sabato, ottobre 05, 2019

La strage di Prato 1944




L'eccidio del Castello dell'Imperatore
Prato , settembre 1944

Le truppe alleate, nel 1944, stavano risalendo l'Italia dopo gli sbarchi in Sicilia e ad Anzio, l'esercito Tedesco dopo aver opposto una efficace resistenza sulla Linea Gustav, si stava riposizionando più a nord lungo la linea Gotica , poche decine di chilometri più a sud di quest'ultima linea difensiva, c'è Prato, una importante città, che venne raggiunta e circondata dagli Americane, che tuttavia non vi entrarono, dando il tempo ai Tedeschi di uscire dal centro abitato. Mentre gli Americani temporeggiavano e i Tedeschi ripiegavano, lasciando i loro alleati della RSI in città, la brigata partigiana denominata Buricchi, nominativo derivava da un partigiano che aveva fatto saltare in aria un treno militare carico di Tritolo a Carmignano, attestata precedentemente in un faggeto sopra Prato, entra in città, forse confidando nella completa assenza dei Tedeschi. Essa contava circa 200 elementi di cui molti Russi ex prigionieri.
Nei pressi di Villa Massai, una splendida villa ora in completo abbandono, cade in una imboscata , ingaggia uno scontro a fuoco con un reparto di granatieri Tedeschi affiancati da Italiani. Nello scontro la brigata Buricchi ha la peggio subendo importanti perdite, inoltre 29 di loro sono presi prigionieri e impiccati in località Figline. Questo fatto crea ulteriore tensione e odio nei confronti dei Fascisti Repubblicani che in realtà non furono i responsabili di queste esecuzioni sommarie ordinate ed eseguite dagli ufficiali dei Granatieri Germanici.
Nei giorni successivi i CLN si insediò a Prato ed emanò l'ordine di l'arresto di numerosi Fascisti Pratesi che in quel periodo erano circa 200, ordinando però categoricamente, che non sarebbero dovute avvenire violenze di nessun tipo, nessun processo sommario e nessuna uccisione di Fascisti per vendetta, gli stessi ordini vennero emanati dalle autorità alleate. Molti fascisti vennero reclusi quindi al Castello di Prato, detto anche dell'Imperatore, situato nella piazza delle carceri, fatto costruire nel medioevo da Federico II di Svevia.
Ma alcuni personaggi, che definire violenti sarebbe un eufemismo, si erano già messi in movimento, nonostante il divieto del CNL , le prime esecuzioni sommarie all'interno del Castello, iniziarono nella del mattinata del 7 settembre e proseguirono sino al tardo pomeriggio dello stesso giorno , compiute con mitra e con pistole e fucili, i primi ad essere uccisi furono i fratelli Giorgi, Giovanni e Leonello entrambi, militi della GNR , quindi Petrelli Fernando , Micheli Ricciardo, Simoncini Spartaco , Ubertini Benvenuto, anche una donna Razzai Fiorenza , accusata di essere una dattilografa al servizio dei Tedeschi viene soppressa, oltre ad uno straniero , di nazionalità Polacca accusato di collaborazionismo, l'ultimo ad essere eliminato fu un sottufficiale del Carabinieri, il Maresciallo Giuseppe Vivo, anche se munito di un lasciapassare partigiano. Ad un sacerdote che si offrì di amministrare i Sacramenti ai poveretti venne negato l'accesso.
Al Castello Svevo, le vittime furono nove ma a Prato città, secondo alcune fonti, ben sessanta persone vennero frettolosamente trucidate a casa loro, nelle strade, contro i muri della chiesa in poche ore in una ordalia selvaggia di odio.
Emerge in questa circostanza , in particolare, un certo Marcello Tofani, Pratese, classe 1923, nome di battaglia Tantana, partigiano della Brigata stella rossa, figlio di un becchino, nato in una famiglia numerosa, basso e tarchiato, violento e intraprendente, da giovane pesca di frodo in spregio alle leggi locali.
Per descrivere la sua indole implacabile basta questo, il Tantana era stato multato ripetutamente da un vigile urbano di Prato, un certo Cecchini, e a guerra finita, Tofani si mise alla ricerca del vigile che lo aveva perseguito attraverso i rigori della legge e che per di più era di fede fascista, ne trovò a Milano la fidanzata, la costrinse con la violenza a rivelare dove fosse nascosto il Cecchini, e poi lo raggiunse. Cosa accadde esattamente non si sa, secondo la Corte di Assise di Milano, il Tanfana lo torturò , lo uccise e poi dopo averne spogliato il cadavere lo gettò in un canale, pare la Martesana, e non venne mai più trovato, tanto è vero che venne condannato anche in appello a 27 anni. Un altro omicidio di cui fu ritenuto responsabile, fu quello del Maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Vivo, avvenuto all'interno del Castello di Prato, per il quale fu condannato a 18 anni di reclusione, ci furono diversi processi ma l'unico imputato che venne ritenuto colpevole fu appunto Tofani, tutti gli altri suoi compagni vennero prosciolti.
Tofani confessò tranquillamente di aver “ucciso dei fascisti” in quanto secondo lui azione meritevole, per vendicare il fratello partigiano a sua volta ucciso durante la resistenza. Forse credeva realmente di essere nel giusto a spargere tanto sangue, infatti transitò per un breve periodo anche nell'O.P.G. di Reggio Emilia e comunque dopo, di anni di galera ne scontò davvero pochi, grazie alla amnistia Togliatti, e nel giugno del 1986 morì nel suo letto a Bologna dove si era trasferito. La sua breve permanenza in galera non lo convinse al pentimento ma almeno gli permise di finire gli studi elementari e di imparare a leggere e a scrivere visto che nell'adolescenza non aveva proseguito oltre la terza elementare.
Nel 2017 si è spenta a 90 anni, una persona totalmente diversa da Tofani, Silvano Desideri, che per anni lottò affinchè Prato non dimenticasse le vittime di queste vendette feroci, avvenute sotto la comoda copertura della resistenza ma che in realtà furono assassinate per motivi abbietti. Tanto fece che nel 2011, presso la sede della Circoscrizione Centro di Prato, riuscì a far parlare in un convegno di quello che accadde in quei giorni di follia e di sangue a Prato, e a riportare alla luce una strage dimenticata di cui non si conosce neppure ora l'esatta portata ma che secondo alcuni studi può tranquillamente superare in pochissimi giorno le settanta unità.

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