domenica, giugno 29, 2025
Caterina Rosso Cengio 1 novembre 1961 Caterina Rosso 50 anni, un femminicidio ante litteram, era una contadina di Cengio, abitava con il marito Luigi Vero e con il figlio unico in un casolare in località Vignale. La vita della povera donna passava senza particolari novità, sempre la stessa, divisa tra la cucina, l’aia, gli animali da cortile e la cura di un figlio portatore di disabilità Carlo 26 anni. IL marito, Luigi Vero 55 anni originario di Prunetto, era un marito padrone, non consentiva alcuna capacità decisionale alla donna inoltre da voci raccolte, era di una proverbiale avarizia, rimproverava la donna se per caso ammazzava una gallina per farne cibo e addirittura le impediva di acquistare dei medicinali nel caso fosse stata malata. La sua tirchieria cozzava contro uno stato economico buono, infatti Vero possedeva una estensione di terreno vasta, quasi sei ettari coltivati a grano e prato oltre ad alcuni bovini. Secondo la versione del marito quel pomeriggio si allontanò a pascolare gli animali e verso le 16 tornò a casa, dove aveva lasciato la moglie con il figlio. Appena arrivato trovò la moglie a terra, fuori , accanto all’ingresso del casolare con un sacco di juta sul viso. Sempre secondo la sua versione, tolse il telo dal corpo e vide il viso della donna sfigurato e sanguinante. Cercò di rianimarla ma fu tutto inutile, la donna era morta, assassinata con il cranio sfondato da un corpo contundente. Arrivò anche il figlio e Vero corse a Millesimo dal medico condotto il quale avvisò i Carabinieri che giunsero anch’essi alla cascina. Da subito i sospetti si orientarono verso il figlio che era disturbato mentalmente, soffriva in particolare di manie di persecuzioni, infatti fu sottoposto ad interrogatori molto pressanti che non portarono a nessun indizio a suo carico. Invece i sospetti iniziarono a puntare sul marito, in quel periodo antecedente la morte violenta della Caterina, le discussioni, sempre più violente, tra i due vertevano sulla richiesta sempre più insistente della moglie di acquistare un vitello a cui avrebbe provveduto il figlio, dando così la possibilità di un incarico lavorativo ad un ragazzo malato. Il marito si era cambiato di abiti, che furono trovati dai carabinieri macchiati di sangue sia con traiettoria a macchie che a spruzzo tipica di colpi vibrati con un oggetto, come per esempio una zappa e in effetti il capo della vittima era sfondato come se fosse stato colpito con tale attrezzo, che venne trovato in un piccolo magazzino della cascina, con la parte in ferro macchiata di sangue. Inoltre sin dai primi istanti il padre manifestava dei dubbi sul figlio che in passato era stato internato presso l’ospedale psichiatrico di Cogoleto e che era stato giudicato socialmente pericoloso. I due , padre e figlio, venivano sottoposti a fermo di polizia giudiziaria mentre iniziava una perquisizione della casa che portava al ritrovamento di barattoli di latta , nella stufa, contenenti 400 mila lire e in un baule di buoni fruttiferi emessi nel 1927 per diversi milioni di lire, tutto questo materiale cartaceo era macchiato di sangue. Il figlio affermava che tra i suoi genitori erano frequenti le liti per motivi di interesse e che la donna era alla ricerca del luogo dove il marito, molto avaro e risparmiatore, nascondesse i valori, fu rimesso in libertà e il padre trattenuto in custodia cautelare, quindi rinviato a giudizio e dopo 15 mesi di carcere, processato in Corte di Assise e assolto per insufficienza di prove. Nel corso della sua arringa la difesa disse che indubbiamente era il delitto di un folle ma che il folle non era sicuramente il marito della vittima.
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