sabato, maggio 16, 2020

La strage di Concordia ( Modena) 18 maggio 1945



La strage di Concordia ( Modena)
18 maggio 1945
Il Sindaco PCI di San Possidonio , Ivo Benetti dichiarò ai media: la corriera fantasma non è mai esistita, si tratta di leggende nate dalla incoscienza o dalla mala fede, per infangare il movimento partigiano e riaprire ferite e rancori che negli ultimi tempi si erano rimarginate e gli scheletri ritrovati , fucilati sicuramente, ma da chi ?

Questo eccidio compiuto dai partigiani comunisti nel triangolo della morte dell'Emilia, è il classico esempio di una strage di civili e militari della RSI, che si è tentato di coprire attraverso tutta una serie despistaggi, negazioni, minacce e addirittura attraverso un comico esame del carbonio sulle ossa ritrovate in una fossa comune, esame commissionato dall'ANPI che secondo questi gentile personaggi faceva risalire all'anno 1000.
In buona sostanza un autocarro , un Lancia Esaro, trasformato con panche e sedili per il trasporto di persone, con 25 o 35 persone, internati, civili e diciassette allievi ufficiali della scuola nazionale repubblicana, per conto della Pontificia Opera di Assistenza, proveniente da Brescia attraverso l'Emilia e diretto a Roma, fu fermato la notte del 18 maggio 1945, presso un posto di blocco partigiano a Gonzaga, a poca distanza da Concordia, grosso paese della bassa sul fiume Secchia.
Questo primo posto di blocco fu detto “il blocco della morte”. In quel primo stop, sedici persone vennero fatte scendere e sparirono, mentre tutti gli altri ci rimisero solo i loro averi. Tutti i viaggiatori erano muniti di nulla osta vistato dalle autorità alleate quindi dal punto di vista legale non potevano essere prelevati ne potevano subire alcun tipo di molestie.
Comunque, tutti gli occupanti del mezzo compreso l'autista, sparirono e furono infruttuose le ricerche dei parenti e della stesso Pontificia Opera di Assistenza per trovare il camion e le persone che vi viaggiavano. In quella zona dell'Emilia Rossa nessuno parlava per paura o per complicità. Una madre di uno dei giovani allievi ufficiale, nel 1948, Marcella Sebastiani, fece una ricerca personale per trovare almeno il cadavere del figlio, ma senza esito, tuttavia qualcuno le raccontò vagamente di una fossa comune, che si sarebbe trovata a Concordia ma non si fece nessuno scavo per mancanza di fondi, si disse.
A due anni dalla sparizione, i Carabinieri di Carpi indagarono seppur con molte difficoltà, e procedettero all'arresto di alcuni ex partigiani comunisti, Roberto Pavesi di anni 35, Galliano Malavasi di anni 28, , Ettore Cavazza di anni 34 tutti di Concordia, di Paolo Mantovani di anni 39 ,inoltre fu spiccato mandato di cattura contro Giovanni Bernardi di anni 26, Ermanno Forti, Cesare Buganza anch'essi di Concordia. L'incriminazione per i sette personaggi era : sequestro di persona, rapina, strage, occultamento di cadavere, tutto il classico comportamento dei partigiani rossi nei confronti dei Fascisti Repubblicani .
A causa della cortina di bugie e di leggenda che si era creata ad arte attorno al camion Lancia, il mezzo sparito venne soprannominato anche se impropriamente, “la corriera fantasma” .
Era cosa nota che il sottosuolo emiliano fosse pieno di ossa umane con brandelli di di uniformi tedesche, fasciste o con abiti civili , di uomini, di donne e di ragazzi e di vecchi, bastava affondare un badile in qualche campo isolato e qualcosa spuntava.
