica
lentezza burocratica che contraddistingue l'Italia di allora e quella
di oggi.
Comunque la guerra era
finita da un pezzo, quasi 90 giorni, ma nonostante questo, la strage
si consumò con una ferocia disumana scegliendo come bersagli
prigionieri indifesi benchè tutelati dalle autorità alleate che in
effetti avevano in animo di sottoporli ad un regolare processo che
poteva anche concludersi con una assoluzione dalle imputazioni.
Tra i 99 detenuti c'erano
8 comuni, 25 donne, cinque appartenenti alle BBNN, tre agenti della
polizia ausiliaria fascista, tre ragazze del SAF, 34 persone definite
genericamente come fascisti o simpatizzanti, c'erano ragazzine di 17
anni, donne in stato di gravidanza, madri e figlie, sorelle, padri e
figli, anziani ultrasettantenni, il primario dell'ospedale di Schio
Arlotta, il commissario prefettizio Vescovi, esponenti di rilevo
della RSI, Plebani, Tadiello, Domenico e Isidoro Marchioro, Capozzo,
una ragazza di 16 anni Anna Franco, un reduce dell'ARMIR Calcedonio
Pillitteri, l'ex podestà di Torrebelvicino Antonio Sella, Giuseppe
Stefani e altri gregari della RSI.
L'eccidio ebbe luogo
presso la sede del tribunale e del carcere di Schio, una palazzina
stile Liberty situata nel centro di Schio, i detenuti vi erano
ammassati in due celle al primo piano e in uno stanzone al secondo
piano e fu compiuta a colpi di armi automatiche, fucili mitragliatori
e una mitragliatrice.
Nei giorni precedenti la
fine della guerra la zona di Schio e il Vicentino tutto, erano state
teatro di aspri scontri tra le formazioni militari della RSI i
Tedeschi e le Brigate partigiane comuniste che erano collegate ai
partigiani Titini, noti questi ultimi per il loro odio atavico verso
gli Italiani.
Il terreno di coltura di
questa strage era già bello pronto, era solo questione di tempo. In
quel periodo era presente a Schio un CLN che non aveva alcun potere
decisionale sulle forze partigiane , a parte gli Alleati , sul
territorio era stata operativa, durante la guerra, una brigata
partigiana comunista, la Ateo Garemi, che nonostante ci fosse stato
l'ordine alleato di consegnare le armi, le deteneva ancora in
previsione di un loro futuro uso, cosa che avvenne puntualmente.
I due capi partigiani,
Igino Piva e Valentino Bortoloso, Romero e Teppa un soprannome che è
tutto un programma, con un reparto della succitata brigata
partigiana, arrivano al carcere di Schio, alle 23 della notte del 6
luglio 1945 armati sino ai denti e soprattutto mascherati, in diversi
modi per non essere identificati, chi con un fazzolettone, chi con
una maschera antigas, chi con una rete sul capo da cui pendevano dei
rametti di piante chi con un cappellaccio calato sul viso, tutti in
abiti borghesi.
Non hanno alcuna lista di
proscrizione, solo una ferma volontà di fare piazza pulita degli
“odiati fascisti”, si trovano di fronte a 99 prigionieri. Nel
gruppo dei partigiani nascono accese discussioni sul numero dei
prigionieri da “giustiziare”e soprattutto sul chi .
Dopo un'ora di dibattito,
alcuni in disaccordo se ne vanno, altri, quelli più biechi e ottusi,
vanno sino in fondo nella loro infame azione, e in spregio alle
leggi umane e di guerra, i boia decidono in obbedienza alle
direttive ricevute, di ammazzare anche le donne.
Donne che non avevano mai
preso parte alle azioni militari della RSI, al contrario erano
studentesse, casalinghe, ma purtroppo per loro, mogli o fidanzate di
Fascisti, questa la loro unica colpa, i tristi e feroci assassini ne
uccisero 14, tutte assolutamente incolpevoli.
Inizialmente i detenuti,
soprattutto quelli che avevano esperienza militare cercarono di
puntellare le porte delle celle ma vennero abbattute dai boia, non
tutti subito capirono quello che stava per accadere perchè
inizialmente i banditi dissero di stare tranquilli in quanto si
trattava solo di un trasferimento, ma dopo pochissimo tempo, tutti
capirono che era una esecuzione sommaria multipla. La disperazione e
il terrore afferrò tutti i prigionieri.
Alle 0.15, dopo essere
entrati in tutti i locali, dopo aver fatto una selezione delle
vittime da abbattere, dopo aver spianato le armi i poliziotti
ausiliari partigiani e i partigiani comunisti, che poi erano la
stessa sordida cosa, iniziarono a fare il tiro al bersaglio, a
bruciapelo, contro i prigionieri che erano assiepati nelle celle, in
piedi e in attesa spasmodica della loro sorte, in quella posizione
non potevano sottrarsi alle pallottole. Anche il tiratore più scarso
tra i partigiani non avrebbe potuto fallire. I bersagli erano il
toraci, le gambe, le braccia, in una frenesia omicida.
Per diversi minuti , le
armi degli assassini crepitarono, a decine i poveretti caddero prima
feriti e poi finiti dal tiro incrociato, subito caddero le prime file
poi quelle successive in un terrore senza fine. c'era sangue ovunque
e l'odore della cordite impregnava l'aria dei locali, le pareti, gli
infissi, i pavimenti erano tutti lordati dal sangue delle vittime.
Quando dopo circa un'ora
i soccorsi arrivarono trovarono decine di corpi ammonticchiati nelle
celle, e ogni tanto si udiva un flebile lamento, erano i feriti che
erano sopravvissuti alle raffiche, nascondendosi sotto i cadaveri dei
loro compagni di sventura.
Fu, per le modalità con
cui venne compiuta, una delle stragi più efferate che avvenne nel
periodo di pace relativa che seguì il periodo post insurrezionale.
Una volta tanto le forze
alleate non restarono inerti, il 13 settembre 1945 la Corte Militare
Alleata giudicò e condannò a morte i partigiani Renzo Franceschini,
Valentino Bortoloso e Antonio Pochesato, all'ergastolo i partigiani
Aldo Santacaterina e Gaetano Canova, molti di questi fuggirono in
Yugoslavia ed eviarono i rigori della giustizia alleata.
Nel 1952 a Milano altro
processo per i mandanti e gli esecutori dell'eccidio, alla sbarra
sono : Ruggero Maltauro ex capo della polizia ausiliaria partigiana a
Schio ed espatriato presso il compagno Tito subito dopo la strage,
Giovanni Broccardo, Italo Ciscato, Narciso Manea, Andrea Bruno
Micheletto, Gaetano Pecoraro, Igino Piva e Bruno Scortegagna.
Il processo che ebbe
grande risonanza si concluse con la condanna all'ergastolo per tutti
gli imputati tranne che per Bolognesi e Sterleche che presso la Corte
di Assise di Vicenza furono prosciolti , il primo per insufficenza di
prove e il secondo per non aver commesso il fatto.
Fermo restando che i morti,
una volta tali, hanno diritto a rispetto e giustizia, i poveretti che
persero la vita nel carcere di Schio non ebbero ne l'uno ne l'altra,
ancora oggi non si conoscono i nomi dei mandanti e di tutti gli
esecutori.
Robert Nicolick
Questo articolo è stato
scritto su richiesta specifica di Caterina Ratta.
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