lunedì, ottobre 29, 2018

L'Omicidio di Pasqualina, Carrù 1944 , 17 dicembre




Pasqualina B. in M.
detta Lina
17 dicembre 1944

Ricevo una comunicazione su Messenger di un mio vecchio amico, Franco M., con cui ho condiviso una militanza politica una ventina di anni fa, era un ufficiale della marina militare, se non sbaglio dovrebbe avere intorno ai 76 anni, vuole raccontarmi la storia di sua madre, Pasqualina e della sua morte avvenuta in circostanze tragiche ad appena 29 anni a Carrù.
Lo rivedo volentieri, è un signore dall'aria dignitosa e austera con un paio di baffetti bianchi, ci sediamo in un bar di una cittadina rivierasca, dove egli vive, apre la borsa ed estrae un grosso faldone marrone, stretto da un elastico, con una scritta in caratteri gotici, “Carteggio riservato Lina M.”.
Questo faldone, che il babbo gli ha lasciato in eredità, contiene una raccolta di documenti di vario genere inerenti al rapimento e all'omicidio di sua madre Lina, avvenuto il 17 dicembre 1944 ad opera di tre partigiani.
Mi espone il caso con voce emozionata e commossa e a ogni passo della narrazione, mostra un documento a sostegno delle sue parole, è preciso e metodico, le carte sono in ordine cronologico, ordinate e ottimamente conservati anche se hanno più di settant'anni.
Sono stati raccolti con pazienza certosina dal babbo, Ferdinando M. , ex colonnello dell'Esercito Italiano, da tempo morto.
Ferdinando giovane Tenente, fresco di nomina, partecipa alla guerra civile di Spagna nei reparti denominati Frecce Azzurre. Ritorna in Italia e si sposa con Pasqualina detta Lina B., nativa della Val di Susa, classe 1915, ragazza di rara bellezza, come si evince dalla foto che Franco mi mostra, ha dei fluenti capelli castano chiari, occhi profondi, tratti del viso regolari e pelle candida e soprattutto è onesta, retta e intelligente, una splendida creatura che il Tenente M. amò e da cui fu riamato.
Ebbero un figlio, Franco, il mio amico appunto. Abitano a Torino, in Via Dresda, al civico 20. Sono una famiglia serena ed unita.
Scoppia la guerra, il Tenente M. deve partire per il fronte e per allontanare la sua famiglia dai bombardamenti alleati su Torino, nel gennaio del 1943, li fa sfollare in un luogo che egli reputa più sicuro, Carrù, dove affitta un piccolo appartamento per la moglie e il bimbo, presso la famiglia Revelli che egli conosce.
Carrù purtroppo non è così sicura come il Tenente crede. Nella zona di Carrù dopo i pesanti rastrellamenti delle truppe Nazifasciste avvenuti nel 42, si aggirano numerosi partigiani sbandati, appartenenti alla Divisione Mauri, questi soggetti vivono di prepotenze facendosi mantenere dai contadini , scendono frequentemente nel centro abitato di Carrù, dove in assenza dei Repubblichini, spadroneggiano, accadono frequenti omicidi di civili fatti passare per esecuzioni sommarie di presunte spie fasciste ma che hanno motivi personali nascosti dietro.

Il Tenente Ferdinando M. partecipa alla campagna di Albania, è in Grecia e quindi in Jugoslavia, dove lo sorprende l'otto settembre 1943, vive il dramma dei militari Italiani, lasciati senza ordini, in balia di sé stessi, con i Tedeschi incattiviti per quello che consideravano un tradimento. Prigioniero dai Tedeschi, è caricato su un treno piombato, assieme a centinaia di suoi commilitoni, internato in Germania presso il Stammlager , Baracke n. 29 /A. da cui farà ritorno solo nell'agosto del 1945.
Da lì vive la sua prigionia, costretto a lasciare soli la moglie e il piccolo Franco.