A fine ottobre del 1948, il camion Lancia Esaro, ridotto ad un ammasso di ferraglia arrugginita, fu trovato abbandonato sotto il porticato di uno sperduto paesello del lago di Iseo. Rimaneva ora solo di trovare i resti dei passeggeri. Un contadino abitante in località Fossa di Concordia, libero finalmente dai vincoli del terrore, riferì ai Carabinieri che nei pressi di casa sua esisteva una fossa anticarro fatta dai Tedeschi profonda circa 2,50 metri, dopo qualche giorno lo stesso agricoltore tornando presso la buca, con sua grande sorpresa la trovò completamente interrata inoltre attorno a detta buca c'erano frammenti di materia celebrale e sangue. I Carabinieri chiamati hanno compiuto scavi e hanno trovato due corpi in avanzato stato di decomposizione non appartenenti ai viaggiatori della “corriera fantasma”, scavando in fosse vicine sono saltati fuori degli scheletri in numero di 14.
A dicembre del 1950, alla C. di A. di Viterbo aveva luogo il processo a Roberto Pavesi, Galliano Malavasi ed Ettore Cavazza, tutti appartenenti alla polizia ausiliaria partigiana, tutti accusati di aver ucciso 19 persone inermi e di averne occultato i cadaveri. Tutti gli scomparsi avevano parenti che nel sud aspettavano con ansia il loro ritorno a casa e quasi tutti si presentarono parte civile : Jannoni Sebastiani, Guido Cozzi, Alberto Lombardi, Stefano Loreni, Leda Metti, Italo della Cerva, Quadri, Ferri.
In particolare fu toccante la testimonianza della madre di Cesare Jannoni di 20 anni chiamato alle armi dalla RSI e si trovava alla Scuola Ufficiali di Oderzo, giunta la liberazione egli aveva avvertito la famiglia a Roma che stava per rientrare ma dopo mesi il giovane non era arrivato a casa e come lui altri suoi colleghi. L'unica cosa che i parenti seppero, dopo aver parlato con Prelati, Prefetti e Questori, che il mezzo da Brescia era partito, che a Moglia era stato fermato e che i viaggiatori erano stati divisi in gruppi dai partigiani e poi , il nulla.
Nel gennaio del 1968, si cominciò a scavare con maggiore energia nella fossa del podere Tellia di San Possidonio a Corcordia, le ruspe misero allo scoperto un tratto di 150 metri per una profondità di 1,50, e vennero alla luce 13 scheletri completi, femori e teschi crivellati da colpi di mitragliatrice, ma nessun effetto personale utile alla loro identificazione. Solo ossa e bossoli, tantissimi bossoli a testimoniare quanto si è sparato, i carabinieri ne contarono 300.
Questa fossa comune fu scoperta grazie ad una lettera giunta dagli USA, esattamente da Baltimora, scritta ai Carabinieri da una ragazza che all'epoca aveva 18 anni e che si salvò dalla mattanza riuscendo a fuggire, traumatizzata e dopo anni di incubi, si decise a scrivere agli inquirenti raccontando la sua spaventosa esperienza e indicando il luogo preciso dell'occultamento dei corpi. Secondo la lettera i responsabili dell'eccidio sarebbero tutti ex partigiani della zona , vivi e vegeti.
A seguito delle ulteriori investigazioni, nove ex partigiani comunisti, tutti di San Possidonio, sono stati denunciate a piede libero, dai Carabinieri di Carpi ( Modena ) per omicidio continuato : Armando Borsari di anni 53, Paolo Mantovani di anni 61, Evro Campagnoli di anni 43, Remo Pollastri di anni 43, Onorio Borghi di anni 47, Amilcare Mantovani di anni 51, Ciro Martini di anni 50, Angiolini Campagnoli di anni 45, Lelio Silvestri di anni 50, tutti i denunciati hanno negato di aver partecipato alla strage .
