Don Umberto Pessina
18 giugno 1946
un omicidio eccellente di
un sacerdote coraggioso e scomodo.
Don Umberto Pessina di
anni 45, è il parroco di San Martino di Correggio, in provincia di
Reggio Emilia, è un prete scomodo e coraggioso, in un periodo quello
a cavallo dell'insurrezione molto pericoloso e in un territorio ,
quello del triangolo della morte emiliano, un posto dove è molto
pericoloso opporsi al potere comunista e alle sue emanazioni locali.
Quella sera del 18 giugno
1946, don Pessina, usciva dalla canonica per raggiungere una casa
vicina dove avrebbe esaminato alcuni indumenti confezionati per i
suoi chierichetti, mentre percorreva questa breve distanza, qualcuno
nascosto e in attesa, lo colpiva con due pistolettate di una P38
sparate a breve distanza, il povero prete ebbe appena il tempo di
trascinarsi nei locali della canonica dove crollava a terra morto.
In quei luoghi e tempi,
l'omertà imperava, nessuno aveva visto, nessuno aveva udito gli
spari, guai a parlare con i carabinieri di questi fatti, si correva
il rischio molto tangibile di essere imbottiti di piombo, sparare era
semplice come camminare tra i compagni duri e puri.
Dalle indagini emersero
alcuni fatti, Don Pessina era giunto a conflitto con il sindaco di
Correggio, Germano Niccolini, noto capo partigiano comunista , detto
diavolo e con altri compagni di brigata di diavolo, Anselmo Prodi
detto Negus dia anni 25, un uomo giovane, basso e tarchiato dall'aria
ottusa e dal dialogo stentato e privo di vocaboli, e Elio Ferretti
detto Fanfulla.
Un'altra polemica
relativa alla vendita di cavalli requisiti, alquanto sospetta, da
parte del sindaco di Correggio aveva messo il Don Pessina al centro
di minacce da parte di ex partigiani comunisti.
Niccolini sarebbe stato
udito esclamare in piazza, di Don Pessina, “bisogna farlo fuori, è
un nemico dei partigiani e dei comunisti”.
Inoltre Don Pessina aveva
tolto spazio al sindacato comunista con un suo intervento a favore di
alcune mondine , questo sue gesto di umanità fu visto come una
ingerenza in un campo che era esclusivo dei sindacalisti rossi.
Le indagini portarono
all'arresto di Niccolini, Prodi e Ferretti, vista la loro importanza,
soprattutto il Niccolini nell'organigramma locale altri personaggi di
calibro minore ma sempre in ambito comunista, Ottavio Morgotti, Eros
Righi e Cesare Catellani, si autodenunciarono dell'omicidio del
sacerdote in una strategia molto raffinata di depistaggio. Ci fu
amche un testimone che messo sotto pressione dai Carabinieri di
Bologna fece il nome di Niccolini e che dopo una cinquantina di anni
ritratterà dicendo di aver subito delle torture.
Questa azione di
deviazione, di cui i comunisti sono maestri, non convinse più di
tanto gli inquirenti che continuarono le loro indagini nei confronti
di Niccolini, Prodi e Ferretti, che furono rinviati a giudizio presso
la Corte di Assise di Perugia, il processo si tenne nel febbraio del
1949, dopo quattro ore di camera di consiglio la Corte di Assise
pronunciò la sentenza di condanna nei confronti dei tre imputati, 22
anni a Niccolini, detto diavolo,colpevole di essere il mandante
dell'omicidio premeditato e 21 anni a Ferretti e 20 anni a Prodi
colpevoli di essere gli esecutori dell'omicidio premeditato nei
confronti di Don Pessina. I tre si dichiararono innocenti ma furono
incarcerati e iniziarono a scontare la loro pena.
La dolorosa vicenda finì
lì, ma nella realtà i veri assassini erano liberi ed erano proprio
quelli che si autodenunciarono, poi nel 1990, un ex partigiano della
zona, William Gaiti di anni , all'epoca 71, chiese di parlare con il
procuratore della repubblica di Reggio, Elio Bevilacqua, e presentò
un'altra versione dei fatti , da cui emerse che l'omicidio di Don
Pessina era un segreto di stato all'interno del partito, che sapeva
tutto di questa vicenda ma che aveva scelto di far condannare tre
innocenti.
La vittima era sempre Don
Pessina ma il partito si era mosso per salvare altri compagni
intoccabili e quindi Niccolini, Prodi e Ferretti erano sacrificabili.
Fu decisivo per smuovere
le cose anche l'impegno di un ex deputato del PCI, Otello Montanari,
una persona assolutamente al di fuori di ogni simpatia per i
fascisti, comunista dall'età di quindici anni, partigiano a 17, che
fornì i particolari di un altro omicidio e dei suoi depistaggi messi
in atto dal PCI locale con l'avallo dei vertici regionali.
Secondo la nuova
versione, Gaiti, Catellani e Righi si recarono quella sera in
bicicletta nei pressi della canonica, forse la loro intenzione era
quella di sequestrare Don Pessina, per costringerlo a rivelare i
nascondigli degli ultimi fascisti nella zona, forse il sacerdote
oppose resistenza e Gaiti gli sparò ferendolo mortalmente.
Dopo l'omicidio, i tre
fuggirono all'est aiutati e coperti dal vertice dell'associazione
partigiani, Eros Ferrari e dal segretario della federazione reggiana
del PCI, Arrigo Nizzoli.
A seguito di queste nuove
risultanze Niccoli, Prodi e Ferretti vennero scarcerati dopo aver
scontato una decina di anni di galera.
Il PCI dell'epoca, nella
persona di Pajetta diede semplicemente del pazzo a Montanari che
venne marginalizzato politicamnente e che subì un linciaggio morale.
Lapidario fu il commento di un segretario dell'ANPI , Guido Mazzon,
forse alla fine della resistenza i partigiani dovevano sparare
qualche raffica in più.
Dopo un anno circa, nel
1991, Montanari parlò con un procuratore della repubblica della
cosiddetta gladio rossa creata in Emilia, in sintesi erano presente
all'interno della struttura politica comunista , alcuni gruppi
ristretti e riservati coperti dalla dirigenza locale che svolgevano
attività illegali, come per esempio gli omicidi, si trattava di
gruppetti paramilitari dotati di tutto l'occorrente a loro va ,
forse, addebitata la soppressione dell'avvocato Ferioli nel 1946 e
l'uccisione del sindaco di Casalgrande, Farri, ucciso il 26 agosto
del 1946.
Per l'omicidio di Don
Pessina, nessuno dei veri responsabili scontò un solo giorno di
galera in applicazione della amnistia Pella del 1953, a Nicolini ,
il partigiano diavolo, condannato ingiustamente lo stato accordò un
risarcimento di 2 miliardi e mezzo.
I protagonisti di questa
terribile e feroce storia, sono quasi tutti morti per raggiunti
limiti di età, incanutiti, reduci da ictus, ma hanno vissuto liberi
per anni, mentre il povero Don Pessina giace in una fredda tomba da
quel lontano 18 giugno 1946.
Robert Nicolick
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