mercoledì, agosto 14, 2024

Fra pochi giorni, il 18 agosto, cade l'anniversario di una strage compiuta dai titini slavi nei confronti di cittadini Italiani: La strage di Vergarolla. La strage di Vergarolla ( Pola ) 18 agosto 1946 Il 18 agosto 1946 migliaia di Polesani si raccolgono nella arena Romana di Pola con bandiere tricolori, cantando Va Pensiero e inneggiando all'Italia, il tutto sotto gli occhi furenti dei Slavi Titini e dei loro lacchè Italiani comunisti, nessuno di loro attaccò la manifestazione per via della presenza di truppe Britanniche che in quel periodo garantivano l'ordine pubblico, inoltre il 17 a Parigi alla conferenza plenaria si stavano ancora discutendo i confini orientali dell'Italia e quindi i giochi non erano ancora fatti, i Polesani credevano ancora in un ritorno alla loro madrepatria. E accadde una spintarella nella direzione opposto, oggi la chiameremmo “strategia della tensione” attraverso lo stragismo. Sulla spiaggia di Pola, Vergarolla, da mesi erano accantonate nove tonnellate di materiale esplosivo, bombe antisommergibili e siluri da tempo disinnescate tanto che i bimbi ci giocavano sopra da tempo. Era un pomeriggio di sole di una splendida domenica di agosto, su quella spiaggia c'erano circa 2000 persone, centinaia di famiglie Polesane, intente a fare il bagno e a guardare una gara di nuoto che avveniva in quello specchio acqueo, tutto era tranquillo e nulla faceva presagire quello che sarebbe accaduto di lì a poco. La gara che avveniva dal 1913, era la coppa Scarioni dal nome del suo ideatore, un giornalista sportivo, era anche nota come “gara popolare di nuoto” Alle ore 14 e 15, 28 di questi ordigni esplosero in contemporanea creando un gigantesco fungo che si alzò velocemente verso il cielo, centinaia di corpi di bimbi, donne e adulti furono investiti da una deflagrazione spaventosa che fece tremare i vetri di tutta la città e fu avvertita in tutta l'Istria e persino sull'altra sponda dell'Adriatico, tutto quello che era presente sulla spiaggia, umani, animali, ombrelloni, sdraio furono spazzati via dallo spostamento d'aria. La città accorse sulla spiaggia , anche l'esercito Britannico organizzò i soccorsi. Lo spettacolo che si presentò ai primi soccorritori fu da girone dantesco, al centro della spiaggia c'era un cratere enorme, la sabbia era rossa di sangue per centinaia di metri tutto attorno, sugli alberi della pineta accanto alla spiaggia c'erano i brandelli di carne delle vittime e anche in mare sezioni di corpi galleggiavano, attorno all'epicentro dell'esplosione centinaia di feriti urlavano sotto schock, intere famiglie erano state annullate e polverizzate, alla fine si contarono un centinaio di vittime e un numero incalcolabile di feriti. I soccorritori fecero per ore la spola tra la spiaggia mattatoio e l'ospedale. Tonnellate di carne umana martoriata arrivano al Pronto Soccorso di Pola, dove il Dott. Geppino Micheletti , unico chirurgo rimasto, opera per ore ed ore. Non si ferma neanche quando gli dicono che i suoi due unici bimbi, Carletto e Renzo, sono fra i morti: non crolla davanti al dolore immenso che lo colpisce personalmente, sa che altre vite sono nelle sue mani e non può mollare. Solo 64 salme potranno essere composte nelle bare e, fra queste, il corpicino straziato di Carletto e niente, tranne una scarpa e i suoi giocattoli, in quella di Renzo, i due figli del chirurgo. Quelle bombe, quei siluri da due anni sulla spiaggia, inattivi, non potevano esplodere da sole, senza che qualche mano assassina le armasse per fare quella strage orrenda di innocenti, nello stile assassino che contraddistingue la polizia segreta di Tito. La polizia Britannica nelle sue indagini concluse che non fu un incidente ma una strage pianificata e voluta per terrorizzare una volta di più gli Italiani di Pola che a questo punto, sentendosi minacciati e non protetti, decisero di andarsene da quella città che poteva diventare il loro cimitero. I Titini e i loro mezzani italiani comunisti, traditori del loro popolo, avevano voluto e creato le condizioni per un esodo della città di Pola che sarebbe diventata Pula. Dopo le foibe e la strage di Vergarolla , nulla poteva essere più come prima. Geppino Micheletti, l'eroe di Vergarolla, continuerà a rimanere a Pola sino al 31 marzo 1947, comandato in servizio dalla Croce Rossa quale "indispensabile", e coordinerà l'evacuazione di tutti i malati ricoverati nell'ospedale, quando la città andrà a svuotarsi dopo che il trattato di Pace del 10 febbraio 1947 concederà anche la capitale dell'Istria alla Jugoslavia di Tito, dopo la fine di marzo il dottore emigrò anch'esso per evitare di dover curare anche i mostri che avevano provocato quella strage. Anche la strage di Vergarolla, oltre agli eccidi delle foibe, avrà il suo peso nell'esodo massiccio dei polesani da quella che sarebbe diventata un gigantesco gulag per gli Italiani, non ci fu scelta per gli Italiani o partire o diventare schiavi di Tito e dei suoi accoliti. I Polesani avevano resistito nel maggio del 1945 alla deportazione e sparizione di un migliaio di loro concittadini compiuta dalle milizie Slave, ma effettivamente la strage di Vergarolla fu troppo anche per loro. I responsabili materiali della strage non furono mai identificati e su questo fatto calò una cappa di silenzio per 50 anni come sulle foibe anche se già dal 1956 ci furono numerose interpellanze da parte di parlamentari Italiani, anche le indagini della polizia Britannica non furono spinte sini in fondo per non creare alcun tipo di fastidio a Tito che in seguito disgiunse la sua politica internazionale da quella del blocco Sovietico. Nel 2008 un quotidiano di Trieste pubblicò del materiale investigativo che era presente negli archivi del Regno Unito in base ai quali la responsabilità della strage fa fatta risalire all'OZNA, la polizia segreta di Tito, mentre l'esecutore materiale di questo attentato fu un certo Giuseppe Kovacich anch'esso agente di quel servizio segreto. Gli stessi metodi feroci di pulizia etnica attuati dai ruSSi in Ucraina.


 

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.