Pasqualina B. in M.
detta Lina
17 dicembre 1944
Ricevo una comunicazione
su Messenger di un mio vecchio amico, Franco M., con cui ho condiviso
una militanza politica una ventina di anni fa, era un ufficiale
della marina militare, se non sbaglio dovrebbe avere intorno ai 76
anni, vuole raccontarmi la storia di sua madre, Pasqualina e della
sua morte avvenuta in circostanze tragiche ad appena 29 anni a Carrù.
Lo rivedo volentieri, è
un signore dall'aria dignitosa e austera con un paio di baffetti
bianchi, ci sediamo in un bar di una cittadina rivierasca, dove egli
vive, apre la borsa ed estrae un grosso faldone marrone, stretto da
un elastico, con una scritta in caratteri gotici, “Carteggio
riservato Lina M.”.
Questo faldone, che il
babbo gli ha lasciato in eredità, contiene una raccolta di documenti
di vario genere inerenti al rapimento e all'omicidio di sua madre
Lina, avvenuto il 17 dicembre 1944 ad opera di tre partigiani.
Mi espone il caso con
voce emozionata e commossa e a ogni passo della narrazione, mostra
un documento a sostegno delle sue parole, è preciso e metodico, le
carte sono in ordine cronologico, ordinate e ottimamente conservati
anche se hanno più di settant'anni.
Sono stati raccolti con
pazienza certosina dal babbo, Ferdinando M. , ex colonnello
dell'Esercito Italiano, da tempo morto.
Ferdinando giovane
Tenente, fresco di nomina, partecipa alla guerra civile di Spagna
nei reparti denominati Frecce Azzurre. Ritorna in Italia e si sposa
con Pasqualina detta Lina B., nativa della Val di Susa, classe 1915,
ragazza di rara bellezza, come si evince dalla foto che Franco mi
mostra, ha dei fluenti capelli castano chiari, occhi profondi, tratti
del viso regolari e pelle candida e soprattutto è onesta, retta e
intelligente, una splendida creatura che il Tenente M. amò e da cui
fu riamato.
Ebbero un figlio,
Franco, il mio amico appunto. Abitano a Torino, in Via Dresda, al
civico 20. Sono una famiglia serena ed unita.
Scoppia la guerra, il
Tenente M. deve partire per il fronte e per allontanare la sua
famiglia dai bombardamenti alleati su Torino, nel gennaio del 1943,
li fa sfollare in un luogo che egli reputa più sicuro, Carrù, dove
affitta un piccolo appartamento per la moglie e il bimbo, presso la
famiglia Revelli che egli conosce.
Carrù purtroppo non è
così sicura come il Tenente crede. Nella zona di Carrù dopo i
pesanti rastrellamenti delle truppe Nazifasciste avvenuti nel 42, si
aggirano numerosi partigiani sbandati, appartenenti alla Divisione
Mauri, questi soggetti vivono di prepotenze facendosi mantenere dai
contadini , scendono frequentemente nel centro abitato di Carrù,
dove in assenza dei Repubblichini, spadroneggiano, accadono frequenti
omicidi di civili fatti passare per esecuzioni sommarie di presunte
spie fasciste ma che hanno motivi personali nascosti dietro.
Il Tenente Ferdinando M.
partecipa alla campagna di Albania, è in Grecia e quindi in
Jugoslavia, dove lo sorprende l'otto settembre 1943, vive il dramma
dei militari Italiani, lasciati senza ordini, in balia di sé stessi,
con i Tedeschi incattiviti per quello che consideravano un
tradimento. Prigioniero dai Tedeschi, è caricato su un treno
piombato, assieme a centinaia di suoi commilitoni, internato in
Germania presso il Stammlager , Baracke n. 29 /A. da cui farà
ritorno solo nell'agosto del 1945.
Da lì vive la sua
prigionia, costretto a lasciare soli la moglie e il piccolo Franco.
Ferdinando e Lina si si
scambiano, lettere di amore e nostalgia, la donna per vivere e poter
dare da mangiare a Franco, si adatta a produrre maglioni fatti a
lana, visto che lei è molto abile con i ferri e i gomitoli. Non
vuole denari per il suo lavoro ma prodotti alimentari della campagna
per alleviare la fame di quei tempi.
Lina è una donna sola e
molto attraente, viene adocchiata da alcuni di questi partigiani
sbandati, costretta a difendersi con determinazione da questi
corteggiatori molto invadenti che la disturbavano.
Uno di quelli che le
ronzano attorno con insistenza, è un partigiano, tale Alditore che
si era auto nominato maresciallo pur senza averne diritto il grado.
