domenica, giugno 29, 2025

Angela Ferrero Finale Ligure 24 ottobre 1992 Angela Ferrero, una donna bionda dalla corporatura minuta, di professione albergatrice a Finale Ligure, viene trovata sotto un cumulo di materassi e cuscini, nel sua pensione “la finalese” in Via Pertica a Finale Ligure, morta per strangolamento, il corpo fu rinvenuto in uno sgabuzzino. Al momento della morte la donna aveva 39 anni. Il primo ad essere sospettato è l’ex marito Mohamed Faud Habib, un cittadino di nazionalità Egiziana, che avrebbe il vizio del gioco d’azzardo e che avrebbe perso somme elevate partecipando a serate in alcuni locali della zona. La moglie ha sempre provveduto a coprire i debiti del marito vendendo immobili di proprietà. Non solo l’uomo si faceva pagare i debiti di gioco dalla moglie ma ne era anche geloso e pochi mesi prima della morte della donna nel corso di una lite l’aveva minacciata di morte. Nonostante i sospetti nessun provvedimento restrittivo viene preso nei confronti dell’Egiziano che si rende irreperibile e torna nella sua patria. La vita matrimoniale dell’albergatrice Finalese non è stata mai facile, il marito di religione musulmana si è sempre opposto ad una educazione cattolica nei confronti delle due figlie e in un caso avrebbe anche tentato di portarle in Egitto. Intanto l’Egitto ha rifiutato l’estradizione e ha accettato una rogatoria internazionale , cioè un interrogatorio del Habib da parte di magistrati Egiziani in Egitto per avere almeno una dichiarazione da parte del marito. Il motivo per cui si rifiuta l’estradizione è molto semplice, Habib è musulmano e anche se noi occidentali non riusciamo a capire un fatto simile, secondo la legge coranica un marito che uccide la moglie ha diritto a numerose attenuanti e giustificazioni. Il primo processo si svolge con l’imputato contumace che viene condannato in primo grado a 15 anni e sei mesi di reclusione, ma il processo di appello ha una conclusione inaspettata, infatti lo stesso P.M. chiede l’assoluzione seppur con molti dubbi dell’imputato sempre assente al processo di appello, assoluzione che venne concessa dalla corte di Appello di Genova. La motivazione della assoluzione sta nel fatto che la data esatta della morte della donna non è stata mai fissata, poteva essere il 24 oppure il 26, inoltre il marito, primo indiziato aveva un alibi di ferro. Secondo la difesa le indagini non avrebbero focalizzato altri soggetti, che ruotavano attorno alla vittima e che non sono stati interrogati adeguatamente. A tutt’oggi nessuno sa chi uccise la povera albergatrice di Finale e pare che non esista la volontà di riaprire l’inchiesta.

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Margherita Catanese 27 giugno 1979 Savona Angelo Catanese, salì sul treno a Salerno in direzione di Savona, da tempo oramai non era più lui, uomo di grande intelligenza con una laurea in ingegneria, soffriva di una sindrome depressiva molto grave, a seguito di questa malattia aveva subito alcuni ricoveri in strutture psichiatriche a Nocera Inferiore, e questo lo aveva irritato molto, Angelo infatti attribuiva la responsabilità della sua malattia ai suoi parenti. Covava in lui un desiderio di vendetta, quando salì sul treno aveva nel borsello una pistola. Appena sceso a Savona, si recò al quartiere La Rusca, al civico 5 interno 4, dove lui sapeva abitasse la zia, Margherita, che riteneva corresponsabile della sua malattia oltreché dei suoi ricoveri. La zia , nubile, viveva da sola in un appartamento alla Rusca, il quartiere collinare di Savona, economicamente benestante conduceva una esistenza tranquilla e senza problemi. La donna lo accolse cordialmente e lo fece accomodare in cucina senza sospettare nulla. Quasi subito Angelo estrasse la pistola che si era procurato e sparò cinque colpi che la uccisero , poi si alzò , sollevò il corpo della vittima e dopo averla sistemata su una sdraio , uscì dall’appartamento, raggiunse la stazione e salì sul primo treno in direzione sud, voleva infatti tornare a Salerno. I vicini della zia, sentirono gli spari e videro l’uomo uscire dalla casa sporco di sangue, allarmati avvisarono la polizia che rinvenne il cadavere della donna. Dopo quattro giorni di ricerche giorni fu raggiunto dalla polizia in una pensioncina di Salerno dove si era nascosto e arrestato. Al momento dell’arresto aveva ancora gli abiti sporchi di sangue, ad una richiesta di spiegazioni sulle macchie , disse che era stato morso da un cane randagio, poi decise di collaborare e rese ampia confessione agli inquirenti. Ammise anche il suo rancore nei confronti dei parenti. Sottoposto in carcere a perizie psichiatriche venne riconosciuto non penalmente perseguibile per vizio totale di mente e quindi non venne rinviato a giudizio e si dispose il suo inserimento in una casa di cura adeguata per un periodo non inferiore a dieci anni.