domenica, giugno 29, 2025

Angelo Quartiano 47 anni, Clementina Carlini 47 anni, Maria Carlini in Quartiano 44 anni Dego 11 marzo 1957 Lorenzo Carlini, 37 anni, agricoltore, quella mattina salì sul treno per Dego, era partito sul presto dalla sua abitazione di Bubbio, una piccola stanza in affitto, armato di un fucile da caccia e di una pistola di grosso calibro, entrambi detenuti illegalmente. I pochi passeggeri sul treno pensavano fosse un cacciatore, in realtà, l'uomo stava progettando una strage, infatti convinto di aver subito dei torti per la suddivisione della eredità del padre, intendeva raggiungere Dego e uccidere per vendetta le sue sorelle e i loro mariti. Dopo la morte del padre le discussioni per l'eredità erano state frequenti con minacce da parte sua nei confronti dei parenti. Alto e di corporatura robusta, Lorenzo incuteva timore, già in passato i Carabinieri e il Sindaco lo avevano allontanato da Dego in seguito ai suoi atteggiamenti nei confronti dei congiunti, colpevoli, secondo lui di averlo penalizzato nella divisione dei beni ereditari. A Bubbio in provincia di Asti, dove si era trasferito, non era noto per il suo carattere gioviale, senza occupazione, aveva usato tutta la sua quota di eredità per andare avanti ed era stato costretto a vendere la sua abitazione, finendo in una stanza in affitto. Tutto ciò aveva accresciuto il risentimento nei confronti dei parenti che risiedevano in Piemonte e in Liguria. Lorenzo non nascondeva la sua rabbia, anzi manifestava apertamente la volontà di trovare delle armi per regolare i conti. La sua richiesta di porto d'armi era stata respinta ma nonostante questo, era riuscito a procurarsi un fucile automatico a cinque colpi e una pistola attingendo probabilmente a qualche deposito di armi clandestino creato durante la guerra civile. Quella mattina , quando scese dal treno a Dego, si diresse subito verso la casa dei suoi parenti, al numero 7 di via Roma, incontrando il sindaco e il vice sindaco, li minacciò con le armi che impugnava, intimandogli di allontanarsi. I due che lo conoscevano bene, intuirono quello che stava per accadere, si allontanarono subito, presagendo una tragedia e corsero a chiamare i carabinieri la cui caserma era nelle vicinanze. Intanto Lorenzo camminando velocemente, aveva raggiunto la casa dei parenti, bussò alla porta, gli aprì il cognato, Angelo, commerciante di legnami, con cui aveva condiviso la prigionia in Germania, contro cui puntò subito il fucile ed esplose tre colpi in rapida sequenza senza lasciare scampo alla vittima che cadde a terra fulminata. L'assassino scavalcò il corpo mentre dalla camera usciva il piccolo figlio di Angelo, Sergio di 8 anni che rimase agghiacciato di fronte alla scena, incurante del bimbo, raggiunse l'altra camera dove trovò la sorella Clementina che colpì con un solo colpo lasciandola riversa sul letto. L'altra sorella Maria, compreso quello che stava accadendo, si sporse dalla finestra nel disperato tentativo di cercare aiuto, Carlini la raggiunse alle spalle e la colpì una prima volta con l'ultima cartuccia poi la finì a pistolettate. Compiuta la strage l'uomo uscì dalla casa e si inoltrò nel bosco raggiungendo un vecchio cascinale in località Costa Lupara, dopo aver esploso qualche colpo a scopo intimidatorio per tenere lontana la gente che lo seguiva. Intanto i Carabinieri avevano raggiunto il luogo della strage, avevano constatato i tre omicidi e raccolto il piccolo Sergio che era sotto choc per quello che aveva visto. Dalla Compagnia di Cairo e al Comando Provinciale di Savona arrivavano automezzi carichi di militari che circondavano il casolare dove si era barricato il Carlini, il quale non pareva voler arrendersi, anzi minacciava chiunque dall'avvicinarsi, affermando di avere con sé abbondanti