Alditore aveva secondo
alcune testimonianze, atteggiamenti arrogati e sfrontati, verso
chiunque, ma soprattutto, un testimone, Severina Revelli ,
negoziante, affermò di riconoscere al polso dello stesso, un
orologio d'oro che era stato di proprietà di Fiorenzo Gallo, a suo
tempo “giustiziato” dai partigiani.
Nello stesso caseggiato
dove vive Lina e il piccolo Franco , abita anche un'altra donna,
Liliana Grondona, staffetta partigiana, fidanzata con un
partigiano, Michele Bracco, detto il Moro. La donna limitata e
ignorante, nutre nei confronti di Lina, un malcelato odio, per la
sua avvenenza e per il fatto che Lina ha modi nobili ed eleganti,
molto diversi dallo standard di un paese come Carrù.
La paesana, inizia a
diffondere nei confronti di Lina, malignità e falsità, facendo
affermazioni inverosimili e chiaramente false, su presunte infedeltà,
ma soprattutto accusandola, senza avere nessuna riprova di ciò, di
essere una spia dei Fascisti, siamo nel 1944 e quest'ultima calunnia
potrebbe portare a delle conseguenze nefaste per Lina.
Addirittura allorquando
Lina deve recarsi in treno a Torino, per monitorare gli anziani
genitori del marito, la Grondona, si inventa che presso la stazione
di Porta Nuova, avrebbe avuto un incontro con un ufficiale dello
spionaggio della RSI. Purtroppo queste sue asserzioni fallaci e
dettate dall'odio, trovano credito tra alcuni partigiani dei Mauri,
già ostili verso la forestiera per i suoi rifiuti ad essere
disponibile verso di essi, che iniziano a sorvegliare la povera Lina.
La povera donna sola e
lontana dal marito, vive un periodo molto triste in cui è sottoposta
a pressioni continue, vista di cattivo occhio per il fatto di essere
una cittadina in un paese, corteggiata da personaggi violenti
convinti di avere potere di vita o di morte, con un bimbo di cinque
anni a cui badare.
La insensata campagna di
denigrazione della Grondona, porta ai primi risultati: la povera Lina
è prelevata dai partigiani nell'agosto del 1944 e rinchiusa in un
campo di detenzione,a Ghigliani nel comune di Clavesana, dove sono
tenuti ristretti tutti coloro che sono sospettati di essere
collaborazionisti dei Fascisti.
L'accusa, semplicemente
incredibile, è quella di avere in uso una radio ricetrasmettente
con cui comunicare ai Fascisti gli spostamenti dei partigiani, con
lei c'era , detenuta anch'essa un'altra donna, Rina Bonino, colpevole
unicamente di non aver consegnato prontamente le sigarette ai
partigiani che le avevano richieste. Le due donne stringono amicizia
e passano il tempo giocando a carte, anche qui sono spiate ma i loro
discorsi sono incentrati sul tempo, sui figli e sul gioco delle carte
e nulla più..
In quei giorni ben 6
civili nel territorio di Carrù, sospettati di essere delatori al
servizio dei repubblichini vengono uccisi dai partigiani che dopo si
appropriano degli effetti personali, è una vera e propria caccia
alle streghe molto ben orchestrata. In particolare verranno trovati i
corpi di Veronica Rovella e della figlia Eralda Ferrero in un rio
sulla strada che porta a Benevagienna, Reyneri Dott. Renato trovato
nel Canale Bobbio, Bonardi Caterina trovata a galleggiare nel Tanaro
a valle di Clavesana, anche il segretario comunale di Marsaglia è
stato ucciso e sotterrato parzialmente ma prima di essere ucciso ebbe
una violenta collutazione con uno dei partigiani che lo volevano
assassinare e in effetti, strana coincidenza, il partigiano Roma dopo
quel fatto portò per qualche tempo una vistosa fasciatura ad una
mano.
Lina M. rimane per una
decina di giorni al campo di Ghigliani poi, prosciolta da ogni accusa
è rilasciata. Una volta libera manterrà la sua amicizia con la Rita
Bonino. Ma l'occhiuta sorveglianza dei partigiani locali non si
allenta, tanto meno le maldicenze della Liliana Grondona.
La sera del 17 dicembre
1944, due partigiani Mauri, Bracciale Antonio e Piras Giuseppe, si
presentano armati alla abitazione dell Signora Lina M., le
ingiungono di seguirli per conferire con il loro comandante , Enrico
Martini.
La donna. In quel momento
era sola, in quanto il piccolo Franco era al cinema del paese,
indossa una pelliccia e li segue, per avere l'opportunità di
spazzare via, una volta per tutte le maldicenze che la Grondona
spargeva a piene mani su di lei.
Ma è un appuntamento con
la morte, la povera Lina non farà più ritorno a casa dal suo bimbo
di appena 5 anni.