Ferdinando e Lina si si scambiano, lettere di amore e nostalgia, la donna per vivere e poter dare da mangiare a Franco, si adatta a produrre maglioni fatti a lana, visto che lei è molto abile con i ferri e i gomitoli. Non vuole denari per il suo lavoro ma prodotti alimentari della campagna per alleviare la fame di quei tempi.
Lina è una donna sola e molto attraente, viene adocchiata da alcuni di questi partigiani sbandati, costretta a difendersi con determinazione da questi corteggiatori molto invadenti che la disturbavano.
Uno di quelli che le ronzano attorno con insistenza, è un partigiano, tale Alditore che si era auto nominato maresciallo pur senza averne diritto il grado.
Alditore aveva secondo alcune testimonianze, atteggiamenti arrogati e sfrontati, verso chiunque, ma soprattutto, un testimone, Severina Revelli , negoziante, affermò di riconoscere al polso dello stesso, un orologio d'oro che era stato di proprietà di Fiorenzo Gallo, a suo tempo “giustiziato” dai partigiani.
Nello stesso caseggiato dove vive Lina e il piccolo Franco , abita anche un'altra donna, Liliana Grondona, staffetta partigiana, fidanzata con un partigiano, Michele Bracco, detto il Moro. La donna limitata e ignorante, nutre nei confronti di Lina, un malcelato odio, per la sua avvenenza e per il fatto che Lina ha modi nobili ed eleganti, molto diversi dallo standard di un paese come Carrù.
La paesana, inizia a diffondere nei confronti di Lina, malignità e falsità, facendo affermazioni inverosimili e chiaramente false, su presunte infedeltà, ma soprattutto accusandola, senza avere nessuna riprova di ciò, di essere una spia dei Fascisti, siamo nel 1944 e quest'ultima calunnia potrebbe portare a delle conseguenze nefaste per Lina.
Addirittura allorquando Lina deve recarsi in treno a Torino, per monitorare gli anziani genitori del marito, la Grondona, si inventa che presso la stazione di Porta Nuova, avrebbe avuto un incontro con un ufficiale dello spionaggio della RSI. Purtroppo queste sue asserzioni fallaci e dettate dall'odio, trovano credito tra alcuni partigiani dei Mauri, già ostili verso la forestiera per i suoi rifiuti ad essere disponibile verso di essi, che iniziano a sorvegliare la povera Lina.
La povera donna sola e lontana dal marito, vive un periodo molto triste in cui è sottoposta a pressioni continue, vista di cattivo occhio per il fatto di essere una cittadina in un paese, corteggiata da personaggi violenti convinti di avere potere di vita o di morte, con un bimbo di cinque anni a cui badare.
La insensata campagna di denigrazione della Grondona, porta ai primi risultati: la povera Lina è prelevata dai partigiani nell'agosto del 1944 e rinchiusa in un campo di detenzione,a Ghigliani nel comune di Clavesana, dove sono tenuti ristretti tutti coloro che sono sospettati di essere collaborazionisti dei Fascisti.
L'accusa, semplicemente incredibile, è quella di avere in uso una radio ricetrasmettente con cui comunicare ai Fascisti gli spostamenti dei partigiani, con lei c'era , detenuta anch'essa un'altra donna, Rina Bonino, colpevole unicamente di non aver consegnato prontamente le sigarette ai partigiani che le avevano richieste. Le due donne stringono amicizia e passano il tempo giocando a carte, anche qui sono spiate ma i loro discorsi sono incentrati sul tempo, sui figli e sul gioco delle carte e nulla più..
In quei giorni ben 6 civili nel territorio di Carrù, sospettati di essere delatori al servizio dei repubblichini vengono uccisi dai partigiani che dopo si appropriano degli effetti personali, è una vera e propria caccia alle streghe molto ben orchestrata. In particolare verranno trovati i corpi di Veronica Rovella e della figlia Eralda Ferrero in un rio sulla strada che porta a Benevagienna, Reyneri Dott. Renato trovato nel Canale Bobbio, Bonardi Caterina trovata a galleggiare nel Tanaro a valle di Clavesana, anche il segretario comunale di Marsaglia è stato ucciso e sotterrato parzialmente ma prima di essere ucciso ebbe una violenta collutazione con uno dei partigiani che lo volevano assassinare e in effetti, strana coincidenza, il partigiano Roma dopo quel fatto portò per qualche tempo una vistosa fasciatura ad una mano.
Lina M. rimane per una decina di giorni al campo di Ghigliani poi, prosciolta da ogni accusa è rilasciata. Una volta libera manterrà la sua amicizia con la Rita Bonino. Ma l'occhiuta sorveglianza dei partigiani locali non si allenta, tanto meno le maldicenze della Liliana Grondona.
La sera del 17 dicembre 1944, due partigiani Mauri, Bracciale Antonio e Piras Giuseppe, si presentano armati alla abitazione dell Signora Lina M., le ingiungono di seguirli per conferire con il loro comandante , Enrico Martini.
