sabato, maggio 30, 2020

Don Umberto Pessina


Don Umberto Pessina
18 giugno 1946
un omicidio eccellente di un sacerdote coraggioso e scomodo.


Don Umberto Pessina di anni 45, è il parroco di San Martino di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, è un prete scomodo e coraggioso, in un periodo quello a cavallo dell'insurrezione molto pericoloso e in un territorio , quello del triangolo della morte emiliano, un posto dove è molto pericoloso opporsi al potere comunista e alle sue emanazioni locali.
Quella sera del 18 giugno 1946, don Pessina, usciva dalla canonica per raggiungere una casa vicina dove avrebbe esaminato alcuni indumenti confezionati per i suoi chierichetti, mentre percorreva questa breve distanza, qualcuno nascosto e in attesa, lo colpiva con due pistolettate di una P38 sparate a breve distanza, il povero prete ebbe appena il tempo di trascinarsi nei locali della canonica dove crollava a terra morto.
In quei luoghi e tempi, l'omertà imperava, nessuno aveva visto, nessuno aveva udito gli spari, guai a parlare con i carabinieri di questi fatti, si correva il rischio molto tangibile di essere imbottiti di piombo, sparare era semplice come camminare tra i compagni duri e puri.
Dalle indagini emersero alcuni fatti, Don Pessina era giunto a conflitto con il sindaco di Correggio, Germano Niccolini, noto capo partigiano comunista , detto diavolo e con altri compagni di brigata di diavolo, Anselmo Prodi detto Negus dia anni 25, un uomo giovane, basso e tarchiato dall'aria ottusa e dal dialogo stentato e privo di vocaboli, e Elio Ferretti detto Fanfulla.
Un'altra polemica relativa alla vendita di cavalli requisiti, alquanto sospetta, da parte del sindaco di Correggio aveva messo il Don Pessina al centro di minacce da parte di ex partigiani comunisti.
Niccolini sarebbe stato udito esclamare in piazza, di Don Pessina, “bisogna farlo fuori, è un nemico dei partigiani e dei comunisti”.
Inoltre Don Pessina aveva tolto spazio al sindacato comunista con un suo intervento a favore di alcune mondine , questo sue gesto di umanità fu visto come una ingerenza in un campo che era esclusivo dei sindacalisti rossi.
Le indagini portarono all'arresto di Niccolini, Prodi e Ferretti, vista la loro importanza, soprattutto il Niccolini nell'organigramma locale altri personaggi di calibro minore ma sempre in ambito comunista, Ottavio Morgotti, Eros Righi e Cesare Catellani, si autodenunciarono dell'omicidio del sacerdote in una strategia molto raffinata di depistaggio. Ci fu amche un testimone che messo sotto pressione dai Carabinieri di Bologna fece il nome di Niccolini e che dopo una cinquantina di anni ritratterà dicendo di aver subito delle torture.
Questa azione di deviazione, di cui i comunisti sono maestri, non convinse più di tanto gli inquirenti che continuarono le loro indagini nei confronti di Niccolini, Prodi e Ferretti, che furono rinviati a giudizio presso la Corte di Assise di Perugia, il processo si tenne nel febbraio del 1949, dopo quattro ore di camera di consiglio la Corte di Assise pronunciò la sentenza di condanna nei confronti dei tre imputati, 22 anni a Niccolini, detto diavolo,colpevole di essere il mandante dell'omicidio premeditato e 21 anni a Ferretti e 20 anni a Prodi colpevoli di essere gli esecutori dell'omicidio premeditato nei confronti di Don Pessina. I tre si dichiararono innocenti ma furono incarcerati e iniziarono a scontare la loro pena.
La dolorosa vicenda finì lì, ma nella realtà i veri assassini erano liberi ed erano proprio quelli che si autodenunciarono, poi nel 1990, un ex partigiano della zona, William Gaiti di anni , all'epoca 71, chiese di parlare con il procuratore della repubblica di Reggio, Elio Bevilacqua, e presentò un'altra versione dei fatti , da cui emerse che l'omicidio di Don Pessina era un segreto di stato all'interno del partito, che sapeva tutto di questa vicenda ma che aveva scelto di far condannare tre innocenti.
La vittima era sempre Don Pessina ma il partito si era mosso per salvare altri compagni intoccabili e quindi Niccolini, Prodi e Ferretti erano sacrificabili.
Fu decisivo per smuovere le cose anche l'impegno di un ex deputato del PCI, Otello Montanari, una persona assolutamente al di fuori di ogni simpatia per i fascisti, comunista dall'età di quindici anni, partigiano a 17, che fornì i particolari di un altro omicidio e dei suoi depistaggi messi in atto dal PCI locale con l'avallo dei vertici regionali.
Secondo la nuova versione, Gaiti, Catellani e Righi si recarono quella sera in bicicletta nei pressi della canonica, forse la loro intenzione era quella di sequestrare Don Pessina, per costringerlo a rivelare i nascondigli degli ultimi fascisti nella zona, forse il sacerdote oppose resistenza e Gaiti gli sparò ferendolo mortalmente.
Dopo l'omicidio, i tre fuggirono all'est aiutati e coperti dal vertice dell'associazione partigiani, Eros Ferrari e dal segretario della federazione reggiana del PCI, Arrigo Nizzoli.
A seguito di queste nuove risultanze Niccoli, Prodi e Ferretti vennero scarcerati dopo aver scontato una decina di anni di galera.
Il PCI dell'epoca, nella persona di Pajetta diede semplicemente del pazzo a Montanari che venne marginalizzato politicamnente e che subì un linciaggio morale. Lapidario fu il commento di un segretario dell'ANPI , Guido Mazzon, forse alla fine della resistenza i partigiani dovevano sparare qualche raffica in più.
Dopo un anno circa, nel 1991, Montanari parlò con un procuratore della repubblica della cosiddetta gladio rossa creata in Emilia, in sintesi erano presente all'interno della struttura politica comunista , alcuni gruppi ristretti e riservati coperti dalla dirigenza locale che svolgevano attività illegali, come per esempio gli omicidi, si trattava di gruppetti paramilitari dotati di tutto l'occorrente a loro va , forse, addebitata la soppressione dell'avvocato Ferioli nel 1946 e l'uccisione del sindaco di Casalgrande, Farri, ucciso il 26 agosto del 1946.
Per l'omicidio di Don Pessina, nessuno dei veri responsabili scontò un solo giorno di galera in applicazione della amnistia Pella del 1953, a Nicolini , il partigiano diavolo, condannato ingiustamente lo stato accordò un risarcimento di 2 miliardi e mezzo.
I protagonisti di questa terribile e feroce storia, sono quasi tutti morti per raggiunti limiti di età, incanutiti, reduci da ictus, ma hanno vissuto liberi per anni, mentre il povero Don Pessina giace in una fredda tomba da quel lontano 18 giugno 1946.

Robert Nicolick

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