munizioni e di voler uccidere altre sei persone, che sembravano essere gli altri suoi parenti anch'essi giudicati da lui, come persone che lo avevano danneggiato nella spartizione del patrimonio ereditario. Dopo poche ore di assedio, l'omicida cedeva, si consegnava ai Carabinieri che lo ammanettavano e lo trasportavano in caserma. Gli abitanti di Dego e della Valle Bormida tutta, furono estremamente colpiti dalla strage per la riconosciuta bontà delle vittime e per la grande crudeltà manifestata dall'assassino. Al funerale ci fu una grande partecipazione corale di tutta la gente della zona e in prima fila il piccolo Sergio avvolto nel suo dolore. Il processo si svolse alle assise di Savona nel dicembre del 57, l'imputato che sin da piccolo lavorava con il padre nel taglio del bosco, aveva partecipato nel regio esercito alla campagna di Albania e Grecia, poi dopo la prigionia in Germania era tornato a lavorare con il padre come boscaiolo e da subito aveva avuto motivi di contrasto con il cognato che lavorava con lui. Reo confesso, ammise di aver compiuto la strage per motivi di interesse ma che le sue intenzioni non erano di uccidere bensì di ferire in modo grave i parenti allo scopo di farli soffrire per i torti subiti. Altre frasi pronunciate dal Carlini peseranno come macigni su di lui : “uccidere un uomo è come fumare una sigaretta”. Alla fine, dopo due ore di camera di consiglio la sentenza sarà durissima : ergastolo. In Valle Bormida molti tirarono un sospiro di sollievo, infatti non pochi pensarono alla possibile reiterazione del reato.

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Margherita Catanese 27 giugno 1979 Savona Angelo Catanese, salì sul treno a Salerno in direzione di Savona, da tempo oramai non era più lui, uomo di grande intelligenza con una laurea in ingegneria, soffriva di una sindrome depressiva molto grave, a seguito di questa malattia aveva subito alcuni ricoveri in strutture psichiatriche a Nocera Inferiore, e questo lo aveva irritato molto, Angelo infatti attribuiva la responsabilità della sua malattia ai suoi parenti. Covava in lui un desiderio di vendetta, quando salì sul treno aveva nel borsello una pistola. Appena sceso a Savona, si recò al quartiere La Rusca, al civico 5 interno 4, dove lui sapeva abitasse la zia, Margherita, che riteneva corresponsabile della sua malattia oltreché dei suoi ricoveri. La zia , nubile, viveva da sola in un appartamento alla Rusca, il quartiere collinare di Savona, economicamente benestante conduceva una esistenza tranquilla e senza problemi. La donna lo accolse cordialmente e lo fece accomodare in cucina senza sospettare nulla. Quasi subito Angelo estrasse la pistola che si era procurato e sparò cinque colpi che la uccisero , poi si alzò , sollevò il corpo della vittima e dopo averla sistemata su una sdraio , uscì dall’appartamento, raggiunse la stazione e salì sul primo treno in direzione sud, voleva infatti tornare a Salerno. I vicini della zia, sentirono gli spari e videro l’uomo uscire dalla casa sporco di sangue, allarmati avvisarono la polizia che rinvenne il cadavere della donna. Dopo quattro giorni di ricerche giorni fu raggiunto dalla polizia in una pensioncina di Salerno dove si era nascosto e arrestato. Al momento dell’arresto aveva ancora gli abiti sporchi di sangue, ad una richiesta di spiegazioni sulle macchie , disse che era stato morso da un cane randagio, poi decise di collaborare e rese ampia confessione agli inquirenti. Ammise anche il suo rancore nei confronti dei parenti. Sottoposto in carcere a perizie psichiatriche venne riconosciuto non penalmente perseguibile per vizio totale di mente e quindi non venne rinviato a giudizio e si dispose il suo inserimento in una casa di cura adeguata per un periodo non inferiore a dieci anni.