Strada facendo si
aggiunge un altro partigiano, Roma Vincenzo, Lina viene assassinata
con un colpo d'arma da fuoco esploso alla tempia sinistra e avviene
il 23 dicembre 1944, quindi sarà in balia dei suoi assassini per sei
giorni
Il suo povero corpo,
privo di vestiti, verrà solo più tardi, ritrovato il 17 gennaio
1944, in avanzato stato di saponificazione, in un rio, con le gambe
legate da del fil di ferro collegato da un grosso sasso. Secondo
alcune testimonianze quello è il secondo luogo di occultamento,
perchè il primo sito dove viene immersa è un pozzo in una vigna,
poi per ragioni ignote e note ai soli assassini verrà recuperato e
gettato nel rio. La pelliccia che la donna indossava viene sottratta
e pure i gioielli che portava non si trovano più, inoltre qualcuno
si reca nell'appartamento dove lei viveva e sottrae una radio. E'
omicidio che nulla ha che fare con la guerra.
Accadono alcuni fatti
molto strani, i due partigiani , Bracciale e Piras, che hanno
prelevato Lina e probabilmente l'hanno uccisa , decidono di
“suicidarsi”, nel loro letto, in Frazione Mellea di Farigliano,
accanto a loro le pistole, una delle quali inutilizzabile e un
biglietto in cui uno dei due si dichiara pentito di quello che ha
fatto.
Il terzo partigiano
presente all'omicidio di Lina, Roma Vincenzo viene giudicato, in
fretta e furia, dal Comando della I° divisione Langhe colpevole
dell'omicidio del segretario comunale di Marsaglia, Pinto Roberto,
fatto compiuto con tale Roberto, che però sfugge alla cattura e al
giudizio, tanto da essere processato contumace.
Roma comunque il 24
gennaio 1945, è passato per le armi.
Tutti e tre i partigiani
coinvolti nell'omicidio della povera Lina tacciono per sempre.
Il marito, Ferdinando,
quando ad agosto 1945, torna dalla prigionia è sconvolto per la
morte ingiusta della moglie, e inizia a indagare affiancato da un
legale, suo compagno di prigionia, L'avvocato Pampaloni, si scontra
con un muro di omertà.
La Grondona che nel
frattempo è stata assunta dal comune di Carrù, continua a trinciare
giudizi sulla defunta Lina , che non si può difendere.
Il tenente M. apprende da
un ufficiale del Controspionaggio partigiano e da altri partigiani
che la moglie era assolutamente innocente delle accuse che le
venivano mosse e un certo Baricalla, responsabile del Contro
spionaggio partigiano, invece, insiste nel dire che la moglie era
sicuramente una spia dei repubblichini, poi evita in seguito di
incontrare il Tenente M. che insisteva per avere ulteriori
informazioni.
Per la cronaca Baricalla
viene arruolato nei Carabinieri e svolge la sua attività alla
Caserma di Pinerolo come scritturale. La morte della povera Lina
viene definita spiacevole ma pur sempre eseguita su otdini superiori,
di chi non è dato saperlo. L'avvocato che segue M. dopo aver fatto
una disamina attenta delle carte e dei fatti conclude che non c'è
spazio per una indagine istruttoria e neppure per un rinvio agiudizio
dei responsabili di questo insensato omicidio inoltre gli omicidi
della moglie sono stati messi nelle condizioni di non parlare più,
il comando partigiano ha coperto l'omicidio della moglie definendola
una spia fascista, fra i moventi c'è la gelosia di una donna
ignorante, gelosa e abbietta oltre al risentimento di un partigiano
respinto e desideroso di vendicarsi. Con il cuore straziato per la
giustizia negata, Ferdinando continua a allevare il piccolo Franco
pur senza mai raccontare quello che accadde in quegli anni lontani
alla sua povera mamma.
Raccoglie tutto il
materiale documentale nel faldone marrone che custodisce gelosamente
senza mai mostrarlo al figlio.
L'odio insensato di una
donna e di un gruppo di partigiani ha ucciso una creatura
meravigliosa bella fuori e dentro e soprattutto la verità e la
giustizia non hanno trionfato.
Guardo l'orologio che ho
al polso e mi accorgo che sono passate due ore senza che me ne
accorgessi, Franco di fronte a me, ha gli occhi lucidi e io pure,
prima di andarsene mi racconta solo un ultimo particolare che
galleggia nella sua mente , mio padre mi vietò sempre di andare a
Carrù, senza dirmi il motivo, quando lessi il contenuto del faldone,
compresi il perchè, alcuni dei suoi abitanti ebbero le mani lorde di
sangue anche di sua madre oppure si girarono dall'altra parte quando
lei venne presa dai suoi boia.
Roberto Nicolick
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