Dalle indagini emerge una realtà di omertà e di terrore durata per decenni, qualcuno iniziò a parlare ed ad ammettere che un automezzo pesante targato Città del Vaticano, transitò prima a Mirandola e poi a Cavezzo, si sapeva che arrivava da Brescia ed era diretto a Roma, qualcuno era sceso a Mirandola e altri erano saliti contenti di arrivare a casa qualche giorno prima. Poi il mezzo incontrò il posto di blocco della morte, fuori dal paese di Mirandola l'autista fu costretto a lasciare la strada per imboccare un tratturo sconnesso fra alti filari di platani sino a fermarsi sul ciglio di un fosso anticarro.
Tutti i contadini delle cascine vicine, sentirono il motore spegnersi, le urla di terrore dei viaggiatori, e gli ordini secchi e rabbiosi dei partigiani comunisti e poi le raffiche prolungate, ma nessuno parlò all'epoca dei fatti per paura di fare la stessa fine, infatti gli assassini vivevano tra la gente di San Possidonio e non avevano nulla da perdere, anche perchè un primo processo nel 1947, si concluse con una assoluzione per insufficienza di prove. Solo dopo 23 anni grazie ad una lettera dagli Stati Uniti qualcosa si mosse.
La zona fu invasa da Carabinieri, polizia tutti coordinati dalla Procura di Modena e di una grande ipocrisia furono le dichiarazioni del Sindaco PCI di San Possidonio , Ivo Benetti che dichiarò: la corriera fantasma non è mai esistita, si tratta di leggende nate dalla incoscienza o dalla mala fede, per infangare il movimento partigiano e riaprire ferite e rancori che negli ultimi tempi si erano rimarginate e gli scheletri ritrovati , fucilati sicuramente, ma da chi ? Altri testimoni si fecero avanti, pare che il camion abbia fatto più di un viaggio della morte e tutti si ricordano di un militare che era sul mezzo, tornava dalla moglie che gli aveva annunciato la nascita di un figlio, si chiamava Renzo Pia, 31 anni, era alto un metro e novanta e fra gli scheletri ce n'è proprio uno di quella statura , nell'elenco delle vittime figura anche il nome di una diciannovenne, Maria Teresa Tirabassi, una appartenente al SAF , di lei si trovò parte dello scheletro e una scarpa.
Nel febbraio del 1968 un ex partigiano iniziò a cantarsela con i Carabinieri : il mezzo arrivò a San Possidonio a mezzanotte, i passeggeri furono portati in municipio e processati quindi condannati a morte, spogliati di tutto e legati con il fil di ferro, prima della strage due partigiani rossi in moto percorsero le vie del paese intimando alla gente di stare chiusa in casa perchè nessuno doveva vedere, c'era un bar aperto e loro lo fecero chiudere, gli avventori irritati se ne andarono a casa ma questo divieto assursi gli rimase nella mante a e al momento opportuno se ne ricordarono. All'una i primi cinque prigionieri, furono portati in località Fossa di Concordia, qui abbattuti a raffiche di mitra, il camion tornò vuoto e fece altri due viaggi, con meta la cascina Tellia , qui altre raffiche, poi alle 1,30 tornò il silenzio. Gli assassini fecero un altro errore inviarono uno di loro da un contadino a chiedere dei badili per occultare il loro crimine.
Drammatico fu il confronto fra il contadino della cascina Tellia, che fornì le pale per coprire i corpi crivellati, e il partigiano che andò a ritirarle, “eri tu quella notte, ne sono sicuro” e l'altro impassibile “sei matto, non ti conosco nemmeno”. Ci fu uno scampato alla strage, Zorè Sgarbanti di anni 55 nativo di Lumezzane S. Apollonio ( Brescia) il quale ebbe la sorte di scendere dal camion per salutare un farmacista suo amico, più in là i partigiani fermarono il mezzo, dirottandolo verso Villa Medici trasformata in caserma, qui i viaggiatori venivano suddivisi con un singolare sistema, i grassi erano giudicati per fascisti e i magri erano attentamente interrogati.
Il secondo processo sulla corriera fantasma si concluse il 31 ottobre 1970 presso il tribunale di Modena, con l'assoluzione per amnistia e prescrizione di tutti gli accusati.


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