L'eccidio del Castello
dell'Imperatore
Prato , settembre 1944
Le truppe alleate, nel
1944, stavano risalendo l'Italia dopo gli sbarchi in Sicilia e ad
Anzio, l'esercito Tedesco dopo aver opposto una efficace resistenza
sulla Linea Gustav, si stava riposizionando più a nord lungo la
linea Gotica , poche decine di chilometri più a sud di quest'ultima
linea difensiva, c'è Prato, una importante città, che venne
raggiunta e circondata dagli Americane, che tuttavia non vi
entrarono, dando il tempo ai Tedeschi di uscire dal centro abitato.
Mentre gli Americani temporeggiavano e i Tedeschi ripiegavano,
lasciando i loro alleati della RSI in città, la brigata partigiana
denominata Buricchi, nominativo derivava da un partigiano che aveva
fatto saltare in aria un treno militare carico di Tritolo a
Carmignano, attestata precedentemente in un faggeto sopra Prato,
entra in città, forse confidando nella completa assenza dei
Tedeschi. Essa contava circa 200 elementi di cui molti Russi ex
prigionieri.
Nei pressi di Villa
Massai, una splendida villa ora in completo abbandono, cade in una
imboscata , ingaggia uno scontro a fuoco con un reparto di
granatieri Tedeschi affiancati da Italiani. Nello scontro la
brigata Buricchi ha la peggio subendo importanti perdite, inoltre 29
di loro sono presi prigionieri e impiccati in località Figline.
Questo fatto crea ulteriore tensione e odio nei confronti dei
Fascisti Repubblicani che in realtà non furono i responsabili di
queste esecuzioni sommarie ordinate ed eseguite dagli ufficiali dei
Granatieri Germanici.
Nei giorni successivi i
CLN si insediò a Prato ed emanò l'ordine di l'arresto di numerosi
Fascisti Pratesi che in quel periodo erano circa 200, ordinando però
categoricamente, che non sarebbero dovute avvenire violenze di nessun
tipo, nessun processo sommario e nessuna uccisione di Fascisti per
vendetta, gli stessi ordini vennero emanati dalle autorità alleate.
Molti fascisti vennero reclusi quindi al Castello di Prato, detto
anche dell'Imperatore, situato nella piazza delle carceri, fatto
costruire nel medioevo da Federico II di Svevia.
Ma alcuni personaggi, che
definire violenti sarebbe un eufemismo, si erano già messi in
movimento, nonostante il divieto del CNL , le prime esecuzioni
sommarie all'interno del Castello, iniziarono nella del mattinata
del 7 settembre e proseguirono sino al tardo pomeriggio dello stesso
giorno , compiute con mitra e con pistole e fucili, i primi ad essere
uccisi furono i fratelli Giorgi, Giovanni e Leonello entrambi,
militi della GNR , quindi Petrelli
Fernando
, Micheli
Ricciardo, Simoncini Spartaco , Ubertini Benvenuto, anche una donna
Razzai Fiorenza , accusata di essere una dattilografa al servizio dei
Tedeschi viene soppressa, oltre ad uno straniero , di nazionalità
Polacca accusato di collaborazionismo,
l'ultimo ad essere eliminato fu
un sottufficiale del Carabinieri, il Maresciallo Giuseppe Vivo,
anche se munito di un lasciapassare partigiano. Ad un sacerdote che
si offrì di amministrare i Sacramenti ai poveretti venne negato
l'accesso.
Al Castello Svevo, le
vittime furono nove ma a Prato città, secondo alcune fonti, ben
sessanta persone vennero frettolosamente trucidate a casa loro, nelle
strade, contro i muri della chiesa in poche ore in una ordalia
selvaggia di odio.
Emerge in questa
circostanza , in particolare, un certo Marcello Tofani, Pratese,
classe 1923, nome di battaglia Tantana, partigiano della Brigata
stella rossa, figlio di un becchino, nato in una famiglia numerosa,
basso e tarchiato, violento e intraprendente, da giovane pesca di
frodo in spregio alle leggi locali.
Per descrivere la sua
indole implacabile basta questo, il Tantana era stato multato
ripetutamente da un vigile urbano di Prato, un certo Cecchini, e a
guerra finita, Tofani si mise alla ricerca del vigile che lo aveva
perseguito attraverso i rigori della legge e che per di più era di
fede fascista, ne trovò a Milano la fidanzata, la costrinse con la
violenza a rivelare dove fosse nascosto il Cecchini, e poi lo
raggiunse. Cosa accadde esattamente non si sa, secondo la Corte di
Assise di Milano, il Tanfana lo torturò , lo uccise e poi dopo
averne spogliato il cadavere lo gettò in un canale, pare la
Martesana, e non venne mai più trovato, tanto è vero che venne
condannato anche in appello a 27 anni. Un altro omicidio di cui fu
ritenuto responsabile, fu quello del Maresciallo dei Carabinieri
Giuseppe Vivo, avvenuto all'interno del Castello di Prato, per il
quale fu condannato a 18 anni di reclusione, ci furono diversi
processi ma l'unico imputato che venne ritenuto colpevole fu appunto
Tofani, tutti gli altri suoi compagni vennero prosciolti.
Tofani confessò
tranquillamente di aver “ucciso dei fascisti” in quanto secondo
lui azione meritevole, per vendicare il fratello partigiano a sua
volta ucciso durante la resistenza. Forse credeva realmente di
essere nel giusto a spargere tanto sangue, infatti transitò per un
breve periodo anche nell'O.P.G. di Reggio Emilia e comunque dopo, di
anni di galera ne scontò davvero pochi, grazie alla amnistia
Togliatti, e nel giugno del 1986 morì nel suo letto a Bologna dove
si era trasferito. La sua breve permanenza in galera non lo convinse
al pentimento ma almeno gli permise di finire gli studi elementari e
di imparare a leggere e a scrivere visto che nell'adolescenza non
aveva proseguito oltre la terza elementare.
Nel 2017 si è spenta a
90 anni, una persona totalmente diversa da Tofani, Silvano Desideri,
che per anni lottò affinchè Prato non dimenticasse le vittime di
queste vendette feroci, avvenute sotto la comoda copertura della
resistenza ma che in realtà furono assassinate per motivi abbietti.
Tanto fece che nel 2011, presso la sede della Circoscrizione Centro
di Prato, riuscì a far parlare in un convegno di quello che accadde
in quei giorni di follia e di sangue a Prato, e a riportare alla luce
una strage dimenticata di cui non si conosce neppure ora l'esatta
portata ma che secondo alcuni studi può tranquillamente superare in
pochissimi giorno le settanta unità.
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