La donna. In quel momento era sola, in quanto il piccolo Franco era al cinema del paese, indossa una pelliccia e li segue, per avere l'opportunità di spazzare via, una volta per tutte le maldicenze che la Grondona spargeva a piene mani su di lei.
Ma è un appuntamento con la morte, la povera Lina non farà più ritorno a casa dal suo bimbo di appena 5 anni.
Strada facendo si aggiunge un altro partigiano, Roma Vincenzo, Lina viene assassinata con un colpo d'arma da fuoco esploso alla tempia sinistra e avviene il 23 dicembre 1944, quindi sarà in balia dei suoi assassini per sei giorni
Il suo povero corpo, privo di vestiti, verrà solo più tardi, ritrovato il 17 gennaio 1944, in avanzato stato di saponificazione, in un rio, con le gambe legate da del fil di ferro collegato da un grosso sasso. Secondo alcune testimonianze quello è il secondo luogo di occultamento, perchè il primo sito dove viene immersa è un pozzo in una vigna, poi per ragioni ignote e note ai soli assassini verrà recuperato e gettato nel rio. La pelliccia che la donna indossava viene sottratta e pure i gioielli che portava non si trovano più, inoltre qualcuno si reca nell'appartamento dove lei viveva e sottrae una radio. E' omicidio che nulla ha che fare con la guerra.
Accadono alcuni fatti molto strani, i due partigiani , Bracciale e Piras, che hanno prelevato Lina e probabilmente l'hanno uccisa , decidono di “suicidarsi”, nel loro letto, in Frazione Mellea di Farigliano, accanto a loro le pistole, una delle quali inutilizzabile e un biglietto in cui uno dei due si dichiara pentito di quello che ha fatto.
Il terzo partigiano presente all'omicidio di Lina, Roma Vincenzo viene giudicato, in fretta e furia, dal Comando della I° divisione Langhe colpevole dell'omicidio del segretario comunale di Marsaglia, Pinto Roberto, fatto compiuto con tale Roberto, che però sfugge alla cattura e al giudizio, tanto da essere processato contumace.
Roma comunque il 24 gennaio 1945, è passato per le armi.
Tutti e tre i partigiani coinvolti nell'omicidio della povera Lina tacciono per sempre.
Il marito, Ferdinando, quando ad agosto 1945, torna dalla prigionia è sconvolto per la morte ingiusta della moglie, e inizia a indagare affiancato da un legale, suo compagno di prigionia, L'avvocato Pampaloni, si scontra con un muro di omertà.
La Grondona che nel frattempo è stata assunta dal comune di Carrù, continua a trinciare giudizi sulla defunta Lina , che non si può difendere.
Il tenente M. apprende da un ufficiale del Controspionaggio partigiano e da altri partigiani che la moglie era assolutamente innocente delle accuse che le venivano mosse e un certo Baricalla, responsabile del Contro spionaggio partigiano, invece, insiste nel dire che la moglie era sicuramente una spia dei repubblichini, poi evita in seguito di incontrare il Tenente M. che insisteva per avere ulteriori informazioni.
Per la cronaca Baricalla viene arruolato nei Carabinieri e svolge la sua attività alla Caserma di Pinerolo come scritturale. La morte della povera Lina viene definita spiacevole ma pur sempre eseguita su otdini superiori, di chi non è dato saperlo. L'avvocato che segue M. dopo aver fatto una disamina attenta delle carte e dei fatti conclude che non c'è spazio per una indagine istruttoria e neppure per un rinvio agiudizio dei responsabili di questo insensato omicidio inoltre gli omicidi della moglie sono stati messi nelle condizioni di non parlare più, il comando partigiano ha coperto l'omicidio della moglie definendola una spia fascista, fra i moventi c'è la gelosia di una donna ignorante, gelosa e abbietta oltre al risentimento di un partigiano respinto e desideroso di vendicarsi. Con il cuore straziato per la giustizia negata, Ferdinando continua a allevare il piccolo Franco pur senza mai raccontare quello che accadde in quegli anni lontani alla sua povera mamma.
Raccoglie tutto il materiale documentale nel faldone marrone che custodisce gelosamente senza mai mostrarlo al figlio.
L'odio insensato di una donna e di un gruppo di partigiani ha ucciso una creatura meravigliosa bella fuori e dentro e soprattutto la verità e la giustizia non hanno trionfato.
Guardo l'orologio che ho al polso e mi accorgo che sono passate due ore senza che me ne accorgessi, Franco di fronte a me, ha gli occhi lucidi e io pure, prima di andarsene mi racconta solo un ultimo particolare che galleggia nella sua mente , mio padre mi vietò sempre di andare a Carrù, senza dirmi il motivo, quando lessi il contenuto del faldone, compresi il perchè, alcuni dei suoi abitanti ebbero le mani lorde di sangue anche di sua madre oppure si girarono dall'altra parte quando lei venne presa dai suoi boia.
Roberto Nicolick








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